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Consigli di lettura – Marzo 2021

La presenza femminile nei board riduce i fenomeni di misconduct. A metterlo nero su bianco la prima recensione che pone l’accento sui vantaggi di avere donne nei cda. Con loro, infatti, si riduce la frequenza delle sanzioni comminate dalle autorità statunitensi alle banche europee. Il risparmio? Mediamente 7,5 milioni di dollari ogni anno. Un'altra lettura, recensita dal socio Cristina Ungureanu, affronta il dibattito fra i sostenitori della governance degli stakeholder e quelli della governance degli azionisti

Credit: GettyImages

A cura di Alessandro Carretta

Francesca Arnaboldi, Barbara Casu, Angela Gallo, Eleni Kalotychou e Anna Sarkisyan, Gender diversity and bank misconduct, in Journal of Corporate Finance, available online 18 January 2021, 101834, in press.

Misurare la cultura aziendale e, in finanza, la cultura del rischio è ancora un esercizio fragile e tale fragilità si trasmette anche alle relazioni attese tra la cultura del rischio ed i risultati conseguiti.

In termini generali non sembra esservi dubbio che una adeguata cultura del rischio possa essere decisiva per le performance aziendali. Non è inoltre accettabile l’idea, che traspare in parte della letteratura, che la cultura del rischio abbia semplicemente a che fare con il controllo dei rischi e che quindi «troppa» cultura sia minacciosa per il conseguimento degli obiettivi aziendali di redditività, riducendo il rischio sopportabile. La cultura del rischio non ha necessariamente a che fare con la prudenza.

Il Financial Stability Board ha eliminato nella versione finale del proprio documento sulla cultura del rischio (2014) i riferimenti alla “prudenza”, presenti nella prima edizione del documento, a seguito dei commenti ricevuti dall’industria finanziaria. È infine possibile, o almeno auspicabile, che un’adeguata cultura del rischio nelle banche abbia effetti positivi sul ruolo che la finanza svolge nell’economia, probabilmente attraverso un rafforzamento della reputazione, che accresce la fiducia della collettività nel sistema finanziario. In ogni caso le difficoltà di individuare e misurare l’adeguatezza della cultura e di procedere a utili generalizzazioni non sono poche. In questa prospettiva, le indagini empiriche che mettono in relazione la cultura aziendale e l’integrità dei comportamenti con le performance aziendali sono in questa approssimazione assai preziose per chi si occupa di questi temi.

Il Journal of Corporate Finance ha da poco reso disponibile online, in vista della pubblicazione, una preview del lavoro “Gender diversity and bank misconduct“, che mette in evidenza come la presenza femminile nei board possa svolgere un ruolo importante nel prevenire episodi di misconduct e nel creare quindi valore.

In particolare le autrici, Francesca Arnaboldi, Barbara Casu, Angela Gallo, Eleni Kalotychou e Anna Sarkisyan arrivano a dimostrare che una maggiore rappresentanza del genere femminile nei board riduce la frequenza delle sanzioni comminate dalle autorità statunitensi alle banche europee per evasione fiscale, riciclaggio, manipolazione del mercato e frode. Tale positiva influenza è maggiore se le donne sono almeno tre nel cda, se contemporaneamente vi è una presenza femminile nei ruoli esecutivi di alto livello (presidente o CEO), se la banca è di dimensioni più contenute. In altre parole, in un mondo ancora decisamente maschile come quello dei board e del top management delle banche, se le donne fanno “massa critica” i risultati si vedono.

In effetti l’efficacia del cambiamento culturale presuppone che le persone abbiano “fatto uso” della cultura medesima, adottando comportamenti ispirati ai valori aziendali, trasmettendo al mercato il valore dell’identità dell’azienda, mettendo cioè in atto le valenze positive della cultura. Occorre liberare “energia etica” in azienda e legarla al successo dell’impresa e delle persone.

Da approfondire, alla luce anche delle metodologie utilizzate nel lavoro, l’attribuzione della riduzione della misconduct, conseguente alla presenza femminile nei board, alla propensione verso comportamenti più etici piuttosto che al contenimento del rischio.

Solo teoria? Assolutamente no! L’articolo fornisce una stima del “risparmio” in termini di minori sanzioni conseguenti alla presenza femminile nei cda. Mediamente circa 7,5 milioni di dollari l’anno, su un arco di indagine decennale, riferito a un campione di oltre 80 banche quotate di 21 paesi europei (quasi tre quarti del totale del sistema bancario europeo). Un ulteriore, buon motivo per azzerare (anzi semmai invertire) il gender gap nelle retribuzioni…


A cura di Cristina Ungureanu

Colin Meyer, Shareholderism Versus Stakeholderism – A Misconceived Contradiction: A Comment on “The Illusory Promise of Stakeholder Governance” by Lucian Bebchuk and Roberto Tallarita, University of Oxford and ECG.

Recentemente c’è stato un crescente interesse per la governance degli stakeholder.

I leader aziendali dovrebbero gestire la propria attività per tutti i propri stakeholder o gli interessi degli azionisti dovrebbero essere al primo posto?
Questa è rimasta la domanda principale da quando la Business Roundtable ha adottato una nuova dichiarazione sullo scopo della società che dichiara l’impegno a guidare le proprie aziende a beneficio di tutte le parti interessate. Molti accademici hanno contribuito a questo dialogo, tra cui il prof. Colin Mayer (University of Oxford) che supporta la governance degli stakeholder e il prof. Lucian Bebchuk (Harvard Law School) che sostiene la governance degli azionisti.

Il punto di vista del prof. Bebchuck
“The Illusory Promise of Stakeholder Governance”, autori Lucian Bebchuk e Roberto Tallarita, è una critica ponderata e attentamente costruita dell’argomento. In poche parole, la critica di Bebchuck e di Tallarita è che lo “stakeholderismo”, ovvero l’idea di promuovere gli interessi degli stakeholder di un’azienda (i suoi clienti, dipendenti, fornitori, società e ambiente), il cosiddetto “azionariato illuminato” in grado di aumentare il valore degli investimenti degli azionisti, richiede agli amministratori delle società di fare compromessi (trade-off) quasi impossibili. Concludono che qualsiasi cosa diversa dalla governance degli azionisti sia irrealizzabile, impraticabile, irrealistica e indesiderabile.

Argomenti del prof. Meyer
Per Meyer, Bebchuck e Tallarita non forniscono alcuna prova dell’esistenza e del potenziale di cambiamento di sistemi alternativi in tutto il mondo che promuovono diversi tipi di condotta aziendale e gli equilibri di interesse nelle aziende. L’articolo è focalizzato sugli Stati Uniti e vi si sostiene che è impossibile cambiare il sistema e, soprattutto, mettere in relazione gli incentivi con misure di performance non finanziarie. Descrivendo il mondo così come lo vedono, Bebchuck e Tallarita non considerano cosa potrebbe essere e cosa si potrebbe desiderare che sia. In altre parole, la loro analisi manca di un benchmark rispetto al quale valutare i pregi o le carenze dei diversi modelli aziendali e quindi non riesce a far luce sui loro relativi meriti.

Questo dialogo dimostra il contributo significativo della ricerca basata sull’evidenza e la comprensione degli esperti in un dibattito altrimenti speculativo.


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