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Shareholder activism crescente anche in Italia

Il fenomeno tipico del modello anglosassone dove la presenza di public company è consolidata, sta prendendo piede anche da noi per la crescita nelle dimensioni delle nostre aziende e per l’evoluzione del nostro mercato, diventato più maturo

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Le compagnie italiane non devono sottovalutare lo shareholder activism. I consiglieri indipendenti e un board competente possono anticipare ogni deviazione dalla linea corretta di business e aiutare così il management ad adottare un approccio preventivo nell’interazione con gli “attivisti” più aggressivi. Questo il messaggio lanciato nel corso del webinar organizzato da Nedcommunity in collaborazione con Goldman Sachs, intitolato appunto “Shareholder activism and corporate defence”.

Cesare Conti, direttore del Master of Science in Finance dell’Università Bocconi, consigliere di amministrazione e socio di Nedcommunity , che ha moderato l’incontro, ha ricordato come “il fenomeno consiste in tutte quelle iniziative che alcuni azionisti mettono in campo con l’obiettivo di esercitare una pressione sugli amministratori di una società per indirizzarne le decisioni, al  fine di migliorare la governance e le performance dell’azienda. Vi sono diversi tipi di attivismo, dai meno aggressivi, come la richiesta di incontri con il management (cosiddetto engagement) fino a quelli  più confrontational, in cui gli azionisti attivisti mirano a intervenire direttamente su temi specifici, per esempio le operazioni di M&A, la politica di remunerazione del management o la nomina dei board member. Le società quotate hanno recentemente implementato politiche ad hoc per gestire l’engagement, mentre sono ancorapoco attrezzate per prevenire o affrontare gli interventi più aggressivi”.   

Come sottolinea Marco Paesotto, Managing Director (Head of Italy M&A), Goldman Sachs, “il mercato M&A italiano è stato particolarmente attivo in questi ultimi anni. L’Italia sembrava potesse godere di una sorta di protezione naturale dall’attivismo derivante da un ridotto numero di vere public companies, della dimensione più ridotta delle proprie aziende e quindi da un grado di liquidità più basso rispetto ad altre piazze europee. Le cose, però, stanno velocemente cambiando visto che le nostre aziende quotate stanno crescendo e l’azionariato si sta facendo più diffuso come testimoniato dal forte incremento del numero di compagne attiviste registrate in Italia nel 2021 rispetto all’anno precedente (9 vs 4)”. Paesotto si è poi soffermato sul ruolo dei ned che “possono e devono giocare un ruolo centrale nella strategia di difesa del board dagli approcci eccessivamente aggressivi”.

Secondo Anne Bizien, Managing Director (Head of EMEA Activism Franchise), Goldman Sachs “nessuna compagnia in Europa può dirsi davvero immune dall’attivismo”. L’esperta ha affrontato il tema della difesa dallo shareholder activism più aggressivo sottolineando l’importanza del “lavoro di preparazione di eventuali risposte alle critiche mosse che diventa centrale soprattutto sui temi più caldi come l’approccio alla sostenibilità. In generale è importante creare una sorta di piano di difesa che deve essere ben conosciuto dal board e dall’executive management. Le compagnie non dovrebbero reagire dopo molto tempo, è necessario essere pronti, organizzati e veloci e individuare una sola persona che interagisca. In questa strategia i consiglieri indipendenti possono e devono fornire l’appoggio derivante dalla loro competenza diversificata in seno al board”.

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