Le buone idee

Il World Economic Forum ha dichiarato, in un documento del settembre 2017, la volontà di contribuire alla crescita di consapevolezza e allo sviluppo di Board competenti in materia di Climate Change. Con questo intento, ha promosso la "Climate Governance

Nota editoriale

Nel N.24 della Rivista dell’agosto 2015, iniziavamo questa rubrica dedicandola ad una questione fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità intera: “Salvare l’ambiente in cui viviamo”.
Proseguiamo su questa strada con un servizio di Maritana Rinaldi (*) che riporta i punti salienti dell’incontro Ned del 19 gennaio scorso a Milano, promosso dall’’Italian Steering Committee’ che ha introdotto la ‘Climate Governance Initiative’, un progetto del World Economic Forum rivolto in particolare agli Amministratori Indipendenti per accrescerne le competenze necessarie a valutare ed affrontare i rischi e per cogliere le opportunità legate al cambiamento climatico.

Quali sono le responsabilità degli amministratori in ambito Climate Change?

In un panorama così complesso, qual è il ruolo del Board e, soprattutto, quale ruolo possono e devono svolgere gli amministratori indipendenti? Certamente quello di far rientrare il cambiamento climatico nella strategia di lungo periodo dell’azienda, oltre a spingere il board ad agire su:

  • Definizione e Attuazione della Strategia: il Board deve assicurare che il processo di definizione e attuazione della strategia prenda in considerazione gli aspetti legati al Climate Change.
  • Risk Management: l’obiettivo di un’azienda deve essere sempre quello di attuare una strategia che individui, controlli e mitighi i rischi e assicuri la creazione di valore a lungo termine. Il cambiamento climatico è certamente un fattore di rischio che va incluso all’interno della strategia aziendale e delle metodologie di risk management che dovranno considerare un orizzonte di più lungo periodo, fattori di rischio sistemico, tenere in considerazione un panorama di incertezza normativa e assicurare, al contempo, un adeguato livello di resilienza
  • Change management: definire e implementare processi, procedure e tecnologie in grado di evolvere in ragione dei mutamenti del contesto e del business
  • Scenari: comprendere a cosa servono, come funzionano, come scegliere quelli di riferimento
  • Opportunità da cogliere: definire una strategia che possa valorizzare le opportunità che nascono dalla transizione energetica
  • Compensation: introdurre KPI legati al commitment e ai risultati delle politiche di cambiamento climatico, nei piani di remunerazione a breve e lungo termine
  • Risorse Umane: creare i presupposti, attraverso politiche e strumenti adeguati, per un cambiamento culturale all’interno dell’azienda capace di riflettere l’evoluzione del modello di business e dell’identità aziendale nel tempo

Il World Economic Forum ha dichiarato, in un documento del settembre 2017, la volontà di contribuire alla crescita di consapevolezza e allo sviluppo di Board competenti in materia di Climate Change. Con questo intento, ha promosso la “Climate Governance Initiative“, un progetto rivolto in particolare ai non executive directors, gli amministratori indipendenti, per accrescerne le competenze necessarie a valutare ed affrontare i rischi e cogliere le opportunità legate al cambiamento climatico.
Nell’ambito del World Economic Forum’s Climate Governance Initiative è nato l’Italian Steering Committee che il 19 gennaio ha tenuto il primo incontro su temi chiave legati agli impatti fisici e di transizione – legali, tecnologici, di mercato, di reputazione – del cambiamento climatico che nei prossimi anni influenzeranno in maniera crescente il sistema economico, anche in virtù degli accordi di Parigi sul clima.
Grazie ai contributi di Sabrina Bruno, Stefano Pareglio e Karina Litvack, durante l’incontro sono stati affrontati: gli aspetti giuridici legati all’Informativa non finanziaria, di trasparenza con riferimento alle raccomandazioni della Task Force on Climate-related Financial Disclosures del Financial Stability Board, il ruolo degli amministratori i,dipendenti in materia di cambiamento climatico.
L’inquadramento giudirico ha preso avvio dalla Direttiva 2014/95/UE sul tema della comunicazione di informazioni di carattere non finanziario che contiene un riferimento generico alle questioni ambientali e chiede agli emittenti di pubblicare informazioni sullo sviluppo, il risultato e l’impatto che l’attività della società ha sull’ambiente. Nessun riferimento specifico, dunque, al cambiamento climatico.
Il Decreto Legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 di recepimento della direttiva obbliga da quest’anno gli emittenti con caratteristiche definite a pubblicare la relazione non finanziaria. Il decreto legislativo è più specifico della direttiva e richiede informazioni aggiuntive e più dettagliate: agli emittenti viene chiesto di pubblicare informazioni sull’utilizzo di risorse energetiche, sull’impiego di risorse idriche e sulle emissioni di gas ad effetto serra oltre che valutare, sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, l’impatto sull’ambiente associato ai vari fattori di rischio.
Riferimenti espliciti all’impatto del cambiamento climatico compaiono invece negli ‘Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario’, comunicazione della Commissione Europea del Luglio 2017. La comunicazione include tra le informazioni da pubblicare anche quelle relative all’impatto atteso dagli scenari di cambiamento climatico sulla strategia e sull’attività della società, con esplicito riferimento agli scenari elaborati dagli istituti di ricerca sul cambiamento climatico. La comunicazione definisce inoltre le informazioni relative all’impatto del cambiamento climatico come ‘strategiche e lungimiranti’.
Seguendo la ratio della direttiva, che è quella di obbligare le società a pubblicare informazioni che riguardano il medio-lungo termine, la Commissione definisce quelle sul cambiamento climatico come informazioni, a medio-lungo termine, che hanno impatto sulla performance aziendale.
Anche le linee guida ‘Your guide to ESG reporting’, pubblicate dal London Stock Exchange Group nel febbraio 2017 per la redazione delle informazioni non finanziarie, includono tra le informazioni da pubblicare quelle relative al cambiamento climatico.
Tuttavia, il riferimento più completo da seguire per assicurare la corretta rappresentazione di queste informazioni è contenuto nelle ‘Recommendations of the Task Force on Climate-related Financial Disclosures’ pubblicate nel giugno 2017 dal Financial Stability Board.
L’obbligo di trasparenza per le informazioni relative all’impatto del cambiamento climatico sorge in applicazione del principio generale stabilito dalla direttiva che lo prevede in relazione alle attività che possono costituire un fattore di rischio per le aziende: la pubblicazione ne consente il monitoraggio e la gestione. Le società sono dunque tenute a pubblicare informazioni sul cambiamento climatico se lo ritengono un fattore di rischio.
Seguendo le raccomandazioni della Task Force, il cambiamento climatico genera rischi legati alla transizione verso un’economia a bassa emissione di gas serra, ed inoltre rischi fisici. Gli Stati firmatari della Conferenza di Parigi sul clima sono obbligati alla riduzione delle emissioni di gas serra e dunque chiederanno alle aziende lo stesso impegno. Questo comporterà per le aziende impatti di transizione e adeguamenti del loro modello di business e i Board di queste aziende saranno responsabili dell’accuratezza delle informazioni relative alle modalità con le quali le società vorranno affrontare gli impatti in termini di rischi e di opportunità.
Ai consiglieri di amministrazione, il D.Lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 richiede diligenza e professionalità, criterio, quest’ultimo, che il nostro codice civile prevede solo per i membri del collegio sindacale, evidenziando così la necessità che i consiglieri abbiano perizia anche in tema di cambiamento climatico e siano consapevoli di rischi e opportunità che possono derivarne.
I rischi giuridici legati ai cambiamenti climatici sono di varia natura, a giudicare da procedimenti conclusi o in corso pur se in altri ordinamenti.
USA 2017. Il Procuratore distrettuale della contea di New York ha avviato un’azione civile per danni per frode contro la Exxon Mobil, accusata di aver pubblicato negli anni informazioni non corrette perché non ha tenuto in adeguata considerazione i rischi derivanti dal cambiamento climatico sulla propria attività. L’effetto sarebbe una sovrastima degli asset derivante dall’impossibilità per l’azienda di usare le sue riserve petrolifere, se non in quantità molto limitata, nei prossimi anni.
USA 2015. la Peabody Energy, gigante del carbone, ha concluso con una transazione il giudizio derivante dalla mancata considerazione nel bilancio delle previsioni dell’International Energy Agency sul futuro della domanda di carbone. I giudici hanno dimostrato che l’azienda aveva considerato la futura riduzione della domanda di carbone ma non ne aveva valutato l’impatto finanziario.
UK 2009. L’associazione studentesca “People and planet” ha citato in giudizio il Ministero del Tesoro in qualità di principale azionista di Royal Bank of Scotland chiedendo che la banca finanziasse solo aziende che tutelano i diritti umani e l’ambiente. La Corte ha dato ragione al Tesoro che, come azionista della banca, persegue un obiettivo di profitto, indicando tuttavia il danno reputazionale che può derivare dal finanziamento di aziende non impegnate nella tutela dei diritti umani e dell’ambiente come driver nella selezione della clientela.
Oggi le banche sono sempre più tenute a valutare i rischi derivanti dalla loro esposizione con aziende il cui valore è legato alle riserve fossili. Bank of England, nel corso della sua attività di vigilanza, utilizza già stress test per verificare se le banche vigilate si pongono il problema del cambiamento climatico nelle politiche di finanziamento e la comunicazione della Commissione europea chiede alle banche di valutare gli impatti sociali e ambientali dei progetti da finanziare. Gli stessi investitori istituzionali e gestori devono tener conto dell’impatto ambientale per capire se gli investimenti saranno remunerativi nel medio-lungo termine.
BNP Paribas ha già fatto un passo avanti nel supporto alla transizione energetica e dichiarato di portare entro il 2020 a 15 miliardi il finanziamento ad aziende che investono nelle energie rinnovabili, non finanziando più attività legate ad estrazione e uso di carbone e petrolio.
Per le compagnie assicurative, invece, l’impatto del cambiamento climatico ha già fatto sentire i suoi effetti nefasti, facendo registrare perdite del 30% a livello mondiale negli ultimi trent’anni. La Bank of England ha mostrato come l’impatto finanziario dei rischi climatici sulle imprese assicurative sia notevolmente cresciuto a partire dal 1980 e riguardi sia rischi assicurati che non assicurati.

Il cambiamento climatico si inserisce nel quadro più ampio della responsabilità sociale delle imprese che è tema dibattuto dagli anni ’70 ma con un focus in evoluzione, in ragione dei mutamenti economici e sociali, della globalizzazione, della crisi economica dell’ultimo decennio.
La CSR e i temi legati all’ambiente sono oggi oggetto di discussione all’interno delle aziende per ragioni in larga parte riconducibili a: Costruzione/ricostruzione di una reputazione; Aderenza al mercato; Competitività; Compliance; Gestione adeguata dei rischi; Definizione di una strategia di lungo termine coerente con gli obiettivi di breve. L’attenzione all’ambiente è diventata motivo di consenso e fidelizzazione dei clienti, i cambiamenti sociali hanno fatto nascere nuove categorie di consumatori che chiedono nuovi prodotti e servizi e dunque le risposte alle variazioni della domanda assicurano alle aziende la competitività sul mercato. La decennale crisi economica, infine, ha fatto registrare una crescente attenzione all’analisi e al controllo dei fattori di rischio e alla definizione di strategie di medio-lungo periodo. La riduzione dei gas serra per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2° C è un obiettivo sempre più condiviso dalle aziende tanto che anche le imprese americane continuano ad adottare politiche di attenzione al cambiamento climatico (nonostante l’amministrazione USA sia fuori dagli accordi di Parigi) perché hanno una base di clientela, risorse umane e investitori che chiedono impegno su questi fronti.
E il cambiamento climatico, tra i temi ambientali, sta assumendo una connotazione di rischio crescente, tanto che tra i 10 rischi rilevati dal World Economic Forum come quelli con la più alta probabilità di verificarsi nei prossimi 10 anni, e con il maggiore impatto, 3- 4 sono legati proprio al cambiamento climatico.

La disclosure diventa dunque un elemento fondamentale per le aziende per prevedere ed affrontare gli impatti e cogliere le opportunità del cambiamento climatico e il punto di riferimento per effettuarla con l’adeguata trasparenza è rappresentato dal modello creato dalla Task Force del Financial Stability Board.
La Task Force ha individuato rischi di transizione: policy e rischi giuridici; rischi tecnologici; rischi di mercato; rischi di reputazione e rischi fisici. Le opportunità risiedono in una maggiore efficienza nell’uso delle risorse; una riduzione dei costi legata all’uso di energie alternative; l’apertura verso nuovi mercati e la resilienza, ossia la capacità di adattamento del modello di business che garantisce la sopravvivenza dell’impresa nel lungo periodo.
In relazione a questi rischi e opportunità, la Task Force ha delineato i principi di disclosure e le aree core.

La Governance. Il Board deve attivare un impegno forte verso i rischi e le opportunità legati al cambiamento climatico e nelle raccomandazioni vengono indicate, come informazioni da fornire: il ruolo del Board in qualità di supervisore, in merito a rischi e opportunità, e la descrizione del ruolo del management nella valutazione e gestione degli stessi rischi e opportunità.
La Strategia. Occorre individuare gli impatti attuali e potenziali che i rischi e le opportunità legate al clima possono avere sull’organizzazione, sulla strategia e sul planning finanziario. Per gli impatti nel medio-lungo termine, occorre adottare strumenti specifici, come gli “scenario analysis” che consentono alle aziende di fornire anche informazioni relative al grado di resilienza della strategia aziendale.
L’attività di Risk Management è legata a: descrizione dei processi organizzativi utili a definire rischi e opportunità; gestione di rischi e opportunità; descrizione della modalità di integrazione di questi processi nell’attività complessiva di risk management.
Le “metriche” vengono usate per determinare l’impatto finanziario del cambiamento climatico nel lungo periodo e dunque la disclosure riguarderà quali metriche vengono adottate e qual è l’obiettivo di lungo periodo che l’azienda definisce (target).
In tema di disclosure, lo sforzo maggiore è richiesto per la strategia che implica la scelta e l’uso degli scenari, lo strumento che aiuta le aziende a gestire l’incertezza delle previsioni nel lungo periodo. Gli scenari, tuttavia, non sono strumenti di predizione del futuro e neppure una descrizione di cosa accadrà. ‘Gli scenari consentono a un’organizzazione di esplorare e sviluppare una comprensione di come varie combinazioni di rischi legati al clima, sia di transizione che fisici, possono influenzare sue attività, strategie e performance finanziarie nel tempo’ (TCFD Report). Gli scenari consentono dunque di fare una previsione nel lungo periodo sulle conseguenze di talune azioni o non azioni di oggi, oppure aiutano a capire cosa fare oggi per avere nel lungo periodo il risultato previsto dallo scenario prescelto e ogni azienda sceglie lo scenario al quale fare riferimento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Maritana Rinaldi – Associata Ned e membro del Comitato Editoriale della Rivista della quale è Segretaria di redazione. Laurea in Scienze Politiche e master in Studi Europei e in Business Administration. Inizia la sua carriera nel Gruppo l’Espresso, poi in Manpower e dal 2011 business consultant. ([email protected])


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