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Diciamo la nostra

Intervista a Ferdinando Superti Furga

Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.

In questo numero ospitiamo l’intervista a Ferdinando Superti Furga (*) che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

L’intervista

Qual è, secondo lei, il livello della governance in Italia rispetto agli altri paesi europei aderenti ad EcoDa?

Per rispondere alla prima domanda è necessario muovere da due premesse:

  • storicamente le normative che presiedono alla corporate governance in Italia e in altri Paesi sono assai diverse;

  • il sistema delle aziende, strutturate come società, in Italia ha peculiarità che si riscontrano solo parzialmente in altri Paesi.

In Italia, fin dai tempi in cui vigeva il codice di commercio, il legislatore ha ritenuto necessario affiancare agli amministratori dotati di poteri gestori professionisti indipendenti con compiti di controllo generale. Questi professionisti indipendenti, nel nostro ordinamento giuridico, sono denominati sindaci con i compiti che conosciamo. Nell’ordinamento di altri Paesi non esiste la figura del sindaco, ma si è avvertita la necessità di affiancare agli amministratori dotati di poteri di gestione professionisti con funzioni generali di controllo, denominati amministratori indipendenti. L’evolvere nel nostro Paese delle normative ha recepito quanto statuito altrove ed ha introdotto la figura di amministratore indipendente che affianca il collegio sindacale.
In un primo momento vi era la sensazione di una sovrapposizione, almeno parziale, tra i compiti degli amministratori indipendenti, normalmente operanti nell’ambito di determinati comitati, e quelli del collegio sindacale.
La normativa secondaria, e soprattutto la prassi operativa, hanno meglio distinto i compiti dei comitati formati da amministratori indipendenti da quelli del collegio sindacale. I primi hanno funzioni prevalentemente istruttorie e propositive, quali organi consultivi del consiglio di amministrazione, mentre al collegio sindacale sono demandati i compiti statuiti dal legislatore.
In sintesi, posso affermare che la corporate governance nelle maggiori società del nostro Paese, in specie quelle le cui azioni sono quotate sui mercati regolamentati, è molto migliorata nel tempo ed oggi non è sicuramente di qualità inferiore a quella di altri Paesi.
Come è noto, oltre alla struttura societaria tradizionale il legislatore ha offerto la possibilità di ricorrere a strutture alternative quali il sistema dualistico di matrice tedesca e il sistema monistico di matrice inglese che, di fatto, nel nostro Paese non hanno avuto le applicazioni che forse avrebbero meritato.
Il sistema dualistico, è stato forse snaturato nella versione italiana. L’efficace applicazione del sistema dualistico nella sua versione originaria presuppone il superamento della cultura che accetta la cosìdetta lotta di classe. Infatti, in  Germania nel consiglio di sorveglianza sono presenti i rappresentanti dei lavoratori. Un sistema con queste caratteristiche probabilmente non sarebbe stato accettato nel nostro Paese né dai sindacati né dalla Confindustria. Avrebbero potuto, a mio avviso, trovare maggiori consensi nelle aziende di medie dimensioni controllate dalle cosidette dinastie borghesi di seconda e terza generazione.
Nel consiglio di sorveglianza avrebbero potuto trovare composizione  le esigenze talvolta contrastanti dei singoli azionisti per realizzare poi l’unità di indirizzo nel consiglio di gestione.
Il sistema monistico sembra trovare sostenitori in alcuni ambienti. E’ il sistema prevalente in molti Paesi. Di fatto, il Comitato per il controllo sulla gestione è assimilabile al Comitato di controllo e rischi indicato nel Codice di Autodisciplina cui si aggiungono le funzioni di vigilanza nel sistema tradizionale assegnato al collegio sindacale, organo che nel sistema monistico scompare. Per ora ha ben scarse applicazioni nel nostro Paese.
Per quanto concerne il secondo aspetto è ben noto che il sistema industriale italiano si differenzia da quello di altri Paesi a noi strutturalmente vicini per il numero notevole di aziende di medie e piccole dimensioni per cui i paragoni diventano difficili per l’eterogeneità degli universi da confrontare.
La struttura aziendale in Italia in molti casi evidenzia dimensioni non adeguate alla globalizzazione dei mercati. Questa situazione può però costituire un punto di forza se le aziende sono in grado di formare idonee filiere produttive o strutture a rete che mantengano l’originale flessibilità di gestione, ma siano in grado di sopperire alle ridotte dimensioni delle singole unità con il sistema integrato di cui sono elementi costitutivi. La corporate governance in questi casi assume aspetti particolari secondo le differenti specificità.


Condivide i rilievi che emergono dal Rapporto annuale 2014 della Consob sul governo societario?

Il Rapporto pubblicato dalla Consob relativo al 2014 è ampio e articolato ed evidenzia le linee principali che caratterizzano il sistema industriale del nostro Paese con riferimento alla Corporate Governance. Un primo elemento che palesa il Rapporto è l’elevata concentrazione di controllo che per il 61 per cento fà riferimento a gruppi familiari.
La recente normativa, che consente in determinati casi quale premio di fedeltà il voto plurimo, dovrebbe esaltare ulteriormente il fenomeno. La sua applicazione tende ad ostacolare la contendibilità dei pacchetti azionari di controllo contrastando le possibilità di ricambio dell’azionariato di riferimento.
E’ da osservare tuttavia che la dinamica dei mercati, in specie dopo il processo di globalizzazione in atto, rende particolarmente problematica la continuità alle imprese non in grado di procedere con decisione e rapidità alla ristrutturazione dei processi produttivi richiesta dai mercati.
Il Rapporto offre interessanti informazioni sulla progressiva diminuzione delle cosidette catene societarie ove si tende a svolgere la funzione di controllo con limitate quantità di capitale investito.
Si nota l’affermazione di investitori istituzionali quali fondi di venture capital e di private equity.
Se da un lato l’apporto di capitale di rischio porta ad una più efficace struttura finanziaria delle imprese, nel nostro Paese caratterizzata da notevole ricorso al credito, dall’altra però vi è il rischio che gli azionisti di riferimento abbiano una visione temporale di breve periodo; tendendo cioè a realizzare un capital gain che consenta loro di uscire dall’investimento realizzando interessanti plusvalenze nel più breve tempo possibile.
Il Rapporto considera poi le strutture dei consigli di amministrazione rilevando un progressivo miglioramento qualitativo per le caratteristiche dei singoli amministratori e per la varietà di composizione del consiglio stesso.
Alla fine del 2013 gli organi di amministrazione delle società quotate sono composti per quasi la metà da amministratori indipendenti.
Questa alta percentuale ci dà la contezza del grande rilievo che va assumendo questa figura di professionista nel generale contesto dell’economia.
Infatti, nelle imprese convergono interessi di varia natura a volte tra loro contrastanti.
Nell’ambito degli interessi, che potremmo definire interni, vi sono quelli degli azionisti di riferimento che si differenziano dai rimanenti conferenti di capitale, vi sono gli interessi dei massimi dirigenti e quelli dei lavoratori con semplici funzioni operative. Tra gli interessi che di contro potremmo definire esterni, si annoverano i clienti, i fornitori, l’ambiente inteso in senso lato, in cui l’azienda opera. L’impatto che l’attività economica produce sull’ambiente esterno, inteso non solo in senso fisico, è oggi evidenziato dal bilancio di sostenibilità.
L’amministratore indipendente non ha per definizione compiti esecutivi, ma funzioni di controllo in senso lato. Queste funzioni si caratterizzano nella verifica che le operazioni di gestione tendano al conseguimento delle finalità aziendali che, prima facie e in estrema sintesi, potemmo indicare come la produzione di ricchezza. Finalità che ovviamente devono essere realizzate nel rispetto del sistema di vincoli normativi e metagiuridici che condizionano l’evolvere della gestione imprenditoriale.
Le finalità aziendali trascendono quelle di soggetti o gruppi titolari degli interessi interni convergenti nell’impresa quali i conferenti del capitale di comando e subalterno, i massimi dirigenti e i lavoratori esecutivi.
Compito dell’amministratore indipendente è quello, nei limiti dei poteri di cui dispone, di mitigare i contrasti in modo che alcuni interessi non possano prevalere rispetto alle generali finalità aziendali.


Quali azioni suggerirebbe a Nedcommunity per migliorare la Corporate Governance in Italia?

L’amministratore indipendente è una figura professionale nuova con compiti specifici. Mi sembra che per migliorare la corporate governance in Italia, Nedcommunity debba organizzare incontri, tavole rotonde ed altro, per favorire la formazione di queste figure professionali.
La partecipazione dell’amministratore indipendente ai consigli nelle grandi aziende ha caratteristiche differenti rispetto alle partecipazioni ai consigli nelle aziende medio-piccole a struttura societaria familiare.
La gestione aziendale è sempre un problema di scelte tra alternative possibili. Il criterio non può che essere la razionalità. Non è tuttavia possibile considerare un criterio di razionalità assoluta con l’analisi di tutte le alternative possibili.
Si tratta pur sempre di una razionalità relativa alle alternative che si ritiene conveniente prendere in esame.
Ovviamente, le caratteristiche professionali, le conoscenze specifiche del settore in cui l’azienda opera e soprattutto la familiarità con le problematiche aziendali pone l’amministratore indipendente su un piano completamente diverso rispetto al C.E.O.
Talora nell’ambito dei consigli di amministrazione si assiste a discussioni su scelte operative specifiche ove emergono opinioni differenti tra il C.E.O.e gli amministratori indipendenti. Si rileva la sterilità di tali discussioni che possono anche danneggiare la gestione proprio per la disparità di conoscenze che solo in pochissimi casi possono essere considerate comparabili.
La funzione dell’amministratore indipendente è principalmente il controllo della razionalità di formazione del processo decisorio. Cioè, se nell’ambito delle cosidette razionalità limitate si sono prese in esame le alternative possibili e quindi nell’ambito di queste con quali criteri è stata determinata la scelta.
Particolare attenzione deve porre l’amministratore indipendente nell’analisi del rapporto tra rischi e benefici attesi. Analisi dei rischi che in molti casi comporta l’esame delle compatibilità tra le iniziative imprenditoriali che si vuole intraprendere e la struttura finanziaria della società, il sistema tecnologico di cui può disporre è last, but not least le capacità manageriali dell’azienda medesima.
Sembra quindi opportuno che il professionista che intenda svolgere il ruolo di amministratore indipendente abbia una vasta cultura aziendalistica, maturata in esperienze diverse e parimenti abbia l’autorevolezza per poter far valere, nell’ambito dei consigli di amministrazione, le proprie considerazioni anche di fronte agli amministratori esecutivi che per definizione possono disporre di migliori e più ampie informazioni e quindi di maggiori conoscenze specifiche sui temi da trattare.
Nelle società di medie dimensioni la funzioni dell’amministratore indipendente può essere diversa, pur sempre di grande rilievo. Nei confronti dell’imprenditore-capitalista fondatore dell’impresa, può portare la sua esperienza maturata in contesti diversi di cui normalmente non dispone l’imprenditore. E’ possibile che in queste aziende si radichino comportamenti gestionali, basati su tradizioni non più compatibili con l’evolvere dell’ambiente e dei mercati in cui l’azienda opera. In questi casi l’apporto critico dell’amministratore indipendente può assumere profili significativi. Qualora poi nelle aziende a controllo familiare si giunge alla seconda e alla terza generazione si aggiunge la grande funzione dell’amministratore esterno alla famiglia ed indipendente rispetto ai differenti gruppo familiari per comporre le naturali diverse aspettative che hanno gli azionisti condizionati dalle singole posizioni personali.
In estrema sintesi, per rispondere al quesito ritengo che Nedcommunity debba assumere tutte le iniziative possibili, articolate secondo gli strumenti tecnici ritenuti più opportuni per:

  • configurare il profilo teorico-ideale del professionista che intende assumere incarichi come amministratore indipendente;

  • delineare le funzioni dell’amministratore indipendente in differenti contesti.

A titolo esemplificativo, ma non esaustivo si indicano i seguenti contesti:

  • società quotate;

  • società non quotate, ma ad azionariato diffuso;

  • società a controllo familiare dominate dall’imprenditore-capofamiglia;

  • società a controllo familiare di II e III generazione;

  • società a partecipazione pubblica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Ferdinando Superti Furga è professore emerito di Economia Aziendale nell’Università di Pavia. E’ autore di un centinaio di pubblicazioni. Dottore commercialista svolge attività, nell’ambito delle valutazioni e del bilancio nonché quella di consulente tecnico in procedimenti giudiziari civilistici e penali. E’ stato membro di organi societari di una ventina di grandi aziende, di cui nove con azioni quotate in Borsa, prevalentemente come presidente del collegio sindacale. Attualmente ricopre le seguenti cariche in società quotate: Mondadori SpA presidente del Collegio Sindacale, Saras Spa presidente del Collegio Sindacale, Telecom Spa sindaco effettivo. ([email protected])

Le interviste precedenti sono state fatte a:

Gianmaria Gros Pietro _luglio 2010 (N° 4);
Giovanni Maria Garegnani _ottobre 2010 (N° 5);
Carolyn Dittmeier _gennaio 2011 (N°6);
Mario Noera _aprile 2011 (N°7);
Maria Luisa Di Battista _luglio 2011 (N° 8);
Ferruccio Carminati _ottobre 2011 (N° 9);
Salvatore Maccarone _gennaio 2012 (N° 10);
Giancarlo Pagliarini _luglio 2012 (N° 12);
Marco Cecchi de’ Rossi _ottobre 2012 (N° 13);
Alberto Battecca _gennaio 2013 (N° 14);
Roberto Cravero _aprile 2013 (N° 15);
Marco Rescigno _luglio 2013 (N° 16);
Elisabetta Magistretti _ottobre 2013 (N° 17);
Marco Onado _febbraio 2014 (N° 18);
Enrico Maria Bignami _maggio 2014 (N° 19);
Laura Iris Ferro _luglio 2014 (N° 20);
Elisabetta Oliveri _novembre 2014 (N° 21);
Piero Manzonetto _febbraio 2015 (N° 22)


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