Chi è e come si diventa consigliere indipendente
A oggi non esiste un albo o una certificazione univoca per i consiglieri indipendenti. La figura è regolata da norme come il TUF, dai codici di autodisciplina e dai regolamenti interni delle singole società, soprattutto quotate. Restano però aperte delle domande: come si può definire un consigliere indipendente? Parola all’esperto
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Nella governance contemporanea il consigliere indipendente è diventato molto più di una figura di garanzia. È un osservatore competente, un interlocutore vigile, un custode della visione di lungo periodo. La sua presenza nei Consigli europei non risponde soltanto a un obbligo normativo ma rappresenta un presidio strategico che contribuisce all’equilibrio e alla trasparenza delle decisioni. E quando il ruolo viene interpretato con vera autonomia di pensiero, diventa una forza capace di orientare la sostenibilità e la qualità della leadership aziendale.
La cornice normativa italiana e il concetto di indipendenza
Il sistema italiano offre una cornice articolata, con il TUF a dettare i principi per le quotate, i codici di autodisciplina a definire le migliori prassi e i regolamenti interni a precisare criteri di selezione e funzionamento. Tuttavia, l’essenza del ruolo non emerge dalle norme, ma dalla capacità di interpretarle. È qui che l’indipendente si affida al general counsel, figura spesso discreta ma decisiva, custode della coerenza procedurale e della qualità documentale che sorregge ogni decisione del Consiglio.
Il cuore della funzione resta l’indipendenza, intesa prima di tutto come postura etica. Essere indipendenti significa mantenere la mente libera da pressioni, evitare allineamenti automatici con gli azionisti che hanno sostenuto la nomina e valutare con lucidità le scelte del management. Richiede coraggio, equilibrio e la capacità di sostenere un dissenso costruttivo quando le circostanze lo richiedono. A questa dimensione interiore si affianca l’indipendenza di fatto, più facilmente verificabile, che esclude rapporti economici significativi, incarichi esecutivi recenti, legami familiari con chi dirige l’azienda o permanenze troppo lunghe che rischiano di compromettere l’autonomia.
La credibilità dell’indipendente si misura anche nella sua preparazione. Non basta conoscere la normativa, occorre una visione sistemica capace di abbracciare modelli di business complessi, rischi regolamentari in continua evoluzione, dinamiche tecnologiche e mutamenti geopolitici. Serve integrità, ma anche metodo, capacità analitica e un equilibrio economico personale che consenta di esercitare il mandato senza condizionamenti. In questa dimensione operativa, la collaborazione con il general counsel permette di trasformare i principi in prassi, ancorando le scelte del Consiglio a una solida architettura di processi e controlli.
Come si diventa ned
Il percorso che conduce a diventare consigliere indipendente non è univoco. Anzi, la forza di questa funzione risiede proprio nella varietà dei profili che vi confluiscono. Ci sono generalisti che hanno maturato una visione ampia in grandi gruppi o enti pubblici, specialisti in audit, cyber security, ESG, intelligenza artificiale e innovazione dirigenti senior in transizione verso ruoli di governance, imprenditori che mettono a disposizione l’esperienza accumulata nelle PMI; professionisti della governance formati attraverso programmi internazionali. Questa eterogeneità alimenta un dibattito ricorrente: sarebbe utile un albo professionale per definire standard minimi e aumentare la trasparenza? Le esperienze europee suggeriscono prudenza. In Lussemburgo il registro volontario gestito dall’ILA funziona perché il mercato lo riconosce, in Francia la formazione è diffusa ma non vincolante, in Belgio un tentativo di registro nazionale è stato abbandonato, in Germania il modello duale favorisce certificazioni settoriali nei contesti più regolamentati. La lezione è chiara che un albo è utile solo se nasce come strumento volontario e riconosciuto. Quando diventa obbligatorio, soprattutto per le PMI, genera rigidità e resistenze.
Anche la nomina e il funzionamento dell’indipendente richiedono un approccio maturo. L’esperienza dimostra che il ruolo funziona meglio quando l’indipendente non è isolato, quando la rotazione garantisce freschezza di sguardo e quando la selezione si basa su competenze, esperienze e diversità reali. Un onboarding strutturato, una formazione continua che non si limiti a coprire una casella formale e una cooperazione costante con il general counsel fanno la differenza nella qualità delle decisioni e nella capacità del Consiglio di affrontare le situazioni più delicate.
Naturalmente non mancano le sfide. Alcune sono personali, come il rischio di autoreferenzialità o la dipendenza economica che può condizionare la libertà di giudizio. Altre sono sistemiche poiché le nomine sono influenzate dagli azionisti, l’indipendenza rischia di essere solo apparente e la cultura della governance è ancora debole in molte PMI. Essere consapevoli di queste criticità non significa dubitare del ruolo, ma riconoscerne la complessità e sviluppare gli anticorpi necessari per interpretarlo al meglio.
Le competenze dell’indipendente
Lo scenario europeo si muove verso un futuro che richiede competenze sempre più tecniche a fronte di una responsabilità più ampia. L’attenzione all’ESG, la digitalizzazione dei processi decisionali, la diffusione dell’intelligenza artificiale e la ricerca di standard comuni fra Stati membri stanno spingendo la governance verso un livello di professionalizzazione superiore. Non è irragionevole immaginare, nei prossimi anni, strumenti sovranazionali per facilitare la comparabilità dei profili e la mobilità dei professionisti della governance.
In questo contesto in continua trasformazione, il consigliere indipendente rimane la figura chiamata a tenere insieme visione e prudenza, libertà intellettuale e responsabilità sociale. Il suo valore non risiede solo nella capacità di dire sì o no, ma nell’abilità di comprendere, contestualizzare, prevedere e, quando necessario, opporsi. L’amministratore trova nel general counsel un alleato indispensabile e insieme formano un binomio che protegge l’interesse sociale e contribuisce a costruire un futuro di prosperità e sostenibilità per le organizzazioni.
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Bruno Abbate: certified board member

