Approfondimenti

I programmi assicurativi per la protezione dei Directors & Officers in ambito internazionale

Pubblicato il 26/9/2019 sul numero 40 de La Voce Degli Indipendenti

Premessa

Lo svolgimento di attività d’impresa in un’economia globale e l’esigenza di protezione da rischi di portata transnazionale

In un’economia globalizzata come quella attuale anche le piccole imprese sono sempre più spesso in affari con fornitori e clienti di nazionalità diversa.

In effetti, per una serie di intuibili ragioni legate al sempre più frenetico e articolato progresso tecnologico, fare business al di fuori del proprio paese d’origine non è mai stato così facile ed è sostanzialmente alla portata di qualsiasi tipologia di impresa, a prescindere dalla complessità del suo assetto organizzativo.

Sotto questo profilo, basti pensare che lo svolgimento di attività di vendita e acquisto di beni e servizi in modalità e-commerce permette all’azienda di entrare continuamente in contatto con soggetti situati sia dentro che fuori i suoi confini nazionali, con conseguente accesso ad una pluralità potenzialmente infinita di mercati, anche in assenza di una presenza stabile in Paesi esteri.

Alle opportunità che lo scenario attuale offre all’imprenditore fa tuttavia da contraltare un aumento potenzialmente molto significativo della sua esposizione a rischi di responsabilità verso terze parti: la quale esposizione assume anch’essa, nella grande maggioranza dei casi, una dimensione internazionale che sarebbe stata impensabile anche in un passato molto recente[1].

Il fatto stesso che la realtà virtuale di internet sia priva di confini fa sì che qualsiasi azienda che promuova le proprie attività attraverso un sito web (il che oggi equivale a dire “qualsiasi azienda” tout court) sia di per sé soggetta a rischi di responsabilità di portata transazionale, anche nell’ipotesi in cui non eserciti il proprio business – o lo eserciti in maniera molto limitata – all’estero[2].

Naturalmente, l’esposizione a rischi di responsabilità situabili al di fuori dei confini nazionali si espande in modo significativo nei casi in cui l’azienda attiva su mercati esteri abbia anche una presenza diretta in tali Paesi terzi, in quanto organizzata in forma di gruppo societario con controllate estere, oppure per effetto dell’apertura di una o più unità locali (c.d. branch o succursali). Tale impatto investe anche le sfere patrimoniali dei suoi executives operanti presso sedi diverse da quella centrale, per effetto della loro esposizione al rischio di azioni di responsabilità soggette a ordinamenti diversi da quello della casamadre.

L’esposizione a rischi dei Directors & Officers di imprese multinazionali e le difficoltà “di sistema” nel garantire loro adeguata (e omogenea) tutela assicurativa

Come si è accennato, le principali criticità che caratterizzano l’esposizione di un’impresa multinazionale e dei suoi executives a rischi di responsabilità c.d. “cross-border” sono riconducibili al fatto che tale tipologia di impresa opera per definizione in contesti caratterizzati da una molteplicità di sistemi giuridici e pertanto deve misurarsi con leggi, regolamenti, attitudini e prassi operative degli enti regolatori locali spesso contrastanti, e comunque disomogenei, rispetto a quelli del Paese d’origine.

Tali difficoltà sono ovunque sempre più rilevanti, tenuto conto della crescente complessità degli scenari locali sotto il profilo normativo e regolamentare, fiscale, attinente al contenzioso in materia di responsabilità civile, e così via.

Per quanto riguarda, in particolare, i rischi di responsabilità per danni arrecati nell’esercizio di funzioni di amministrazione e controllo facenti capo agli executives di grandi imprese multinazionali, vale la pena di menzionare, tra i fattori più eclatanti di crescente complessità della loro gestione a livello “cross-border“, la recente evoluzione delle normative locali in materia di c.d. “securities class action“, che oggi offrono a consumatori e investitori significative opportunità di agire efficacemente in giudizio nei confronti dei grandi gruppi per il ristoro di danni sofferti da più o meno ampie categorie di soggetti titolari di interessi assimilabili[3].

Più in generale, in tutte le giurisdizioni dei Paesi occidentali si registra un progressivo aumento statistico del numero delle aggiudicazioni giudiziali e degli accordi transattivi raggiunti all’esito di contenziosi volti a far valere profili di responsabilità di amministratori e sindaci di società di capitali, molto spesso caratterizzati da pretese risarcitorie di valore esorbitante nei confronti di tali soggetti.

Com’è facilmente intuibile, il fenomeno appena menzionato ha numerose ricadute sulla sfera della gestione dei rischi d’impresa. In effetti, le grandi organizzazioni imprenditoriali con controllate, filiali o succursali in diversi Paesi devono essere in grado di garantire ai propri executives (e ai loro patrimoni) una copertura assicurativa efficace e di qualità rispetto ai molteplici rischi di responsabilità verso terzi cui tali soggetti sono esposti.

La colpevole sottovalutazione di questo aspetto può portare l’azienda e i suo D&O, nei casi più gravi, a ritrovarsi privi di copertura assicurativa a fronte di ingenti richieste risarcitorie. Peraltro, una siffatta situazione di inadeguata protezione potrebbe diventare evidente soltanto a giochi fatti, cioè successivamente all’effettivo verificarsi di un determinato sinistro. L’azienda, inoltre, potrebbe trovarsi esposta a multe e sanzioni amministrative in uno o più dei Paesi in cui opera.

Più in generale, la vera sfida che un risk manager di un gruppo multinazionale deve affrontare sul fronte assicurativo consiste nel riuscire a fare in modo che il programma di assicurazione che intende attivare permetta ai suoi beneficiari di fruire di una copertura quanto più possibile omogenea (dal punto di vista sia dei limiti di indennizzo messi a disposizione degli assicurati, sia delle condizioni contrattuali applicabili) in tutte le giurisdizioni in cui opera l’impresa, oltre che coerente con le tipologie di esposizione che si intende coprire e pienamente in linea con le normative locali.

Tra le insidie cui l’impresa multinazionale si trova tipicamente a dover far fronte nel perseguire questo complesso obiettivo assume rilevanza, ad esempio, la circostanza che in molti Paesi la legge non permette alle società commerciali di indennizzare direttamente i propri D&O.

Inoltre, diverse normative nazionali vietano l’esercizio dell’attività assicurativa a compagnie non autorizzate in base alla normativa locale (c.d. assicuratori “non-admitted“) e impongono invece che le polizze siano acquistate localmente[4]. Questo significa che le società o i gruppi che intendano proteggersi da rischi di responsabilità afferenti al proprio business devono essere in grado di accedere a mercati assicurativi anche lontani e di gestire e risolvere svariate problematiche tecniche e linguistiche spesso di matrice squisitamente locale.

Tra le altre cose, il risk manager competente e il suo assicuratore “non-admitted” dovranno far fronte, allorché si addivenga alla necessità di coprire eventuali sinistri, all’esigenza di garantirsi la disponibilità di risorse tecniche e legali in grado di padroneggiare il contesto normativo ed economico-sociale in cui ciascuno di tali sinistri si sia verificato.

A ciò si aggiunga che, anche nei casi in cui la normativa del Paese in cui è situato l’interesse da proteggere consenta l’assicurazione da parte di compagnie non autorizzate localmente (c.d. assicurazioni “non-admitted permitted“), non si può escludere un certo grado di incertezza e complessità legato all’imposizione ex lege di eventuali condizioni restrittive all’attività di tali assicuratori (in forma, di volta in volta, di maggiori imposte dovute sui premi assicurativi o sulle transazioni riconducibili al pagamento di sinistri, ovvero di ulteriori requisiti da soddisfare a livello regolamentare)[5].

In aggiunta, la multinazionale acquirente di una assicurazione “non-admitted permitted” resta esposta a sempre più diffusi atteggiamenti di maggiore severità e crescente “attivismo” da parte delle autorità locali di regolamentazione assicurativa e finanziaria. Particolarmente rischiosa è l’eventualità che l’ente regolatore competente si arroghi la facoltà di ridefinire l’ambito di coperture assicurative acquistate da assicuratori non autorizzati localmente, al fine di attrarle nella sfera di applicazione della legislazione nazionale ed intervenire con l’applicazione di imposte e sanzioni non preventivate al momento dell’acquisto di un certo programma internazionale[6].

Il quadro appena tratteggiato rivela (seppur in modo necessariamente sommario) quanto la gestione di un programma assicurativo multinazionale possa essere enormemente complessa.

In certi casi, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, una soluzione accettabile per l’acquirente multinazionale potrebbe essere quella di muoversi sempre tramite le proprie filiali territoriali per l’acquisizione di polizze assicurative locali in ciascun Paese in cui esercita il suo business. Questo approccio, tuttavia, comporta notevoli difficoltà nel raggiungimento di un grado soddisfacente di uniformità e coerenza delle coperture a livello di gruppo, oltre che dell’obiettivo altrettanto importante del contenimento dei relativi costi.

Si rende pertanto necessario valutare la praticabilità, caso per caso, di soluzioni assicurative alternative, che permettano di garantire un migliore e più efficiente bilanciamento tra gli interessi in gioco.

Le principali caratteristiche della copertura assicurativa D&O “cross-border

Veniamo all’analisi delle possibili soluzioni assicurative per le società (e i relativi soggetti apicali) che si trovano ad operare in un contesto internazionale o che sono comunque esposte a rischi in diverse giurisdizioni. A questo proposito, nell’ottica di offrire una panoramica quanto più possibile esaustiva, è opportuno distinguere due ipotesi.

Il primo caso è quello di una società italiana con sedi secondarie o società controllate estere, i cui D&O sono dunque esposti a rischi di responsabilità cross-border in Paesi terzi. La seconda ipotesi riguarda invece una società o un gruppo avente sede all’estero e sedi secondarie o società controllate in Italia, che si trova a dover tutelare i propri soggetti apicali operanti presso tali legal entities nel nostro Paese.

(i) Capogruppo italiana con controllate o succursali estere

Iniziamo dalla prima delle due ipotesi e, assumendo che la capogruppo italiana abbia voluto nominare manager di propria fiducia nel Board di una o più controllate estere, vediamo di quali strumenti di tutela può disporre un D&O italiano che ricopra un incarico fuori dal nostro Paese.

Le opzioni disponibili sono essenzialmente tre.

  1. a) La soluzione più semplice da realizzare, ma verosimilmente meno efficace, è rappresentata dalla stipulazione da parte della società italiana di un’unica polizza D&O, la quale preveda anche una copertura per i soggetti apicali delle controllate estere. I vantaggi di tale soluzione sono principalmente legati alla facilità e alla rapidità con cui tale schema contrattuale può essere approntato e alla possibilità di ottenere condizioni economiche competitive sul mercato degli assicuratori, stante lo scarso livello di sofisticatezza di un siffatto contratto assicurativo.

Esistono di contro alcuni svantaggi che rendono tale scelta consigliabile essenzialmente a società con una limitata operatività all’estero o con un ristretto numero di controllate, non strategiche ovvero operanti in ambito esclusivamente europeo. Vediamo perché.

Una polizza assicurativa di questo tipo sarebbe inevitabilmente strutturata avendo come principale riferimento il mercato italiano e terrebbe esclusivamente conto delle specificità della legge italiana: si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle tipologie di responsabilità e alle azioni esperibili contro i D&O in base alla legge italiana, alle particolarità della nostra legge fallimentare e alle norme del codice civile applicabili ai contratti di assicurazione. Ciò potrebbe comportare possibili problemi applicativi nelle giurisdizioni estere dove, ad esempio, la normativa che disciplina la struttura e la composizione degli organi di gestione e controllo delle società di capitali potrebbe essere diversa rispetto a quella del nostro Paese, così come differenti potrebbero essere le norme che regolano il contratto di assicurazione[7].

Occorre infatti tenere presente che in base all’art. 180 del c.d. Codice delle Assicurazioni Private italiano (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) le polizze assicurative contro i danni relativi a rischi ubicati in uno Stato membro dell’Unione Europea sono regolate dalla legislazione del medesimo Stato; qualora invece il rischio sia ubicato in uno Stato terzo si applicheranno, al fine di individuare la disciplina normativa applicabile, le disposizioni della Convenzione internazionale di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

La garanzia di polizza potrebbe quindi, all’atto pratico, rivelarsi poco efficace o addirittura potrebbe non operare per determinate fattispecie e determinati rischi, anche importanti.

Inoltre, non sempre per l’assicuratore italiano è possibile coprire rischi situati all’estero, soprattutto nei Paesi extraeuropei.

Va infatti considerato che all’interno dell’Unione Europea è stato pienamente realizzato un libero mercato delle assicurazioni e vige quindi il principio della sufficienza di un’unica autorizzazione amministrativa da parte delle autorità di vigilanza dello Stato nel quale la compagnia assicurativa ha la propria sede e del controllo di solvibilità da parte dell’autorità dello Stato di origine. Le imprese di assicurazione con sede legale in un Paese dell’Unione Europea possono dunque esercitare la propria attività negli stati membri sia in c.d. regime di stabilimento, costituendo cioè una sede stabile, sia in c.d. regime di libera prestazione dei servizi[8].

Al di fuori dell’Unione Europea, invece, occorre valutare se l’assicuratore italiano sia stato autorizzato ad operare dall’autorità di regolamentazione locale, il che non sempre avviene.

Come si è sottolineato in precedenza, in effetti, il modo in cui un Paese disciplina le conseguenze di una copertura assicurativa offerta da una compagnia non autorizzata ad operare in quel Paese (i già menzionati assicuratori “non-admitted“) può variare notevolmente. La copertura assicurativa può essere del tutto proibita (con la conseguenza che nessun indennizzo potrà essere corrisposto dall’assicuratore, il quale sarà inoltre soggetto a penalità), ovvero ammessa ma soggetta a determinate condizioni o autorizzazioni regolamentari. Infine, la copertura può essere permessa, ma soggetta a tassazione.

  1. b) Molti dei problemi appena descritti possono essere risolti stipulando, da un lato, la polizza D&O della capogruppo italiana con un assicuratore autorizzato ad operare in Italia, e dall’altro le polizze D&O delle filiali estere (c.d. polizze locali) con altrettanti assicuratori presenti ed autorizzati nei relativi territori.

In questo caso la società capogruppo si garantisce la certezza che gli assicuratori locali siano debitamente autorizzati ad operare, che possano indennizzare i sinistri direttamente in favore degli assicurati ivi residenti o delle società che in tali Paesi hanno sede, e che non si porranno problemi di natura fiscale (come già evidenziato, infatti, in assenza di un’assicurazione locale potrebbero verificarsi problemi di tassazione dei premi assicurativi corrisposti all’estero dalla capogruppo, oppure degli indennizzi pagati localmente dall’assicuratore estero).

Questa soluzione evita dunque eventuali problemi di compliance, ma non appare comunque del tutto soddisfacente.

Il risultato finale, infatti, è quello di disporre di un “collage” più o meno ampio di diverse garanzie, prestate verosimilmente da differenti assicuratori, che la capogruppo e i suoi risk manager avrebbero difficoltà a gestire centralmente, anche soltanto per ovvi problemi linguistici. Inoltre, le diverse polizze stipulate dalla capogruppo e dalle controllate potrebbero presentare significative asimmetrie di copertura, sia in termini qualitativi (connessi all’effettiva presenza o all’estensione di determinate garanzie), sia in termini quantitativi (relativi alla probabile differenza tra i massimali, le franchigie e i sottolimiti applicabili, al disallineamento dei periodi di copertura e dei rinnovi, e così via).

  1. c) Anziché seguire un approccio “separato” (secondo il quale le filiali decidono da sé in merito ai propri rischi), la capogruppo può optare per l’adozione di un modello di copertura integrato, stipulando un vero e proprio programma assicurativo internazionale, verosimilmente con l’assistenza di un broker specializzato.

Un programma di questo tipo è normalmente strutturato tramite l’emissione di una polizza cosiddetta Master nel Paese dove ha sede la capogruppo, nonché di varie polizze locali, a copertura dei rischi delle sue consociate estere, da parte delle diverse branch del medesimo assicuratore.

I programmi assicurativi internazionali vengono definiti “controlled master program” e presentano diversi vantaggi per gli assicurati e la società contraente. Tra di essi, è sicuramente opportuno menzionare i seguenti:

  • uniformità ed ampiezza delle coperture assicurative ed eliminazione della possibilità di non avere adeguata copertura in ciascun paese per i rischi più importanti (le polizze locali vengono emesse sulla base dei “best local standards”);
  • convenienza economica: il premio unico pagato per la stipulazione di un programma globale è certamente minore della somma dei vari premi che sarebbero necessari per l’acquisto di polizze separate;
  • maggior potere contrattuale della capogruppo in caso di sinistro e possibilità di centralizzare le attività di risk management;
  • ricorso ad assicuratori internazionali specializzati nella gestione di rischi globali, selezionati anche in considerazione della solvibilità nel lungo periodo.

Vediamo ora in concreto come opera un programma assicurativo strutturato secondo lo schema in questione.

Da un lato, la polizza Master fornisce una copertura globale ed uniforme a tutto il gruppo (una copertura che potremmo definire “a ombrello”), mediante la definizione delle condizioni assicurative valide per le varie società appartenenti a tale gruppo.

Dall’altro lato, alla polizza Master vengono “collegate” le polizze locali, che integrano le garanzie offerte dalla copertura Master tenendo conto delle esigenze e caratteristiche del mercato ove sono emesse[9].

Per fare sì che la polizza Master e le polizze locali interagiscano correttamente tra loro è ovviamente necessario prevedere all’interno della Master alcune clausole specifiche, la cui formulazione, mutuata dalla prassi anglosassone, è oramai pressoché standardizzata.

Vi è innanzitutto la clausola “difference in limits” (o D.I.L.) attraverso la quale viene garantito che il massimale della polizza Master copra eventuali sinistri “in eccesso” rispetto al massimale della polizza locale, che rappresenta la franchigia della garanzia fornita dalla Master. Tale clausola ha l’effetto di garantire una copertura unitaria per un importo pari al massimale della Master.

Attraverso la clausola “difference in conditions” (o D.I.C.), invece, la polizza Master interviene a completare le garanzie della copertura locale e prevede infatti che, qualora la copertura offerta dalla master policy risulti più estesa di quella delle polizze locali, anche per queste ultime valgano le condizioni più estese della garanzia Master. La clausola ha dunque la funzione di rendere omogenee le coperture offerte dalla polizza locale e dalla polizza Master, estendendo la copertura al livello massimo di tale ultima polizza.

La clausola D.I.C. presenta inoltre due ulteriori interessanti varianti. La prima è la clausola “reverse D.I.C.” che vale per il caso opposto, in cui le condizioni delle polizze locali siano più estese di quelle della polizza Master, e prevede che tali condizioni si applicano alle controllate estere nei limiti del massimale della polizza Master. Con la clausola “difference in excess” (o D.I.E.), invece, la polizza Master presta copertura rispetto a sinistri non indennizzabili dalle polizze locali perché “sotto franchigia”, cioè di valore inferiore rispetto alla franchigia prevista in tali contratti.

Infine, una clausola spesso utilizzata nei programmi internazionali è la clausola “drop down“, la quale prevede che qualora il massimale della polizza locale sia parzialmente o integralmente eroso a seguito dell’indennizzo di sinistri, la garanzia fornita dalla polizza Master intervenga per coprire la parte del sinistro che supera il massimale della polizza locale ridotto per effetto del pagamento dell’indennizzo, o a primo rischio, qualora tale massimale sia esaurito.

Tutto quanto si è detto sinora a proposito dell’operatività di un “controlled master program” presuppone l’emissione ad opera dello stesso assicuratore di varie polizze locali nelle diverse giurisdizioni nelle quali operano le filiali. Come precedentemente accennato, tuttavia, in determinate giurisdizioni che prevedono regole particolarmente stringenti non sempre è possibile – anche per assicuratori che operano a livello globale – emettere polizze locali o prestare copertura tramite la Master (si tratta per lo più dei seguenti Paesi: Cina, India, Brasile e Russia).

In tali casi, e qualora la capogruppo abbia comunque un interesse economico-finanziario e strategico al buon andamento delle proprie controllate nei Paesi di cui si è accennato, è possibile fare ricorso a programmi internazionali che prevedono la copertura del cosiddetto “interesse finanziario” (tale copertura è infatti denominata “Financial Interest Cover” o FINC).

La garanzia in questione – sviluppatasi soprattutto nell’ambito dell’assicurazione della c.d. R.C. prodotto, ma presente talvolta in programmi internazionali che comprendono la copertura D&O – ha la funzione di indennizzare la capogruppo dall’effetto negativo indiretto dell’evento che abbia colpito la sua filiale (ove l'”interesse finanziario” corrisponde all’indennizzo che la filiale avrebbe ricevuto se fosse stata assicurata localmente).

E’ chiaro che non è sempre agevole identificare il danno indiretto sofferto dalla capogruppo in conseguenza del sinistro che abbia colpito la filiale locale. Inoltre per le Polizze D&O si pone certamente un problema peculiare, che afferisce alla stessa applicabilità di tale possibile forma di garanzia.

Infatti, se non sussistono problemi rispetto alla copertura offerta dalla garanzia “Side B” delle polizze D&O (la quale assicura direttamente la società contraente per le spese e le somme che questa abbia sostenuto o sia tenuta a sostenere allo scopo di indennizzare gli amministratori, a seguito di richieste di risarcimento ricevute da questi ultimi in relazione all’esercizio delle proprie funzioni), è invece difficile ipotizzare la sussistenza un interesse finanziario della contraente capogruppo che venga leso per effetto di un sinistro che coinvolga i soggetti apicali delle controllate estere (e quindi i patrimoni personali di questi ultimi), e che di conseguenza ricada all’interno del perimetro di applicazione della garanzia principale della polizza D&O, cioè la c.d. “Side A”.

Il sinistro che colpisce il D&O persona fisica, infatti, impatta finanziariamente sulla capogruppo solo ove la stessa sia tenuta ad indennizzare o tenere indenne tale soggetto per effetto di obblighi di natura contrattuale o normativa.

(ii) Capogruppo estera e società controllata o unità locale italiana

Il secondo profilo della nostra analisi è riferito allo scenario del nostro Paese: all’ipotesi, cioè, del D&O di un gruppo multinazionale estero che assume un incarico presso una società controllata o una sede secondaria ubicata in Italia e si interroga sull’adeguatezza delle garanzie prestate da un programma assicurativo attivato all’estero dalla casamadre.

In linea generale, è innanzitutto opportuno sottolineare che gli schemi contrattuali che un gruppo multinazionale può teoricamente adottare per coprire una siffatta situazione sono esattamente gli stessi già descritti nel paragrafo precedente con riferimento alla situazione speculare dell’emissione di una polizza in Italia a copertura di rischi ubicati all’estero.

Su questo punto è quindi sufficiente rinviare integralmente a quanto esposto in precedenza, per affrontare invece soltanto alcuni elementi di specificità che emergono rispetto all’impostazione generale, relativi al quadro normativo italiano applicabile nel caso in cui un sinistro debba essere coperto in Italia da un assicuratore straniero.

In particolare, se per le soluzioni descritte alle lettere b) (copertura mediante “collage” di varie polizze emesse localmente) e c) (operatività di un “controlled master program“) del paragrafo precedente valgono le considerazioni già svolte anche allorché il rischio da assicurare sia ubicato in Italia, a dover essere maneggiato con maggiore attenzione è invece lo scenario di cui alla lettera a), cioè quello della copertura del sinistro italiano mediante una polizza assicurativa unica, che sia stata emessa a beneficio dell’intero gruppo multinazionale da parte di un assicuratore estero.

In prima battuta, occorre precisare che la situazione è radicalmente diversa a seconda che l’assicuratore estero chiamato a coprire il rischio italiano abbia la propria sede legale in uno Stato membro dell’Unione Europea, oppure sia situato in un Paese extraeuropeo.

Il caso dell’assicuratore europeo – come si è già accennato – è di gran lunga più semplice per effetto dell’applicazione della normativa UE che prevede la sufficienza in tutti gli Stati membri del rilascio di un’unica autorizzazione amministrativa da parte dell’autorità di vigilanza del Paese nel quale la compagnia assicurativa ha la propria sede.

Di conseguenza, qualsiasi impresa di assicurazione con sede in un Paese dell’Unione Europea, la quale non disponga di una sede stabile in Italia, è libera di esercitare la propria attività nel nostro Paese in regime di libera prestazione dei servizi.

Qualora invece la polizza di gruppo sia stata emessa da un assicuratore extraeuropeo, ai fini della copertura del sinistro occorso in Italia sarà fondamentale verificare se quest’ultimo sia stato autorizzato ad operare nel nostro Paese.

La disposizione normativa di riferimento, a questo fine, è l’art. 167 (“Nullità dei contratti conclusi con imprese non autorizzate“) del Codice delle Assicurazioni Private, il cui primo comma stabilisce che “È nullo il contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata (…)”.

La conseguenza della mancata autorizzazione ad operare in Italia è dunque la nullità della polizza emessa dall’impresa assicurativa non autorizzata. Va precisato, peraltro, che si tratta di nullità c.d. relativa, cioè suscettibile di essere fatta valere solo dal contraente o dall’assicurato. Inoltre, le conseguenze previste dal secondo comma dell’art. 167 sono esclusivamente a carico dell’assicuratore, in quanto “La pronuncia di nullità obbliga alla restituzione dei premi pagati. In ogni caso non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritto a prestazioni assicurative.

Per effetto di questa “asimmetria” delle conseguenze della nullità del contratto”[10], la compagnia assicurativa extraeuropea potrebbe trovarsi a dover risarcire l’assicurato per un sinistro verificatosi in Italia anche in caso di violazione dell’obbligo di autorizzazione ad operare nel nostro Paese.

Tenuto conto di tale scenario, per comprendere se una polizza globale emessa in favore di una capogruppo estera da un’impresa assicurativa extraeuropea sia idonea a coprire un sinistro verificatosi in Italia, è essenziale accertarsi che tale assicuratore sia in possesso di autorizzazione rilasciata dall’autorità di vigilanza del nostro Paese (IVASS)[11].

Fermo quanto appena precisato, un’ultima osservazione appare opportuna con riferimento ad entrambi i casi di emissione della polizza globale da parte di un assicuratore estero con sede legale nell’Unione Europea oppure in un Paese extraeuropeo.

Qualora, infatti, sia necessario indennizzare un assicurato nel nostro Paese sulla base della legge italiana, l’applicabilità delle clausole di una polizza emessa all’estero incontra i limiti imposti dall’art. 1932 c.c., che stabilisce che alcune disposizioni del codice civile italiano in materia di assicurazioni possono essere derogate dall’autonomia privata soltanto in senso più favorevole all’assicurato.

Pertanto, ove tale polizza emessa all’estero dovesse contenere una disciplina di maggior sfavore per l’assicurato rispetto alle norme italiane richiamate dalla suddetta disposizione, le relative pattuizioni sarebbero nulle e verrebbero sostituite di diritto dalle norme del codice civile.

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[1] In argomento cfr., tra gli altri, ROBERTO, The Rise of Global Insurance Policies, in Insurance Law, 2016, pp. 21 ss.

[2] Ci riferiamo, ad esempio, all’esposizione più o meno intensa a rischi in materia di sfruttamento della proprietà intellettuale, di responsabilità per illecito trattamento dei dati personali o per ipotesi di diffamazione e altri reati, che può derivare da azioni poste in essere attraverso un sito internet in danno di interessi di persone o enti situati dall’altra parte del globo.

[3] Come si è già avuto modo di riferire in un precedente contributo per questa rivista (cfr. n. 39/2019), in Italia è stata recentemente varata una riforma organica della class action tramite la legge 12 aprile 2019 n. 31, recante “Disposizioni in materia di azione di classe“. Nel nostro Paese tale strumento ha avuto applicazioni sporadiche in passato, principalmente a causa di alcuni suoi limiti strutturali. La riforma mira ad eliminare alcuni di questi ostacoli, nel dichiarato intento di favorirne un maggior utilizzo. Permangono tuttavia altri importanti limiti, così come un contesto legislativo e culturale – quello italiano – profondamente diverso da quello dei Paesi anglosassoni dove l’azione di classe si è sviluppata. Le disposizioni di cui alla legge n. 31/2019 entreranno in vigore decorsi 12 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e quindi nell’aprile 2020.

[4] Per un’interessante panoramica su questi aspetti, si suggerisce la consultazione della guida pubblicata dalla Airmic, associazione con sede nel Regno Unito che tutela gli intessi degli acquirenti di assicurazioni aziendali e dei responsabili delle attività di Enterprise Risk Management: AIRMIC, Compliance of Multi-National Insurance Programs, Guide, su Airmic Technical Library, 2015, http://www.airmic.com/technical.

[5] ROBERTO, op. cit., 22. Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, una importante decisione resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2001 nel caso Kvaerner plc contro Staatssecretaris van Financiën (Causa C-191/99) ha imposto ad una società capogruppo con sede nel Regno Unito il pagamento di imposte in Olanda sui premi versati in forza del suo programma globale di assicurazione della responsabilità civile, con riferimento alla copertura di una sua filiale situata nei Paesi Bassi. Il principio affermato dalla Corte è che una polizza emessa in un determinato Paese in favore di una società capogruppo può essere soggetta ad imposte sui premi assicurativi in tutti gli altri Stati membri in cui consociate ivi stabilite fruiscano della relativa copertura, a prescindere dal fatto che la società contraente sia già soggetta a imposte sui premi nel proprio Paese. Il mancato pagamento delle imposte sui premi presso gli Stati dove esse sono dovute potrebbe tradursi nell’applicazione di sanzioni anche molto rilevanti.

[6] Sul punto, cfr. GUSTAFSON, Multinational insurance: what can go wrong when something’s not right, su Commercial Risk, 6-2018, www.commercialriskonline.com; GIUFFRE’, La gestione dei rischi transnazionali, su Insurance Review, 6-2013, www.insurancereview.it.

[7] Per completezza occorre evidenziare che esistono anche polizze D&O che includono specifiche clausole volte a rispecchiare le caratteristiche di alcuni mercati locali. Alcune polizze prevedono ad esempio clausole volte a concedere gratuitamente un periodo di osservazione fino a 60 mesi per le società di diritto francese al fine di adeguarsi alla legge vigente in tale stato, la quale prevede l’obbligatorietà di una garanzia postuma di almeno cinque anni (in base all’art. L. 124-5, comma 4, del codice delle assicurazioni francese, “La garantie déclenchée par la réclamation couvre l’assuré contre les conséquences pécuniaires des sinistres, dès lors que le fait dommageable est antérieur à la date de résiliation ou d’expiration de la garantie, et que la première réclamation est adressée à l’assuré ou à son assureur entre la prise d’effet initiale de la garantie et l’expiration d’un délai subséquent à sa date de résiliation ou d’expiration mentionné par le contrat, quelle que soit la date des autres éléments constitutifs des sinistres“. L’art.L.124-5, comma 5, del codice delle assicurazioni francese dispone inoltre che “Le délai subséquent des garanties déclenchées par la réclamation ne peut être inférieur à cinq ans. Le plafond de la garantie déclenchée pendant le délai subséquent ne peut être inférieur à celui de la garantie déclenchée pendant l’année précédant la date de la résiliation du contrat. Un délai plus long et un niveau plus élevé de garantie subséquente peuvent être fixés dans les conditions définies par décret“).

[8] In Italia la normativa di riferimento è contenuta nel Codice delle Assicurazioni Private, Titolo II (“Accesso all’attività assicurativa“). In ambito europeo, La direttiva Solvency II in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Direttiva 2009/138/UE) ha armonizzato le legislazioni degli Stati membri in materia assicurativa, al fine di fornire alle imprese un quadro giuridico per esercitare la propria attività nel mercato interno.

[9] Polizza Master e polizze locali in realtà si integrano e completano a vicenda. Infatti, se la polizza Master normalmente interviene a colmare eventuali buchi di copertura delle polizze locali sulla base dell’operatività D.I.C. / D.I.L. illustrata oltre nel testo, accade anche il contrario: le polizze locali, cioè, spesso prevedono garanzie che semplicemente non sono contemplate dalla Master in ragione dei differenti sistemi normativi vigenti nei Paesi di emissione delle diverse polizze.

Ad esempio, nella struttura di governance delle società per azioni spagnole non figura un organo di controllo simile al collegio sindacale. Una polizza Master disciplinata dalla legge spagnola potrebbe dunque non prevedere alcuna specifica copertura per i sindaci; di contro, ove a tale polizza Master fosse collegata una polizza locale emessa in Italia, quest’ultima sicuramente includerebbe il collegio sindacale tra i soggetti assicurati. Il medesimo discorso può essere replicato per la garanzia relativa al pagamento delle spese di resistenza nei limiti del quarto del massimale di polizza ai sensi dell’art. 1917, comma 4, c.c, che costituisce una peculiarità del sistema italiano non presente in altre giurisdizioni.

[10] Sulla ratio dell’adozione del rimedio della nullità da parte del legislatore italiano per sanzionare la mancata autorizzazione dell’impresa assicurativa ad operare in Italia, nonché sulle ragioni della “relatività” del regime di nullità della polizza, cfr., tra gli altri, FARENGA, Commento sub art. 167, in Il Codice delle Assicurazioni Private – Commentario al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, a cura di F. Capriglione, Padova, 2007, pp. 56 ss.; FERRANTE, Commento sub artt. 165-169, in Commentario al Codice delle Assicurazioni, a cura di M. Bin, Padova, 2006, pp. 512 ss..

[11] Gli elenchi aggiornati delle imprese assicurative ammesse a operare in Italia sono consultabili sul sito web dell’IVASS (www.ivass.it).

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