Tcf: cos’è e perché è importante per la buona governance
Un maggior dialogo tra fisco e contribuente attraverso l’adozione dell'adempimento collaborativo e del Tax control framework apporta vantaggi organizzativi e promuove una corretta cultura della gestione del rischio

Il Tax control framework? Un valido strumento di presidio della corporate governance che contribuisce a garantire maggiore tutela per le responsabilità degli amministratori in un’ottica integrata dei sistemi di controllo, rappresenta un’occasione di razionalizzazione e miglioramento dei processi aziendali, fornisce maggiore trasparenza e credibilità verso gli stakeholder esterni, inclusa l’Agenzia delle entrate. Questa la conclusione emersa al termine del convegno organizzato da Nedcommunity, in collaborazione con EY, sul tema del Regime di adempimento collaborativo. “Un argomento che abbiamo deciso di trattare con il nostro corporate partner da diverso tempo proprio per le sue forti implicazioni nell’ambito di nostra competenza”, ha spiegato il segretario generale dell’associazione dei consiglieri indipendenti, Monica Fanecco.
Il forte legame fra adempimento collaborativo (previsto dal decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128) e governance si è di fatto ulteriormente rinsaldato in particolare anche alla luce delle novità introdotte dal Decreto legislativo n. 221/2023 che prevede l’obbligo, da parte delle imprese che intendono avvalersi di questo istituto, di dotarsi di un Tax control framework (insieme di regole, procedure, strutture organizzative e soggetti che servono alla rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale) certificato da professionisti qualificati, avvocati o dottori commercialisti ma anche docenti universitari.
L’adempimento collaborativo
Secondo Pasquale Cormio, Partner Tax di EY Studio Legale Tributario, il Regime di adempimento collaborativo o di “Cooperative compliance“ rappresenta un mezzo attraverso il quale si punta a instaurare in primo luogo un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente realizzando un’interlocuzione continua con l’Agenzia delle entrate allo scopo di risolvere in anticipo eventuali questioni fiscali e di garantire una maggiore certezza sull’applicazione delle norme creando una mirabile convergenza di interessi:
- le imprese ottimizzano la variabile fiscale, in chiave preventiva, eliminando i rischi sottostanti sia di natura economica (in virtù della cancellazione delle sanzioni e delle responsabilità penali) sia reputazionali, spesso ben più difficili da gestire dei primi;
- il fisco, con questo cambio di prospettiva diventa un partner attivo dello sviluppo imprenditoriale italiano, favorisce la certezza del diritto e assicura allo Stato il gettito da parte delle aziende;
- le imprese che hanno avuto accesso all’adempimento si presentano sul mercato come soggetti chiari e trasparenti, dalla buona reputazione e dalla sana organizzazione.
Per questi motivi costruire un valido Tcf risulta fondamentale. Secondo il parere di Daniele Osti, Director Risk Consulting EY, un Tax control framework che si rispetti deve basarsi su quattro pilastri portanti:
- ambiente di controllo
- governance
- tax risk assessment
- monitoraggio e reporting
Nel primo ambito la parola chiave è tone at the top, inglesismo con il quale ci si riferisce alla promozione e alla diffusione della cultura etica e di conformità fiscale che deve permeare tutta l’azienda, dai massimi vertici (dirigenza e cda) fino ai collaboratori; il secondo pillar, quello della governance, si caratterizza per la definizione dei ruoli e delle responsabilità dei soggetti coinvolti nel processo di risk management e nella crescente importanza del tax risk manager, interlocutore privilegiato con l’Agenzia delle entrate per l’implementazione del Tcf, incardinato all’interno di un sistema di difesa articolato su tre linee (management, tax risk manager e interna audit); il terzo ambito consiste nella rilevazione dei rischi e nella realizzazione dei controlli fiscali; infine, ed eccoci al quarto pilastro, il monitoraggio che comporta la verifica periodica dell’effettività dei controlli del rischio fiscale mappato e prevede una relazione annuale agli organi di governo e controllo condivisa con l’Agenzia delle entrate.r
L’impatto sulle Pmi
Patrizia Giangualano, componente del Consiglio direttivo di Nedcommunity ed esperta di gestione dei rischi e sostenibilità ha lodato la possibilità, prevista dalla norma, dell’adozione volontaria del sistema di controllo del rischio fiscale soprattutto per le medie imprese che così avranno la possibilità di realizzare un vero e proprio salto di qualità nella loro governance. “Nella mia esperienza come consigliere indipendente che ha deciso di aderire all’adempimento collaborativo volontario, ho visto come per prima cosa l’Agenzia delle entrate si sia interessata alla struttura organizzativa e alla definizione del profilo del risk manager. Un soggetto in grado di identificare i rischi fiscali e dialogare con l’ad in ultima istanza responsabile dell’intero sistema di gestione dei rischi e dei controlli. L’intervento dell’Agenzia è stato un vero supporto per la definizione di un sistema al passo con i tempi e con le necessità di presidio dell’intero sistema organizzativo.
Ma non solo. La norma con le sue indicazioni impone un’evoluzione della governance che non potrà che apportare benefici. Penso in particolare al tone at the top: nel ruolo di consiglieri abbiamo la responsabilità di indirizzare gli obiettivi di strategia fiscale e questo sforzo impone una importante riflessione su come integrare i rischi fiscali all’interno di una strategia più ampia che tenga conto anche della propensione al rischio e delle responsabilità affidate alle diverse aree aziendali”.
L’impatto sulla sostenibilità
La collaborative compliance è inoltre fondamentale per la sostenibilità perché rappresenta un’evoluzione del rapporto tra autorità pubbliche e imprese, basato su trasparenza, fiducia reciproca e cooperazione, invece che su meri controlli e sanzioni. Questo approccio ha una serie di impatti diretti e indiretti sulla sostenibilità, se dal punto di vista economico, attraverso un dialogo aperto e continuo con le autorità, riduce l’incertezza normativa e consente alle imprese di pianificare meglio nel lungo termine, impiegare in modo più mirato le risorse, evitare contenziosi inutili e surplus di controlli di contro promuove la creazione di un ambiente regolatorio più prevedibile, elemento chiave per gli investimenti sostenibili. Inoltre, dal punto di vista ambientale la cooperazione con le autorità può rendere più semplice l’accesso a incentivi fiscali per investimenti “green” nonché favorire la maggiore trasparenza e collaborazione per contrastare l’elusione fiscale aggressiva, contribuendo a un sistema più equo, alla fiducia degli stakeholder e alla valorizzazione delle imprese che rispettano le regole, rafforzando il capitale reputazionale.
Altro punto importante è la responsabilità in capo agli amministratori. “Il processo impone flussi informativi chiari e modalità di comunicazione ben definite. Un board coinvolto in questo processo – ha aggiunto Giangualano – aiuta a sviluppare una cultura del rischio fiscale a tutti i livelli e a migliorare la reputazione aziendale con il vantaggio di usufruire delle tante premialità previste dalla normativa. In un contesto dove la sostenibilità è ormai un driver strategico, questa forma evoluta di compliance è un pilastro chiave per un’economia più equa, trasparente e resiliente. Di fatto favorisce una gestione responsabile dell’impresa, coerentemente con i principi di buona governance, riducendo i costi di conformità e rafforzando il legame fiduciario tra pubblico e privato”.
Un cambio di paradigma
Anche Amedeo Sacrestano, avvocato, dottore commercialista e associato Nedcommunity, considera il Tfc molto utile soprattutto se si ricopre il ruolo di sindaco. Fino a oggi, infatti, questa figura ha rappresentato una sorte di “cassaforte” di tutte le responsabilità presenti in azienda. Adesso, invece, grazie al framework proprio i sindaci possono contare su un valido presidio nei confronti di una tematica particolarmente insidiosa. “Guardiamo quindi con favore a questo strumento, utile per consentire a questo di compiere un salto culturale che porta a un rapporto collaborativo fra fisco e imprese”.
Nel corso della tavola rotonda moderata da Marco Di Capua, Business Tax Services, EY Studio Legale Tributario, si è sottolineato proprio come si stia assistendo a un vero e proprio cambio di paradigma nel rapporto fra fisco e impresa anche grazie a un legislatore – questa la tesi di Pietro Ebreo, dottore commercialista, revisore legale e adjunct professor di Fiscalità delle Imprese, GSoM Politecnico Milano – che ha messo in atto un grande sforzo per mettere a disposizione un corpo normativo strutturato senza dimenticare di emanare anche provvedimenti attuativi e precise linee guida. Potranno quindi essere non poche le imprese che prenderanno la palla al balzo non facendosi sfuggire l’opportunità di “farsi in casa” l’attività di controllo attraverso la collaborazione preventiva con l’Agenzia delle Entrate, che altrimenti effettuerebbe ex post la propria attività di verifica, fruendo al contempo anche degli effetti premiali della Cooperative Compliance-Tax Control Framework.
Fulvio Gallone, tax risk manager di Esselunga, ha evidenziato come l’adozione del framework di controllo del rischio fiscale richieda l’introduzione di una figura e una struttura ad hoc, inquadrata in una struttura a sé o a riporto della funzione Fiscale, integrata con il sistema di controllo interno e che garantisca la risalita dell’informativa sul monitoraggio del rischio fiscale agli organi di governo e controllo societario (ad es. Comitato di Controllo e Rischi). L’implementazione di un Tcf non è uno “scherzo” ma un impegno estremamente serio e proprio per questo motivo il commitment, il crederci veramente, degli amministratori e del top management aziendale diventa fondamentale. Ma cosa deve fare un tax risk officer? “Supportare la struttura fiscale nel rafforzare i flussi di raccordo fra le funzioni aziendali e contribuire alla diffusione della cultura fiscale e di quella del controllo”.
Chi ha ormai ha un’esperienza consolidata in questo campo è Fineco che sta per tagliare i dieci anni di adempimento collaborativo. Un bilancio? Più che positivo secondo Paola Giachetto, responsabile fiscale dell’istituto che parla di una situazione win win. “Chi ancora non ci ha pensato dovrebbe farlo. Questo cammino ci ha fatto crescere, ha consentito di sensibilizzare tutta la banca. Il fisco non è più soltanto una variabile di costo ma, se messa in sicurezza, anche di business”.