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Successione generazionale: gestirla con la buona governance

La progettazione di modelli di governance al passo con i tempi, ben strutturati e organizzati, è fondamentale per garantire a ogni società la capacità di continuare a produrre valore, anche nelle fasi più delicate, come per esempio quella della scomparsa di un capoazienda. Il ruolo dei ned in questo frangente critico. Intervista all’esperto

Antonella Negri Clementi

Una fase critica quella del passaggio del testimone fra la vecchia e la nuova generazione imprenditoriale. Studio Temporary Manager, società specializzata nei servizi di temporary management, ha condotto un’indagine su un campione di manager che ha vissuto questa delicata parentesi negli ultimi dieci anni e il quadro che ne emerge è di quelli da far riflettere: il 69% degli imprenditori nella loro scelta ha deciso di far valere in primo luogo le istanze della famiglia sacrificando spesso la competitività del business. Il risultato non è stato sempre positivo, anzi: la nuova figura alla guida, spesso non adeguata al nuovo ruolo in azienda (per il 56% del campione), ha ottenuto un giudizio non proprio esaltante (6 su 10) e di molto inferiore a quello messo a segno da chi lo ha preceduto (7,5 su 10). Come se non bastasse l’impatto sul business è stato concreto con un peggioramento sia del fatturato (42%) sia del rapporto con il capitale umano. Il 9% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto anche chiudere i battenti dell’azienda.

Un problema non da poco se si considera che sulla base dei dati forniti dall’Istat il 75,2% delle imprese con oltre 3 addetti, una galassia di quasi 800mila aziende, è controllata da una persona fisica o da una famiglia, e oltre un quinto di queste (20,5%) tra il 2013 e il 2023 ha affrontato o affronterà il passaggio generazionale.

Secondo Antonella Negri-Clementi, presidente e ceo di Global strategy e socio di Nedcommunity, esperta proprio in passaggi generazionali e crisi d’azienda “si tratta di una fase delicata soprattutto quando si ha a che fare con imprese familiari perché non sempre la generazione successiva esprime uno o più membri in grado di guidare il business. Il passaggio generazionale non è e non deve essere trattato come un’eredità: se l’impostazione fosse questa inevitabilmente si potrebbe commettere l’errore di scommettere su qualcuno che non abbia mai avuto l’interesse e la capacità di gestire l’impresa. Si tratta di una premessa pessima che può avere conseguenze molte negative”.

Quanto prima pianificare questa fase?

“A tempo debito direi, ma non dovrebbe essere troppo tardi. Poi ovviamente dipende anche dal tipo di business. Ci sono casi in cui l’esperienza della vecchia generazione torna utile per lungo tempo e altri fortemente dinamici in cui il passaggio del testimone dovrebbe avvenire con molto anticipo. In generale, però, sarebbe necessario creare le condizioni perché la generazione successiva prenda il comando: in primo luogo bisogna investire sulla formazione pratica che dovrà vedere i giovani fare esperienza anche in altre realtà con l’obiettivo di riportarla poi in azienda”.

Come formalizzare questa delicata fase?

“Esistono buone prassi come il patto di famiglia che aiuta a identificare gli obiettivi dei singoli membri della famiglia della vecchia e della nuova generazione e a scrivere regole condivise per un passaggio generazionale privo di traumi. Disciplinato dall’art. 768-bis c.c. e stipulato davanti a un notaio è un contratto con il quale l’imprenditore, ancora in vita, mette nero su bianco le indicazioni relative alla successione della propria impresa, stabilite per esempio nell’ambito dell’assemblea di famiglia, per assegnarla a chi ritiene essere in possesso di maggiori capacità e competenze in modo da poterne garantire la continuità e la sostenibilità futura”.

Quanto è importante una buona governance nella gestione?

“Fondamentale direi, come del resto Nedcommunity ha indicato nelle Linee guida e principi di corporate governance applicabili alle società non quotate realizzate con ecoDa che al principio nove recita: ‘Le aziende a controllo familiare dovrebbero stabilire modelli di governance proprietaria e familiare che promuovano il coordinamento tra i membri della famiglia e la governance societaria’. Una buona garanzia di un passaggio generazionale ordinato è rappresentata, quindi, da un coordinamento fra questi due livelli, familiare e governo societario. La presenza di un cda in cui siedano consiglieri indipendenti che abbiano una terzietà rispetto alla famiglia e che siano in grado di apportare un valido contributo nella valutazione delle decisioni è sempre un segnale positivo. L’indipendente, infatti, veste il ruolo di moderatore e spesso di mentor nei confronti dei giovani della famiglia che entrano nel board e che devono farsi le ossa”.

Quindi gli indipendenti sono necessari anche in questo caso. Perché?

“Perché la presenza di consiglieri indipendenti evidenzia una maturità della governance dell’azienda che si apre a terzi: fa le sue strategie e le dichiara, è trasparente, comunica. L’indipendente obbliga a far funzionare correttamente il cda, porta la sua esperienza da altre aziende e da altri settori, contribuisce a far riflettere su alcuni temi e sull’interesse generale dell’impresa e non del singolo”.

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