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Sostenibilità e cambiamento climatico

Sostenibilità e cambiamento climatico sono elementi importanti per la C.G. delle aziende perché negli ultimi anni il consensus scientifico si è orientato con sempre maggior decisione a favore dell’ipotesi di esistenza di un riscaldamento globale indotto

di Karina Litvack(*) e Andrea Beltratti(**)

Sostenibilità e cambiamento climatico sono elementi importanti per la C.G. delle aziende perché negli ultimi anni il consensus scientifico si è orientato con sempre maggior decisione a favore dell’ipotesi di esistenza di un riscaldamento globale indotto dall’uomo, che potrebbe avere conseguenze rilevanti per l’output mondiale e la stabilità del sistema finanziario. La conferenza Cop21 che si è tenuta a Parigi qualche mese fa ha preso atto di questa evoluzione e la maggior parte dei paesi partecipanti si sono impegnati su specifici obiettivi di contenimento delle emissioni di CO2. Le aziende, di ogni dimensione, sono da sempre un canale essenziale per dare attuazione pratica a questi obiettivi generali e ciò che ha maggiormente differenziato (in positivo) questa conferenza dalle edizioni precedenti è esattamente l’impegno straordinario del mondo delle imprese. Per la prima volta, i governi, la società civile e le aziende hanno riconosciuto la necessità, scientifica e morale, di passare all’azione ed hanno stabilito un piano, seppur ancora allo stato embrionale, per dare corso ad una transizione ad un’economia che sia basata su basse emissioni di biossido di carbonio entro il 2050. Inoltre è anche emersa la consapevolezza che la sfida è troppo grande per essere risolta da un’azione individuale, e richiede invece un grado straordinario di collaborazione. Una tale collaborazione non è abituale nel mondo delle aziende, per ragioni legate alla concorrenza reciproca ed ai rischi di comportamenti collusivi fortemente osteggiati dai regolatori. Ma la società si aspetta che le aziende, in particolare quelle grandi, abbiano una visione del futuro e siano in grado di proporre soluzioni ai problemi rilevanti, esercitando una nuova forma di leadership che dia un significato concreto alla “corporate citizenship”. Proprio per questo, il problema addossa ai consigli di amministrazione delle responsabilità di natura sociale che possono portare i consiglieri verso situazioni nuove ed inesplorate.

Le implicazioni pratiche per le aziende e i loro C.d.A

Come minimo, ciò significa esaminare intensamente il modello di business nel contesto di un sistema in rapida evoluzione, specie dal punto di vista regolamentare e della domanda dei clienti. In alcuni casi questo significa deviare in maniera importante dalle proprie strategie attuali, in altri casi significa rinforzare una strategia di sostenibilità già in atto. Nessuna azienda è esclusa dalle problematiche di sostenibilità, perché tramite le interrelazioni settoriali la decisione di ogni azienda influenza tante altre aziende. Allo stesso tempo, gli investitori istituzionali valutano sempre più frequentemente le aziende nell’ambito di questo contesto fluido ed imprevedibile e chiedono che i manager ed i C.d.A. dimostrino la comprensione di come il cambiamento climatico può modificare i modelli di business nel lungo periodo. La corporate governance è quindi chiamata a valutare caso per caso che cosa può e deve essere fatto su questi importanti elementi, al fine di articolare una visione di lungo termine e la strada per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Incertezza e rischio: quali sono le differenze e le implicazioni per i C.d.A.?

Nella teoria economica il rischio si distingue dall’incertezza. Nel caso del rischio si possono assegnare probabilità ad alcuni scenari, generalmente utilizzando i dati di lungo periodo. Nel caso dell’incertezza, attribuita all’economista Frank Knight, le cose sono molto più difficili, in quanto gli scenari rilevanti sono né noti né facilmente immaginabili, e di conseguenza non esiste una base veramente oggettiva per assegnare delle probabilità sulla base dei dati. Per esemplificare, se in un’urna ci sono 50 palline bianche e 50 palline nere si può affermare che ci sono due scenari di estrazione con probabilità del 50%. Se invece ci sono 100 palline con tanti colori diversi ma non è noto quali siano questi colori, allora è difficile individuare gli scenari e le loro probabilità.
In una situazione di incertezza è generalmente razionale minimizzare l’impatto dello scenario più dannoso che sia concepibile, e quindi comportarsi in maniera più prudente.
Nel caso delle conseguenze economiche del cambiamento climatico, siamo certamente in una situazione di incertezza: gli scenari non sono noti, particolarmente per quanto riguarda l’impatto economico dell’aumento di temperatura, ed è molto difficile assegnare delle probabilità. In teoria, l’avversione all’incertezza suggerisce in questi casi comportamenti più prudenziali, finalizzati a ridurre la probabilità che si avverino gli scenari più avversi.
Tutti dovremo imparare, valutando in maniera dinamica le variazioni di probabilità dei vari scenari a mano a mano che le varie misure di politica economica ed aziendale verranno messe in atto, mantenendo allo stesso tempo un atteggiamento più cauto proprio per tenere conto della possibilità di errori nella determinazione degli scenari futuri e delle loro rispettive probabilità di attuazione.

Le aziende sanno esattamente cosa devono fare?

Sarebbe bello se fosse così, ma nella maggior parte dei casi, le aziende stesse dovranno imparare. Non esiste un paragone storico che possa essere utilizzato per valutare le conseguenze del cambiamento climatico, e non sappiamo con esattezza che cosa ogni azienda di ogni settore dovrà fare. Per fare un paragone spesso citato ma non del tutto adeguato, la crisi dell’amianto ha richiesto decenni prima di manifestarsi appieno, sia direttamente sia indirettamente, come potrebbe accadere per l’impatto del cambiamento climatico. L’amianto si è rivelato un cataclisma dapprima per produttori, clienti e dipendenti, poi ha influenzato gli assicuratori il cui modello di business non era attrezzato per gestire i rischi che si sono manifestati nel lungo periodo. E nonostante tutto, il danno causato dalla crisi dell’amianto è stato complessivamente limitato, e non si avvicina neanche alla scala di distruzione di valore che il cambiamento climatico potrebbe provocare. E’ facile cedere alla tentazione di ritenere tali avvertimenti allarmisti od impossibili da quantificare, ma il problema è presente ed i leader del mondo dell’industria e della politica devono organizzare una risposta convincente. Alcuni ricordano l’allarme che negli anni settanta fu associato all’aumento del prezzo del petrolio ed alle stime di esaurimento delle riserve petrolifere e minerarie ad esso conseguenti. Ma fortunatamente, grazie alla combinazione di politiche economiche ed energetiche ed alla variazione dei prezzi relativi, le economie mondiali hanno rapidamente intrapreso la strada di un virtuoso risparmio energetico, modificando le abitudini di consumo e le tecnologie di produzione. Qualcosa del genere deve essere fatto relativamente al cambiamento climatico. Una criticità per i board consiste nella difficoltà di tradurre la grande mole di dati oggi esistenti sugli impatti complessivi dell’aumento di temperatura in informazioni utilizzabili per le decisioni aziendali. Per esempio, l’acidificazione dei mari, la perdita di biodiversità e le implicazioni per la distruzione di valore economico a livello aggregato sono fenomeni ben documentati. Mark Carney, il Governatore della Banca d’Inghilterra, ha evidenziato l’impatto complessivo e sistemico di questi fenomeni, arrivando al punto di identificare il cambiamento climatico come un fattore di rischio per la stabilità del sistema finanziario. E tuttavia poche aziende sono in grado di “modellizzare” questi impatti a livello delle loro attività. Una delle sfide più grandi per i board riguarda la disponibilità di dati, tecnicamente acuita dall’essere in una situazione di incertezza e non di semplice rischio, perché le probabilità dei vari eventi non possono essere misurate usando i dati storici.

Le implicazioni per la Corporate Governance

Le implicazioni per la corporate governance sono molto importanti: gli amministratori delle aziende di qualsiasi settore, sia indipendenti sia non indipendenti, e i manager delle aziende, non potranno pensare di avere risposte univoche alle sfide che sono emerse e che continueranno ad emergere nei prossimi anni. In una situazione di incertezza non ci sono ricette magiche, ma occorre comportarsi in maniera il più possibile razionale, usando tutte le informazioni disponibili e cercando di creare valore di lungo periodo per l’azienda che si amministra. Questa è infatti una delle sfide più grandi: il tema del cambiamento climatico è stato politicizzato al punto che le azioni eventualmente prese per evitarlo sono interpretate come il risultato di una specifica impostazione ostile al mondo delle aziende. Questo problema è acuito dalla significativa scarsità di dati che siano facilmente utilizzabili per le scelte aziendali. Posporre un’azione faticosa sino a quando i fatti sono pienamente noti è generalmente una regola saggia, ma in questo caso, data la dimensione del fenomeno, occorre prendere decisioni prima che tutti i fatti siano evidenti. Il “principio precauzionale” secondo cui le decisioni devono essere prese nonostante che i dati siano a volte incompleti, un principio ormai largamente accettato nella comunità scientifica, deve essere considerato seriamente anche nel mondo aziendale.
Anche se ci muoviamo nell’ambito di territori inesplorati, i consiglieri di amministrazione non possono ignorare i problemi per lasciarli alle generazioni successive. Per i C.d.A. ciò significa sviluppare nuovi strumenti di analisi, analizzare scenari nuovi basati su molteplici incognite e mantenere la mente aperta a valutare le nuove informazioni a mano a mano disponibili. Ci rendiamo conto delle difficoltà associate a procedere in questo modo, proprio a causa della mancanza di dati associata ad un fenomeno totalmente nuovo. Ma riteniamo che la mancanza di conoscenza non debba essere una scusa per la mancanza di azione, bensì un ulteriore incentivo a mettere in campo gli sforzi migliori. Pensiamo anche che, soprattutto nel breve periodo, per la maggior parte delle aziende non sia necessario vedere la problematica nell’ottica di introdurre misure che possano ridurre i profitti, ma al contrario che sia importante riflettere sulle opportunità che si presentano per la creazione di valore aziendale e anche sociale. Vogliamo qui menzionare due strumenti di analisi, da inventare e perfezionare, su cui può valere la pena riflettere per aprire un dibattito.
Il primo riguarda la capacità di inglobare in piani strategici veramente di lungo termine le possibili implicazioni del cambiamento climatico per l’azienda, cercando di mettere in atto sin da subito le misure di prevenzione e di controllo che paiono essere in grado di far raggiungere gli obiettivi prefissati. Vedere il cambiamento climatico in una prospettiva strategica e di lungo periodo, assieme agli altri elementi rilevanti per la previsione e la gestione dei profitti e dei rischi aziendali, può essere utile per esaminare le interazioni tra i vari strumenti disponibili ed immaginare azioni di creazione di valore.
Il secondo riguarda l’introduzione di un sistema di monitoraggio periodico sui fattori di rischio legati alle tematiche ambientali.
Nelle banche si è diffuso da qualche anno lo strumento del RAF, il risk appetite framework, che individua per ogni banca una serie limitata di fattori di rischio cruciali su cui il board, d’intesa con il management, pone limiti ben precisi. Uno strumento analogo potrebbe essere introdotto per l’ambiente. Lo potremmo definire un CRAF, un climate risk appetite framework. Ogni board dovrebbe sforzarsi di individuare, e di validare nell’ambito del piano strategico di lungo periodo, una serie di elementi di rischio da tenere sotto controllo nel breve periodo. Un ulteriore vantaggio di un CRAF consisterebbe nella continua raccolta di informazioni e dati da parte delle aziende, che potrebbero confluire, per quanto riguarda gli aspetti di monitoraggio dello stato dell’ambiente, in un grande database pubblico che potrebbe essere utilizzato, assieme ai dati già esistenti, per fare ricerca e comprendere meglio come affrontare la grave sfida della sostenibilità nel lungo periodo.

Le sfide future per i consiglieri di amministrazione

Per prima cosa riteniamo che, seppure le definizioni di base di corporate governance e di responsabilità dei consiglieri di amministrazione rimangano invariate, lo scopo e l’ampiezza del mandato si è ampliato per includere i problemi di sostenibilità e soprattutto di cambiamento climatico. Come consiglieri, dobbiamo comprendere a fondo il problema per fare fronte nel modo migliore a questa nuova componente dei nostri doveri.
La sfida più grande è rappresentata dagli enormi gap informativi che ancora oggi rimangono, e che continueranno anche nel futuro a complicare l’analisi e l’assunzione di decisioni. Questa sfida è acuita dalle incertezze sulle dinamiche politiche e regolamentari che influenzeranno il contesto in cui le aziende opereranno. Come abbiamo detto sopra, a nostro parere questo non giustifica la mancanza di scelte e decisioni, e i consiglieri, assieme ai manager, devono dimostrare di comprendere questi temi e soprattutto di capire come questi temi influenzeranno le sorti dell’azienda che gestiscono.
Le aziende devono riflettere attentamente sulle implicazioni del cambiamento climatico per i modelli di business, per la pianificazione di lungo termine, e la gestione del rischio. Le numerose incertezze e l’assenza di dati non devono rappresentare una scusa per l’inerzia, ma devono dare incentivi a riflessioni globali. E infine, le aziende devono ricordare che la sfida della sostenibilità e del cambiamento climatico coinvolge anche il pubblico degli investitori, che non ha maggiori certezze del mondo aziendale. Orientarsi verso una strategia di contenimento delle emissioni significa muoversi assieme agli azionisti. I manager e i consiglieri di amministrazione possono aspettarsi un esame più attento da parte dei proprietari, e dovranno dimostrare di fare del loro meglio, nel contesto di informazione mancante, per salvaguardare il valore di lungo periodo delle aziende che dirigono.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Karina Litvack – Associata Nedcommunity, fa parte di numerosi boards e advisory bodies, nel Regno Unito, in Italia e negli USA, a seguito di una carriera di 25 anni in finanza, nella quale ha sviluppato una specifica expertise in Corporate Governance, Business Ethics and Sustainability. In Italia, come amministratore indipendente, fa parte del CdA dell’ENI, di cui è anche membro del Comitato Controllo & Rischi e dei Comitati di Compensazione e di Sostenibilità & Scenari ([email protected]).

(**) Andrea Beltratti – Professore ordinario alla Bocconi dove è Direttore dell’Executive Master in Finance della SDA; Laureato in Economia e Commercio (Università degli Studi di Torino, Ph.D in Economics (Yale University).Fa parte del C.d.A. di EFAMA (European Fund and Asset Management Association). E’ stato consigliere di amministrazione indipendente di società di gestione del risparmio, membro indipendente del C.D. di Assogestioni, nonché Membro del C.D. dell’Associazione Bancaria Italiana. Dal 2010 al 2013 è stato Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo ([email protected]).


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