Banche e Finanza

Riforma Tuf e norme bancarie: ecco tutte le incongruenze

La riforma del Testo unico bancario punta sulla semplificazione. L’Associazione bancaria italiana (Abi), però, ha messo in evidenza la necessità di una “messa a punto” di alcune disposizioni. Ne abbiamo parlato con un’esperta

Michela Del Piero

Tuf e norme di vigilanza bancaria sono alla ricerca di un allineamento. La questione delle incongruenze fra alcune disposizione del Testo unico bancario sottoposto a iter di riforma e le vigenti leggi, è stata sollevata dal vicedirettore dell’Abi, Gianfranco Torriero, sentito nei giorni scorsi dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanza di Camera e Senato. La Voce degli Indipendenti ne ha parlato con Michela Del Piero, membro del consiglio di amministrazione di Banca Sella S.p.A e dal 2016 al 2022 presidente del collegio sindacale dell’Abi.

La prima delle contraddizioni emerse riguarda la nomina del comitato per il controllo sulla gestione. Di cosa si tratta e come si potrebbe risolvere?

Il vicedirettore Torriero ha evidenziato come per le società quotate con modello di governance monistico, “la nuova disposizione riservi al solo cda la nomina dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione, ad eccezione del presidente che, come avviene sinora, è nominato dall’assemblea tra i componenti eletti dai soci di minoranza”. La vigente regolamentazione bancaria, però, sancisce una disciplina differente per gli istituti che adottino il modello monistico: a differenza delle altre società quotate, infatti, le banche sono obbligate a conferire all’assemblea il compito di nominare e revocare i componenti di questo organo. Manca quindi una forma di raccordo in cui si evidenzi che negli istituti di credito quotati vale la disciplina speciale.

Torriero ha chiesto di chiarire “il ruolo svolto dal voto per corrispondenza e il fatto che tale modalità deve essere deliberata dall’organo amministrativo”. Ci spiega di cosa si tratta?

Si tratta di modalità assembleari alternative che consentono di deliberare che il voto e l’intervento in assemblea avvengano tramite l’uso del rappresentante designato, indispensabile durante la pandemia, che si è diffuso enormemente anche negli anni a seguire, o che sia ammesso il voto per corrispondenza. Queste previsioni di modalità assembleari sono state sempre deliberate dal consiglio di amministrazione ma nel testo di riforma del Tuf non è scritto da nessuna parte che il voto di corrispondenza possa essere disposto dal board. Una lacuna che di certo necessita di integrazione se si vuole rendere più snello e attuale lo svolgimento dell’assemblea, più fluidi e sicuri i processi e quindi garantire un esito positivo dell’assise. Lo spirito della riforma, del resto, è questo: semplificare e quindi movimentare il mercato dei capitali che al momento soffre di una certa asfissia rendendolo così più appetibile.

Un altro tema molto sensibile è quello delle persone ineleggibili. La riforma include anche i conviventi e si precisa che gli affini rilevanti ai fini dell’incompatibilità sono solamente quelli fino al secondo grado. Si poteva fare di più? 

Secondo l’Abi, e io mi trovo d’accordo con questa interpretazione, sì. Andrebbero considerati rilevanti i vincoli di parentela o affinità solo se tali da pregiudicare l’indipendenza dell’esponente, in coerenza con quanto previsto nel resto d’Europa. Spesso ci sono affini che neanche si conoscono e sulla base di questo presupposto, nel resto dei Paesi europei, è possibile fare una dichiarazione di indipendenza unilaterale nella consapevolezza che la semplice affinità non va a pregiudicare sempre l’indipendenza di un consigliere. Vorrei ricordare quanto sia difficile oggi trovare degli amministratori indipendenti che abbiano tutte le caratteristiche di professionalità necessarie. I divieti di certo servono ma devono colpire gli obiettivi giusti. Ben venga quindi la proposta dell’Abi di circoscrivere l’ampiezza del perimetro di ineleggibilità solo per le “più significative società del gruppo”. L’Abi ha proposto anche una soglia del livello di significatività che potrebbe essere stabilito in un decimo dell’attivo consolidato.

L’Abi chiede poi di abrogare il divieto di interlocking per allineare la normativa nazionale in tema di cumulo di incarichi a quanto stabilito dalle regole europee. In cosa consiste questo nodo?

La legge italiana prevede il divieto di assumere o esercitare cariche tra imprese o gruppi di imprese concorrenti operanti nei mercati del credito, assicurativo o finanziario. La legge n. 28/2025 ha previsto di razionalizzare la disciplina della concorrenza nei mercati del credito e finanziari, anche valutandone la soppressione. Ed è proprio per allineare la normativa nazionale in tema di cumulo di incarichi che l’Abi ha deciso di chiedere l’abolizione del divieto di cariche incrociate: l’obiettivo è non penalizzare le banche italiane rispetto ai concorrenti stranieri.

Infine, tornando al tema della competenza dei consiglieri, vorrei ricordare che gli indipendenti hanno una professionalità che va conseguita negli anni. Bisogna però metterli concretamente nelle condizioni di maturare numerose esperienze in aziende differenti.

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