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Quote rosa: le novità nel panorama europeo

Nel Vecchio Continente sono sei gli Stati membri che hanno adottato le quote di genere obbligatorie, fra cui l’Italia. La necessità di una direttiva europea per armonizzare le legislazioni

Frederic Koberl/Unsplash

L’individuazione di correttivi alla sottorappresentazione femminile nei board si è posta da tempo all’attenzione dell’Unione Europea. Nel novembre 2012, la Commissione ha elaborato la Proposta di Direttiva sull’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in borsa [COM (2012) 614], volta a raggiungere la percentuale del 40% degli amministratori non esecutivi appartenenti al genere sottorappresentato. Benché la Proposta abbia ottenuto nel 2013 l’approvazione a larghissima maggioranza del Parlamento europeo, il Consiglio non ha sino ad ora raggiunto l’accordo: il suo varo è però una delle priorità della Strategia dell’UE sull’uguaglianza di genere 2020-2025, adottata dalla Commissione il 5 marzo 2020.

Nel frattempo, diversi Stati membri, fra cui l’Italia, con la l. 120/2011 e le modifiche introdotte nel TUF 58/1998 dalla l. 160/2019, hanno intrapreso azioni per promuovere la gender equality nella leadership delle società. Accanto a misure di soft law, volte a incoraggiare le imprese ad autoregolamentarsi, si affermano sempre più norme cogenti che introducono quote a favore del genere sottorappresentato, talora rafforzate da sanzioni, quali nullità, decadenza e/o di natura pecuniaria (in Italia). Ad oggi, stando al Gender Equality Index 2020, sei Stati membri hanno adottato quote obbligatorie per le società quotate: Belgio, Francia e Italia nel 2011, seguiti da Germania nel 2015, Austria e Portogallo nel 2017, e, da poco, la Grecia che, con la l. n° 4707 del 17 luglio 2020, ha imposto di assegnare a ciascuno dei due generi una quota non inferiore al 25% dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate.

Un panorama variegato

In Francia, con la Loi n° 2011-103 (c.d. Loi Copé-Zimmerman) e successivi interventi, si è raggiunta negli organi amministrativi delle società quotate una rappresentanza femminile pari al 45,8%, ben superiore alla soglia del 40% indicata dal legislatore. Le iniziali previsioni sono oggi estese a tutte le sociétés anonymes con almeno 250 dipendenti e una cifra d’affari o un totale di bilancio di almeno 50 milioni di euro (per tre esercizi consecutivi). La violazione è sanzionata con la nullità della nomina, estesa anche alle delibere dell’organo invalidamente nominato. La Francia è così al primo posto in materia di “femminilizzazione” dei consigli di amministrazione in Europa, davanti anche alla Norvegia (prima ad introdurre le quote nel 2003), anche se non si registra un’adeguata presenza femminile negli organi esecutivi (solo il 22% nelle società del SBF 120). Da qui l’approvazione il 12 maggio 2021 da parte dell’Assemblea Nazionale di un progetto di legge per una “reale parità economica e professionale” tra donne e uomini, che deve essere inviato al Senato e che vincolerà le società con più di 1.000 dipendenti a raggiungere almeno la quota del 30% di donne tra “gli alti dirigenti e i membri degli organi di gestione” entro il 2027, e quella del 40% entro il 2030, prevedendo una significativa sanzione pecuniaria in caso di violazione (sino all’1% della remunerazione e dei guadagni versato ai dipendenti durante l’anno solare precedente).
 
Nella stessa direzione si muove la Germania: l’11 giugno 2021, il Bundestag ha approvato il FüPoG II, che rafforza le previsioni introdotte nel 2015 dal FüPoG I in relazione ai soli consigli di sorveglianza. Con la promulgazione, le società quotate in borsa e quelle a cogestione paritetica, con più di 2.000 dipendenti, dovranno avere almeno una donna nei consigli di gestione. Inoltre, sarà estesa anche alle società a maggioranza pubblica l’imposizione di una quota del 30% di donne all’interno del consiglio di sorveglianza e sarà prescritta la partecipazione di almeno una donna nei consigli di gestione con più di due membri. I dati confermano l’impatto positivo delle quote vincolanti: nel 2020, le donne rappresentano il 37% dei membri dei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate negli Stati membri che le hanno imposte, rispetto al 25% nei Paesi che hanno misure soft o privi di regolamentazione e vi sono ancora 10 Stati membri, tra cui Estonia e Cipro, con percentuale inferiore al 20%.

Di fronte ad un panorama così variegato, non sfugge quindi l’urgenza dell’adozione della Direttiva sull’equilibrio di genere per armonizzare almeno negli organi amministrativi la presenza delle donne.

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