Punti di vista

Qualche considerazione sulla contabilizzazione dell’avviamento

L’attualità

In conseguenza dell’attuale crisi finanziaria, i bilanci di molte aziende, ed in particolare quelle del settore creditizio, hanno evidenziato perdite di importo significativo, quando non addirittura devastante, derivanti dalla riduzione di valore dell’avviamento. 
Due esempi significativi riguardano Unicredit e Intesa San Paolo. Per la prima la situazione trimestrale al 30 Settembre 2011, predisposta in base ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS) evidenzia “rettifiche di valore dell’avviamento” pari 8,7 miliardi di euro che ne hanno quasi dimezzato il valore. Tale perdita inoltre ha ridotto di quasi il 13% il patrimonio netto rispetto al suo valore al 30 Giugno 2011 e supera addirittura il valore degli interessi attivi del terzo trimestre 2011. Le “rettifiche di valore dell’avviamento” al 30 Giugno 2011 erano pari a zero. 
Per quanto riguarda Intesa Sanpaolo il quarto trimestre 2011 ha evidenziato rettifiche di valore dell’avviamento per 10,2 milioni. Tali perdite rappresentano circa il 19% del patrimonio al 31 Dicembre 2010 e il comunicato stampa per la presentazione dei dati 2011 evidenzia che si tratta di una “svalutazione fortemente prudenziale (… omissis…) a fronte di operazioni prevalentemente carta contro carta, con impatto solo sulle scritture contabili e nessun riflesso su cash-flow, liquidità, solidità, coefficienti patrimoniali e redditività prospettica”. Si tratta di una affermazione abbastanza sconcertante per un lettore non profondamente coinvolto nelle recenti evoluzioni dell’informativa societaria in quanto potrebbe chiedersi a cosa serva evidenziare perdite tanto significative se hanno solo un impatto “contabile”, ma non sulla solidità, liquidità e prospettive dell’impresa. 
Ma Intesa Sanpaolo non sta mentendo, soprattutto se si pensa che in gran parte l’avviamento si era creato ad inizio 2007 al momento della fusione dei due colossi bancari, Intesa e Sanpaolo, con una mera scrittura contabile per riflettere, come prescrivono gli Ifrs, il prezzo di borsa delle azioni di Intesa pari, all’epoca, a 5.85 euro quando oggi il titolo vale meno di un quarto. L’effetto fu di “gonfiare” il patrimonio contabile, ma non il patrimonio valido ai fini della Vigilanza, mediante l’evidenziazione di un avviamento “teorico” basato sui listini di Borsa. Ora, per smontare la scrittura contabile, i principi contabili richiedono di iscrivere una perdita. Perdita quindi, ma di carta. 
In generale si pone il problema se abbiano senso le attuali regole contabili relative alla contabilizzazione dell’avviamento e delle relative perdite di valore. 

Nella sostanza, un punto centrale dell’attuale dibattito sulla contabilizzazione dell’avviamento sembra riguardare l’alternativa tra ammortizzare l’avviamento a quote costanti su un periodo definito di tempo, o mantenerne il valore attribuito inizialmente fino al manifestarsi di perdite. A ciò si aggiunge la questione di come stimare attendibilmente queste perdite. 

Uno scontro culturale

Il dibattito discende dal confronto, o forse dallo scontro, tra una cultura contabile anglosassone che privilegia la rilevanza e la competenza economica nella contabilizzazione degli accadimenti aziendali e la tradizione contabile italiana e latina, che privilega il principio della prudenza. Il principio di prudenza, considerando le difficoltà di valutazione di un bene intangibile come l’avviamento, indurrebbe ad ammortizzare il costo in un lasso di tempo breve; i principi di competenza economica e di rilevanza dell’informazione richiedono invece che le diminuzioni di valore dell’avviamento vengano registrate solo quando vi sia una regionevole evidenza che si siano effettivamente realizzate. 

Effettivamente il trattamento contabile dei beni a vita indefinita, così come espresso dai principi IFRS, rappresenta un tentativo di fornire una maggiore scientificità al concetto di ammortamento a cui siamo tradizionalmente abituati. 

Ritengo si possa essere d’accordo che l’avviamento si crea e si distrugge in maniera continua ma non uniforme. Particolari eventi, spesso traumatici, possono ridurne il valore in tempi brevi ed in modo significativo (si pensi ad un cambiamento legislativo che impedisca la prosecuzione di una determinata attività economica fino ad allora redditizia.) 

Pertanto, ammortizzare l’avviamento in quote costanti su un periodo tempo determinato in maniera sostanzialmente “arbitraria” è certamente prudente, ma poco rispettoso del punto di vista della logica economica, della rilevanza dell’informazione e del rispetto stringente del principio di competenza economica. 

Anche il codice civile ed i principi contabili italiani hanno sostanzialmente accolto queste considerazioni ed infatti prevedono che l’obbligo di ammortizzare l’avviamento sia accompagnato da quello di contabilizzare le perdite durevoli di valore la cui definizione e trattamento presentano forti analogie con le perdite di valore rilevate dai test di impairment previsti dai principi IAS/IFRS. 

Misurare, quando necessario, eventuali perdite di valore dell’avviamento è più corretto dal punto di vista della logica economica, ma necessita sofisticati ed attendibili strumenti per la misurazione di fattori non solo quantitativi ma anche qualitativi (per esempio i giudizi sulla sostenibilità operativa e finanziaria dei piani futuri).

Gli strumenti di misurazione ed il cambio di prospettiva dell’informazione finanziaria

Ad oggi, il costante dibattito sulle modalità di calcolo del fair value, il continuo aggiornamento dei principi contabili relativi al suo utilizzo e delle metodologlie di applicazione pratica dell’impairment test evidenziano che questi strumenti non hanno ancora raggiunto un sufficiente livello di affidabilità. 
Inoltre le perdite di valore tendono ad essere influenzate da due cause principali: il cambiamento delle strategie relative alle attività a cui l’avviamento è stato allocato ed il quadro macroeconomico. Peraltro, il calcolo dell’effetto di ognuna delle due cause di perdita di valore non è affatto semplice per le loro interrelazioni. 

Il cambiamento nelle strategie emerge generalmente da piani industriali su cui si basa il test di impairment, ma spesso i segnali di impairment derivano da situazioni di crisi interne o esterne all’azienda tali da determinare incertezze molto significative circa l’attendibilità dei piani industriali e delle loro assunzioni di base. 

Inoltre, come evidenziato anche nel rediconto di Unicredit al 30 Settembre 2011, i parametri e le informazioni utilizzati per la verifica della recuperabilità dell’avviamento sono significativamente influenzati dal quadro macroeconomico e di mercato che potrebbero registrare mutamenti ad oggi non prevedibili. L’effetto di questi mutamenti sulla stima dei flussi di cassa potrebbe pertanto condurre nei bilanci degli esercizi successivi a risultati diversi da quelli riportati nei resoconti attuali. 

Apparentemente assistiamo quindi ad un rovesciamento, o almeno un ampliamento, della prospettiva dell’informativa di bilancio. L’informativa di bilancio attuale sembra meno interessata ad evidenziare la capacità dell’impresa di incidere sul contesto economico in cui opera e sempre più interessata ad evidenziare gli effetti del contesto economico sull’impresa. 
La capacità dell’impresa di acquistare e trasformare efficientemente fattori produttivi rivendendoli poi sul mercato sembra in alcuni casi schiacciata dalla necessità di verificare, mediante valutazioni al fair value e previsioni di flussi di cassa futuri, quanto influiscano sul bilancio fattori macroeconomici largamente indipendenti dall’impresa. 

Le lunghe spiegazioni tecniche circa la natura ed il processo di impairment test, che spesso comprendono l’illustrazione di molti dati relativi a scenari economici mondiali, indica che l’attuale evoluzione dell’informativa di bilancio stia diventando sempre più una materia comprensibile a pochi specialisti. Inoltre la grande massa di dati coinvolti nel processo di impariment, che spesso presentano un elevato grado di incertezza o di soggettività e di cui è difficole giudicare l’attendibilità, può indurre a ritenere che chi sa maneggiare bene i numeri possa ottenere i risultati che desidera. La preparazione stessa dei bilanci rischia di diventare una materia per matematici anzichè per contabili. 
Queste caratteristiche dell’informativa inoltre pongono in una posizione ambigua consulenti e revisori contabili che devono elaborare ed asseverare i risultati degli astrusi calcoli necessari per lo svolgimento dell’impairment test. Da un lato, essi a volte sono i depositari di un “sapere” che li pone in una posizione di forza rispetto ai loro clienti, e dall’altro, essendo pagati dalle società, possono subire pressioni per orientare i risultati dei calcoli. 

Naturalmente i problemi relativi alla contabilizzazione dell’avviamento non sono solo questi ma si riferiscono anche alla sua esatta definizione ed ai meccanismi con i quali viene generato e distrutto. 
Ad oggi i principi IFRS definiscono così il goodwill“An asset representing the future economic benefits arising from other assets acquired in a business combination that are not individually identified and separately recognised.” (IFRS 3 Appendix A – Defined Terms).

Tale definizione fa riferimento a qualcosa che si acquisisce a seguito di una aggregazione aziendale ma non spiega in cosa esso consista. 
In effetti, quello che viene definito goodwill dai principi IFRS contiene almeno due componenti: l’avviamento proprio dell’azienda, e cioè la sua intrinseca capacità di generare redditi, e l’avviamento connesso alle caratteristiche intrinseche dell’acquirente che gli permettono di ottenere delle sinergie tra le attività acquisite e le altre attività già detenute. L’identificazione e trattamento contabile di queste due componenti richiede sofisticazioni nei calcoli ed elementi di discrezionalità. 
Infine l’attuale incapacità di misurare l’avviamento prodotto internamente obbliga a contabilizzare tra le attività solo l’avviamento acquistato in una aggregazione aziendale e non quello prodotto internamente, ma ciò dal punto di vista della pura logica non è corretto. Infatti, le altre attività (per esempio le rimanenze di merce) vengono sempre contabilizzate, siano esse acquistate sul mercato o prodotte internamente. 

Una modesta proposta
Ad oggi mi pare che sia l’impostazione tradizionale (ammortamento costante dell’avviamento) sia quella prevista dai principi IFRS (solo impariment test) non siano in grado di fornire una risposta del tutto adeguata alle esigenze degli utilizzatori dell’informazione finanziaria. È necessario un ulteriore sforzo affinché i principi contabili determinino risultati più credibili e possano essere compresi da un pubblico adeguatamente preparato ma non necessariamente superspecializzato nella materia. 

Per fornire un contributo al dibattito, mi chiedo se non sia possibile rovesciare la logica attuale. Gli IFRS, ad oggi, prevedono che l’avviamento venga imputato a conto economico solo quando vi sia l’evidenza che si sono manifestate delle perdite. 
Non si potrebbe invece pensare a principi contabili che prevedano che l’avviamento debba essere ammortizzato in un periodo di tempo limitato (ad esempio cinque esercizi), ma che sia possibile sospendere l’avviamento qualora vi sia una ragionevole evidenza che l’attività a cui esso si riferisce produca degli utili (ad esempio per due anni consecutivi?) 


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