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POSTA DEI LETTORI a cura della Direzione

Sulla Remunerazione degli Amministratori Indipendenti, pubblichiamo una lettera inviataci dalla Spagna da un nostro lettore. Coloro che desiderano prendere visione dell’articolo di El Pais (intitolato “Elija bien su Consejo”, ovvero “Eleggete bene il vostro CdA”), possono valersi del seguente link che porta sul Sito Ned alla voce Rassegna stampa … 
Sotto, in risposta, pubblichiamo il commento degli autori dell’indagine pubblicata nel numero di gennaio dalla Rivista.



Caro Direttore, 
Su El Pais del 31 gennaio c’era il commento a uno studio del Centro di Corporate Governance della Business School EI sulla retribuzione degli Amministratori Indipendenti nelle 87 società quotate nella Borsa spagnola. Si tratta di retribuzioni che vanno da un minimo di 13.000 a un massimo di circa 380.000 euro. Escludendo le punte, le retribuzioni vanno da 75.000 a 108.000. Sul saggio di Meoli e Paleari apparso sul vostro n. 2, risultano in Italia dei massimi più alti, ma i valori mediani sono nettamente inferiori e sono di 25.000 nell’industria e di 54.000 nelle banche e assicurazioni. Eppure i commenti su El Pais, ad esempio da parte di Pricewaterhouse Coopers, lamentano retribuzioni troppo basse a fronte di una grande responsabilità, che non si ripaga certo con una cifra lorda di 75.000 euro. Ma in Italia gli amministratori corrono anche gravi rischi di sanzioni da parte degli organismi di vigilanza e quelle cifre mediane risultano decisamente sproporzionate ai rischi e alle responsabilità. Qual è la vostra opinione? 
Franco Mordaz, Barcelona.



Risposta

Nello studio di cui si parla su “El Pais” vengono riportati i valori medi, mentre i nostri sono mediani. Si tratta inoltre di valori relativi alla retribuzione media pagata da ogni impresa, mentre le statistiche da noi pubblicate considerano ogni amministratore come individuo. È evidente che queste due differenze deprimono il valore da noi pubblicato. 
Una volta riaggregati i dati, in analogia allo studio spagnolo, si osservano, per l’Italia, una remunerazione media riconosciuta agli indipendenti di poco inferiore ai €45.000 nelle imprese industriali, e superiore ai €106.000 nelle imprese bancarie e finanziarie. 
Si tenga inoltre conto che, nel nostro contributo, abbiamo escluso dal computo il caso dei “chairman indipendenti”, che indubbiamente rappresentano un caso particolare non comparabile con le altre osservazioni. 

Detto questo, pur tenendo conto di questi valori che, così ricalcolati, evidenziano una differenza meno sostanziale con il contesto spagnolo, stiamo comunque osservando delle remunerazioni che, come giustamente osserva il nostro lettore, sembrano “sproporzionate a rischi e responsabilità”. 
Pare opportuno sottolineare il termine “sembrano”, visto che, da un punto di vista teorico, questi valori andrebbero corretti per diverse caratteristiche, riferibili sia alle imprese oggetto dell’indagine (dimensione, industria di riferimento, etc.), sia alle caratteristiche individuali dell’amministratore (formazione, esperienza, reputazione, etc.), sia al tipo di remunerazione concordata. 

Dai risultati preliminari di un’indagine in corso presso l’Università degli Studi di Bergamo, in ogni caso, le remunerazioni degli amministratori indipendenti italiani sembrano essere statisticamente inferiori rispetto a quelle percepite dai “colleghi” che siedono nei board di imprese operanti in economie confrontabili con la nostra; Francia e Germania in particolare, per non parlare del caso UK, dove però vige un diverso sistema di Corporate Governance. 
Da un punto di vista economico, è possibile dare due spiegazioni a questo risultato. 
Da un lato, questo basso livello delle remunerazioni può essere dovuto ad una scarsa consapevolezza del ruolo e della responsabilità degli amministratori indipendenti, la cui rilevanza è indubbiamente cresciuta in seguito all’adozione dei Codici di Autodisciplina. Questa spiegazione fa riferimento ad un’idea di inefficienza del mercato, che genera compensi non sufficienti a compensare il rischio sopportato dagli amministratori. 

Dall’altro lato, possiamo pensare che ci siano ragioni che giustificano un livello di remunerazione, basso se confrontato con altri contesti, ma non necessariamente inefficiente o non razionale. Possiamo pensare, da un lato, ad un atteggiamento delle imprese che, remunerando in modo scarso i propri amministratori indipendenti, di fatto non utilizzano questa leva come incentivo al controllo. Dall’altro, possiamo pensare a sistemi di remunerazione “privati” che sostituiscono i compensi monetari dichiarati nei bilanci delle società. 

In definitiva, sembra essere davvero necessaria un’analisi, di tipo quantitativo e condotta con metodo scientifico, capace di individuare quali siano le determinanti dei livelli di remunerazione corrente, ed i motivi dello scostamento dalle remunerazioni riconosciute in altri contesti europei. 

Michele Meoli e Stefano Paleari, Università di Bergamo. 


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