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Posizioni e critiche sulle Remuneration Policies

Posizioni e critiche sulle Remuneration Policies

Il tema della remunerazione dei top managers è centrale nell’analisi di Corporate Governance. Torniamo infatti ai fondamenti dell’agency theory trattata da Berle Means sul conflitto d’interesse latente tra manager ed azionisti. 
Le politiche di remunerazione sono indicative della volontà di allineare gli interessi dei manager a quelli degli azionisti. 
I criteri indicativi della presenza dell’allineamento degli incentivi e che vengono utilizzati nell’analisi delle politiche di remunerazione sono i seguenti: 
– la presenza di piani di incentivo di lungo termine; 
– l’andamento delle remunerazioni comparato ai rendimenti degli azionisti (Total Shareholders Return – TSR); 
– l’assenza di ‘golden parachute’ e in generale la condivisione ex ante con gli azionisti di ogni clausola relativa alle indennità di fine mandato che non sia il risultato di decisioni arbitrarie e ‘politiche’ dell’ultimo momento o eccezioni che confermano la regola; 
– il rapporto con la retribuzione media, perché è indicativo dell’investimento sulle risorse umane dell’azienda e non soltanto sulle sue figure apicali. 

In Italia questo è il primo anno in cui le politiche di remunerazione vengono sottoposte al voto consultivo degli azionisti. Da un’analisi di Frontis Governance sulle società quotate del FTSE-MIB (escluse Tenaris e ST Microelectronics) risulta che nel 2011, nonostante il TSR sia diminuito del 19%, le remunerazioni medio dei top managers sono aumentate dei oltre il 14%. Nel periodo, alcune indennità di fine mandato (Geronzi € 16,6 milioni e Guarguaglini € 9,48 milioni) sono state esorbitanti. 
All’estero, in alcuni Paesi come il Regno Unito ed i Paesi Scandinavi, la norma esiste già da anni; negli Stati Uniti il ‘say on pay’ è stato introdotto dal Dodd Frank Act. 

Nel 2012 in alcuni casi eclatanti (Barclays, Citigroup, UBS, Credit Suisse, AstraZeneca, ecc.) gli investitori istituzionali esteri hanno votato contro le politiche di remunerazione per quasi il 50% dei voti. Il network ECGS ha bocciato l’88% dei piani sui mercati europei ed in generale le società di proxy voting hanno raccomandato agli investitori istituzionali di astenersi o votare contro molti piani di remunerazione. 

Il tema è rilevante anche per analizzare il grado di salute della governance dei mercati. Nel settore finanziario la crescita ed i livelli degli stipendi dei top manager negli ultimi vent’anni hanno favorito l’azzardo morale. 
Se i conflitti d’interesse sono diventati così grandi e pervasivi dei mercati la ragione sta anche nello scollamento delle politiche di remunerazione dalla realtà dei ritorni reali dell’economia. E’ chiaro che la rifondazione dei mercati passa da un ripensamento in totodelle logiche sottostanti alle politiche di remunerazione e dei livelli assoluti raggiunti dalle stesse remunerazioni. 

Qual’è il ruolo degli Advisors
Gli Advisors hanno contribuito considerevolmente a rafforzare le tendenze inflazionistiche in tema di remunerazione verificatesi negli ultimi decenni. E stupisce molto il fatto che tuttora non abbiano il coraggio di vedere che “il re è nudo”. 
Come si è riconosciuto negli Stati Uniti nel Dodd-Frank Act, gli Advisors sono in conflitto di interesse perché loro stessi sono incentivati a fornire argomenti a sostegno dell’aumento delle remunerazioni dei top manager che a loro volta forniscono loro i mandati più interessanti e remunerativi che sono quelli più in generale sulle risorse umane dell’azienda. 

Qual’è il ruolo degli amministratori indipendenti? 
Purtroppo, la maggior parte dei cosiddetti indipendenti sono catturati dagli amministratori esecutivi o sono troppo timidi o deboli per affermare la propria autorevolezza. 
Spesso purtroppo sono troppo preoccupati della propria remunerazione e quindi essi stessi in conflitto d’interesse. 

Ned Community potrebbe dare più spazio ad associati con grande know-how in materia e con posizioni critiche nei confronti degli Advisors tradizionali. 

L’auspicio è che l’Associazione promuova con coraggio il pluralismo su di un tema così delicato dove giustamente gli investitori cosiddetti responsabili sono sempre più impegnati nei mercati avanzati e con i quali mi trovo a collaborare quotidianamente. Altrimenti il rischio è di vedersi accusare di poca indipendenza, autoreferenzialità e spirito corporativo. Il che sarebbe un controsenso.

P.S.– Per approfondimenti si rinvia ai due seguenti articoli di Daniela Carosio pubblicati dalla Rivista Aiaf:


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