Dura lex

Obbligo di una “quota rosa” nei C.d.A. delle società quotate ed a partecipazione pubblica

In questi giorni, dopo varie frenate del governo al Senato, è in via di approvazione il progetto di legge bipartisan contenuto nel DDL 2482 che prevede l’obbligatorietà dell’applicazione di una “quota rosa” pari ad almeno un terzo di membri nei Consigli di Amministrazione delle società quotate e nei Consigli di Amministrazione delle società a partecipazione pubblica.

In particolare, con il DDL n. 2482 il nostro legislatore intende modificare il D. Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – di seguito “T.U.F.”) per far si che si “assicuri l’equilibrio tra i generi” nei Consigli di Amministrazione delle società per azioni quotate nei mercati finanziari.

L’articolo 147-ter del T.U.F., che disciplina l’elezione e composizione dei Consigli di Amministrazioni delle società quotate, dovrebbe essere integrato con il comma 1-ter che sancirà l’obbligo per le società di disporre nello statuto sociale la nomina degli amministratori (e dei consiglieri di sorveglianza nelle società che adottino il sistema dualistico) seguendo il criterio dell’equilibrio tra i generi ed in particolare avendo cura che le donne ricoprano la quota di almeno il 30% dei posti nel consiglio di amministrazione (e nel consiglio di sorveglianza nelle società che adottino il sistema dualistico) e tale criterio sarà applicabile per almeno tre mandati consecutivi1

Per la società quotate che adottano il sistema monistico, l’articolo 147-quater del T.U.F. dovrebbe invece essere integrato dal comma 1-bis il quale prevede l’applicazione delle medesime disposizioni di cui sopra anche nell’ambito del Consiglio di Gestione (quando questo è costituito da un numero di membri non inferiori a tre)2.

Disposizioni analoghe sono anche previste in materia di composizione del Collegio Sindacale; per effetto della proposta di modifica del comma 1-bis dell’148 del T.U.F. l’atto costitutivo delle società dovrebbe stabilire che il riparto dei membri sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del Collegio Sindacale3. Anche con riferimento al Collegio Sindacale il criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi.

Prima dell’approvazione definitiva, resta da sciogliere il nodo delicato delle sanzioni che dovrebbero essere previste in caso di inadempienza all’obbligo di arrivare entro un certo periodo di tempo (e con quote intermedie) ad assegnare un terzo dei posti nei Consigli di Amministrazione e nei Collegi Sindacali alle donne. 

Sotto questo profilo, nella seduta alla Camera dell’8 marzo scorso si è molto discusso della possibilità di prevedere, in caso di inadempienza, la decadenza immediata di tutti i componenti dell’organo amministrativo così eletti4

Sulla scorta di tale acceso dibattito si è poi deciso di prediligere un meccanismo più flessibile che prevedesse una decadenza non immediata dei Consigli di Amministrazione (o del Consiglio di Sorveglianza nel caso di sistema dualistico o del Consiglio di Gestione nel caso di sistema monistico), e comunque che prevedesse una previa diffida formale ed eventualmente una successiva applicazione, entro 4 mesi – da parte di Consob – di una sanzione pecuniaria (da 100 mila a 1 milione di Euro per gli organi amministrativi e da 20 mila a 200 mila Euro per gli organi di controllo)5. Secondo tale meccanismo, solo in caso di ulteriore inadempienza (3 mesi) e previa una seconda diffida, sarebbe difatti disposta la decadenza dell’organismo. 

Per quanto riguarda le società a partecipazione pubblica è stato previsto di demandare al Governo la predisposizione di un regolamento, entro 2 mesi dall’approvazione della legge, che stabilisca in modo specifico le modalità della vigilanza.


Gradualità dell’applicazione delle quote

Il 9 marzo scorso è stato inoltre sciolto il nodo della gradualità dell’applicazione delle quote. Inizialmente era stata assunta una posizione elastica prevedendo di dover raggiungere il tetto del 30% entro 3 mandati dei Consigli di Amministrazione con una gradualità di presenze pari al 10% nel primo rinnovo, al 20% nel secondo al 30% nel terzo. Questo lasso di tempo è stato poi ritenuto troppo ampio dalla Commissione Finanze che lavorando in termini assolutamente bipartisan, ha determinato che i Consigli di Amministrazione e gli Organi di controllo delle società quotate e controllate pubbliche non quotate debbano essere composti da un quinto di donne a partire dal 2012 e da un terzo dal 2015.

I tempi di entrata in vigore delle norme

Per quanto riguarda infine i tempi di entrata in vigore delle norme, la Commissione Finanze che ha approvato tutto l’articolato del provvedimento che è pronto per l’aula ma si attende la decisone della presidenza del Senato e dei capigruppo della Camera su un possibile via libera deliberante che consentirebbe così di saltare il passaggio in aula.

Da quando la legge sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale entrerà in vigore dopo un anno con una percentuale del 20% di donne nel primo mandato dei Consigli di Amministrazione compreso tra il 2012 ed il 2015 e nel secondo mandato tra il 2015 e il 2018 saliranno a quota 33%.

La decisione sull’approssimazione per difetto o per eccesso dovrebbe essere lasciata alla decisone delle singole società che provvederanno alla definizione nei propri statuti. 


Una autentica rivoluzione

L’ipotizzabile approvazione della legge comporterà una vera rivoluzione nelle grandi società quotate. Quest’anno, fra l’altro, scadono i Consigli di Amministrazione di quasi metà delle 40 società di Piazza Affari comprese nell’indice Ftse Mib e sono in tutto 18 i Consigli di Amministrazione che devono essere rinnovati nel 2011 tra cui Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Telecom, Autogrill e Parmalat. Saranno dunque molte le donne che saranno chiamate ad assumere e a rivestire il ruolo di consiglieri – esecutivi, non esecutivi e indipendenti.

La ratio dell’introduzione delle “quota rosa” nei Consigli di Amministrazione è in linea anche con gli obiettivi europei in merito, la cui rotta è già chiara: per la ripresa economica è necessario ogni tipo di talento , senza esclusione di genere.


Cosa avviene all’estero 
Una situazione del tutto analoga a quella del nostro paese è quella francese dove attualmente la presenza delle donne ai vertici dei Consigli di Amministrazione è pari al 12%, ma in data 13 gennaio 2011 è stata approvata una legge corrispondente a quella al vaglio del governo italiano che prevede il raggiungimento della quota del 20% delle donne nei Consigli di Amministrazione delle società quotate entro il 2014 ed addirittura pari al 40% entro l’inizio del 2017.

In Gran Bretagna, similmente a quanto accade o è accaduto in Italia e Francia, il governo sta valutando l’ipotesi di introdurre “quote rosa” per incrementare il numero delle donne ai vertici aziendali con l’intento di emulare anche i paesi scandinavi come la Norvegia dove il 40% degli alti incarichi di azienda sono occupati da donne o come la Finlandia dove vi è una percentuale del 23,6% di donne nei consigli di amministrazione grazie al codice di corporate governance che chiede un equilibrio tra i generi (fonte: Global Gender Gap Report 2010 del World Economic Forum).

Al contrario, in Germania dove le donne che siedono nei Consigli di Amministrazione sono soltanto il 13%, il governo per ora non sembra particolarmente favorevole all’introduzione forzosa di “quote rosa” nonostante colossi come Deutsche Bank e Telekom non contino presenze femminili ai vertici. 


Conclusione

Il processo legislativo di introduzione del genere femminile nei Consigli di Amministrazione (di Sorveglianza e di Gestione) per via obbligatoria – e non per via di autoregolamentazione – ricorda la genesi dell’introduzione dei consiglieri di minoranza nell’ordinamento delle società quotate (con la Legge n. 262 del 2005, c.d. “Legge sul risparmio”). Anche allora la dottrina sollevò critiche e perplessità rispetto alla modalità di introduzione della categoria dell’amministratore di minoranza. Anche oggi una parte dei commentatori della legge (soprattutto appartenenti al genere femminile) sono negativi sull’imposizione forzosa. Ritegno tuttavia che al di là delle modalità di introduzione (forse effettivamente “odiose” per il genere femminile) resta l’effetto sostanziale e finale di una tensione al riequilibrio dei generi – certo nel rispetto delle differenti professionalità che possono (rectius: devono) convivere nel consesso consiliare e nel collegio sindacale – con l’obiettivo di garantire la dialettica sempre e comunque nel supremo rispetto dell’interesse sociale.

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Note

1. Cfr. Art. 1, comma 2, DDL n. 2482 che dovrebbe aggiungere all’art. 147-ter del T.U.F. il comma 1-ter: “Lo statuto prevede, inoltre, che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi.

2. Cfr. Art. 1, comma 2, DDL n. 2482 che dovrebbe aggiungere all’art. 147-quater del T.U.F. il seguente comma 1-bis: “Qualora il consiglio di gestione sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, ad esso si applicano le disposizioni dell’articolo 147-ter, comma 1-ter.

3. Cfr. Art. 1, comma 3, DDL n. 2482 che dovrebbe modificare l’art. 148, comma 1-bis del T.U.F. come segue: “L’atto costitutivo della società stabilisce, inoltre, che il riparto dei membri di cui al comma 1 sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi. Qualora la composizione del collegio sindacale risultante dall’elezione non rispetti il criterio di riparto previsto dal presente comma, i componenti eletti decadono dalla carica.

4. Cfr. Art. 1 DDL n. 2482 che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe aggiungere al comma 1 dell’art. 147-ter del T.U.F. il seguente comma 1-ter prevedendo in particolare che: “Qualora la composizione del consiglio di amministrazione risultante dall’elezione non rispetti il criterio di riparto previsto dal presente comma, i componenti eletti decadono dalla carica.

5. Tali sanzioni sarebbero applicabili per ciascuna fase di applicazione della legge.


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