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Nomina degli amministratori e lista del cda: il caso italiano

Il nostro ordinamento ha due caratteristiche salienti: gli azionisti di minoranza hanno il diritto di eleggere un numero di amministratori indipendenti, in media da 1 a 3. L’altra nostra caratteristica è il processo di nomina attraverso liste. La nuova Legge 5 marzo del 2024

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Tema tra i più dibattuti della Legge 5 marzo 2024 n. 21, la nomina degli amministratori dovrebbe essere affrontato liberandolo da singole contingenze, nell’interesse del mercato. Nei più significativi ordinamenti (britannico, americano, francese, tedesco, spagnolo), l’assemblea vota sui singoli candidati, non su liste e il consiglio di amministrazione (consiglio di sorveglianza nel modello dualistico) propone i candidati.

Cosa accade all’estero

Anche i soci (individualmente o collettivamente, senza quorum minimo bensì massimo non superiore al 5% del capitale) hanno il diritto di proporre candidati negli stati membri UE (incluso il Regno Unito) in base all’art. 6 della Direttiva N. 2007/36/UE. Troviamo poi alcune differenze. Il diritto spagnolo prevede la rappresentanza proporzionale: i soci possono raggruppare le azioni per candidare e votare il numero di amministratori calcolato dividendo il capitale raggiunto per il numero dei membri del cda (es. soci con 50% del capitale hanno diritto a candidare metà degli amministratori).

In diritto svedese, caratterizzato da un assetto proprietario molto concentrato, paragonabile a quello italiano, tutte le candidature provengono dal comitato nomine ma esso è composto da rappresentanti dei maggiori azionisti (con più del 50% delle azioni), che non sono amministratori. Quindi i maggiori soci (inclusi gli investitori istituzionali domestici; gli investitori istituzionali stranieri, per scelta, non partecipano a questa procedura) nel comitato nomine decidono i candidati (almeno 2 dei quali indipendenti anche dai soci di controllo) che il cda presenterà in assemblea.

Molto diverso è l’ordinamento statunitense dove si è affermato un modello manageriale di s.p.a., lontano dalle tradizioni giuridiche europee, Regno Unito incluso. Solo il cda presenta, nei fatti, la lista dei candidati, auto-perpetuandosi. Per i soci non è previsto alcun diritto; certamente, non è loro vietato presentare liste di candidati ma, in pratica, dato il capitale disperso ed un’asimmetria informativa ed economica tra cda e azionisti, questi ultimi riescono a scegliere i candidati solo se lanciano un take-over sulla società. La regola emanata dalla SEC nel 2010 per bilanciare il rapporto, consentendo al 3% di azionisti da almeno 3 anni di candidare (attenzione, non di eleggere) fino al 25% di amministratori, è stata impugnata da Business Roundtable e Chamber of Commerce e quindi annullata dalla Corte nel 2010 nonostante la SEC fosse stata autorizzata dalla legge federale Dodd- Frank Act ad emanarla.

Gli statuti che, su impulso degli investitori istituzionali, hanno inserito clausole che consentono agli azionisti di presentare candidati prevedono requisiti difficilissimi da raggiungere data l’elevata capitalizzazione delle s.p.a. statunitensi. Ad esempio, in Apple più azionisti, il cui numero però non superi 20, che detengono il 3% del capitale sociale da almeno 3 anni possono presentare candidati fino al 20% dei membri del cda (in un cda ad 8 membri, il 20% sarebbe 1 solo amministratore); tuttavia i maggiori 20 fondi pensione non raggiungono il 3% del capitale nella maggior parte delle società. Lo stesso diritto degli azionisti di chiedere la convocazione dell’assemblea è compresso: solo il 64% circa degli statuti delle società appartenenti all’indice S&P 500 lo prevedono con quorum elevati (Amazon il 30%, le più generose il 20%). I tentativi dei soci di modificare gli statuti difficilmente vanno in porto con il risultato di cda che si autoperpetuano e azionisti senza voce in capitolo. Il diritto europeo, soprattutto a seguito delle Direttive N. 2007/36/UE e 2017/828/UE, ha fondamenti differenti ed è a questi cui bisogna fare riferimento.

L’ordinamento italiano

L’ordinamento italiano presenta due caratteristiche salienti: gli azionisti di minoranza (individualmente o collettivamente) che raggiungono una quota di partecipazione del capitale sociale, variabile a seconda della capitalizzazione, hanno il diritto di eleggere (attenzione, non solo candidare) un numero di amministratori indipendenti, in media da 1 a 3. La norma inserita dalla legge sulle privatizzazioni N. 474/1994 per incentivare la partecipazione degli investitori istituzionali esteri nelle nostre società, ha la funzione di prevenire eventuali comportamenti opportunistici da parte degli amministratori nominati dal socio di controllo, data la concentrazione dei nostri assetti proprietari tuttora tra le maggiori in Europa. Altri stati membri prevedono un diritto della minoranza molto simile (es. Austria, Grecia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Portogallo). L’altra nostra caratteristica è il processo di nomina attraverso liste, che non trova una giustificazione teorico-giuridica o economica: chi vota è costretto ad accettare tutti i candidati della lista (di maggioranza o di minoranza) anche laddove non si fosse convinti di qualche curriculum. Questa regola, al contrario del voto individuale, non premia fino in fondo né la competenza né la meritocrazia – elementi fondamentali per una governance efficace.

Il testo proposto nella Legge 5 marzo 2024, n. 21 appare complicato e farraginoso, ed unico nella sua complessità tra gli ordinamenti conosciuti. Altri ordinamenti hanno regole più semplici: il cda ed eventualmente gli azionisti presentano i candidati; il voto dell’assemblea è su ciascuno; se per caso uno o più candidati non vengono eletti, il cda per cooptazione nomina gli amministratori mancanti che resteranno in carica fino alla successiva assemblea quando dovrà procedersi nuovamente al voto su ciascuno fino a raggiungere il numero di membri del cda. Nel mettere mano alla materia, il Comitato designato dal governo per la riforma del TUF, dovrebbe concentrarsi sulla procedura di nomina prescrivendo regole di trasparenza (per il cda, il socio di maggioranza, e i soci di minoranza) nella selezione e di valorizzazione delle competenze, lasciando poi all’autonomia statutaria la possibilità di prevedere norme specifiche che tengano conto della singola compagine azionaria. Ciò vale anche per le società a controllo pubblico: le recenti bozze di Linee Guida OCSE sulla Corporate Governance (in consultazione) raccomandano l’adozione di procedure di selezione aperte, la considerazione della competenza, del merito e dell’indipendenza e la previsione di salvaguardie dall’influenza politica.

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