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Luci e ombre del nuovo regolamento dei procedimenti sanzionatori Consob

La Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), a meno di due anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento sui procedimenti sanzionatori emanato con la delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013, si è vista costretta a modificarne

La Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), a meno di due anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento sui procedimenti sanzionatori emanato con la delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013, si è vista costretta a modificarne sensibilmente le previsioni all’indomani di due leading case. Il riferimento è alla decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo 4 marzo 2014, resa all’esito del contenzioso noto come “affaire Grande Stevens et autres c. Italie” e alle due sentenze gemelle nn. 1595 e 1596 del 26 marzo 2015, pronunciate dal Consiglio di Stato nella controversia che vede contrapposti alla Consob la Banca Profilo Spa, alcuni suoi esponenti e il suo socio di controllo Arepo Spa. Come si è dato conto negli articoli in argomento pubblicati in questa rivista, le decisioni ricordate hanno, infatti, messo a nudo le criticità della disciplina adottata dall’autorità di vigilanza per irrogare sanzioni amministrative, rendendo impellente un intervento correttivo, in vero già da tempo (invano) sollecitato dalla dottrina che si era occupata del tema, costituito dalla recentissima delibera n. 19158 del 29 maggio 2015.

Nella prima vicenda, i Giudici di Strasburgo, oltre ad aver accertato che la disciplina italiana sugli abusi di mercato racchiusa nel TUF 58 del 1998 contrasta con il divieto di perseguire e punire il medesimo fatto illecito due volte (c.d. ne bis in idem) sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU), hanno altresì riconosciuto che il procedimento che si svolgeva avanti alla Consob per l’accertamento dell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato non garantiva l’equo processo prescritto dall’art. 6 della CEDU, in forza del quale “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti […]”.

Nella seconda, i giudici amministrativi hanno statuito che la normativa secondaria adottata dalla Consob per disciplinare i procedimenti amministrativi sanzionatori è illegittima.

Le statuizioni della Corte EDU e la tenuta di un’udienza pubblica

La decisione dei Giudici di Strasburgo ha affrontato il tema della compatibilità delle regole italiane in materia di sanzioni Consob con la CEDU; le norme del nostro ordinamento oggetto di attenzione erano costituite oltre che dagli artt. 185 TUF e 187-ter, che reprimono rispettivamente l’illecito amministrativo e il reato di manipolazione del mercato, dall’art. 187-septies TUF (rubricato “Procedura sanzionatoria”), dall’art. 24 della l. 262 del 2005 (cosiddetta legge sul risparmio) e dalle delibere nn. 15086 del 2005 e 12697 del 2000 che regolavano il procedimento sanzionatorio Consob prima della loro abrogazione e sostituzione con la delibera 18750 del 2013.

Sul piano del procedimento sanzionatorio Consob la Corte europea ha concluso che la disciplina italiana non soddisfacesse le prescrizioni di cui all’art. 6 della CEDU, in quanto non prevedeva i) né la celebrazione di un’udienza pubblica avanti ai Commissari Consob ii) né la trasmissione agli incolpati della relazione conclusiva formata dall’Ufficio Sanzioni Amministrative della Consob (l’“U.S.A.”), iii) né assicurava una netta separazione fra gli uffici “inquirenti” (la Divisione Insider Trading poi divenuta Ufficio Abusi di mercato e l’U.S.A.) e i “giudici”, ovvero i Commissari Consob. La portata delle sue statuizioni era stata tuttavia mitigata: la Corte EDU aveva infatti precisato che affinché si potesse ritenere integrata la violazione dell’art. 6 CEDU fosse necessario verificare che le garanzie dell’equo processo non fossero state assicurate neppure nel successivo procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Consob (circostanza che era stata ritenuta accertata nel caso di specie non risultando celebrata un’udienza pubblica avanti alla Corte d’Appello di Torino). La precisazione aveva offerto il destro alla Consob per sostenere, da un lato, che il proprio procedimento sanzionatorio era indenne da vizi e, dall’altro, per sollecitare la tenuta di un’udienza “a porte aperte” anche nei giudizi di opposizione a sanzioni amministrative per i quali non fosse prevista per legge la celebrazione di un’udienza pubblica. Va infatti ricordato che fino al recentissimo d.lgs. 72 del 2015 le cause di impugnazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob all’esito del procedimento sanzionatorio regolato dall’art. 195 TUF (norma parallela all’art. 187-septies) si svolgevano in Camera di Consiglio, ovvero senza un’udienza pubblica.

E così, molte Corti d’appello, su istanza della Consob, avevano – di fatto – modificato il rito applicabile alle opposizioni alle sanzioni amministrative, disponendo che si tenesse un’udienza “a porte aperte” (con la presenza del pubblico) anche nei casi in cui le norme applicabili imponevano invece la celebrazione del processo in Camera di Consiglio.

Le decisioni del Consiglio di Stato nel caso Profilo

L’escamotage della tenuta dell’udienza pubblica come sanatoria postuma dei vizi del procedimento Consob ha avuto però vita breve. All’indomani della pronuncia della Corte EDU, le sue statuizioni sono state invocate in un altro procedimento instaurato di fronte ai Giudici amministrativi italiani, dapprima il Tar Lazio e poi il Consiglio di Stato, dalla Banca Profilo (dal suo socio Arepo e dai suoi esponenti) contro l’Autorità di Vigilanza; i due paralleli giudizi erano stati promossi nel corso dello svolgimento di un procedimento sanzionatorio avviato dalla Consob nei loro confronti per manipolazione del mercato. I soggetti incolpati avevano subito eccepito che il procedimento era governato da regole che erano state appena stigmatizzate dalla Corte EDU e avevano investito della questione il Tar Lazio affinché fosse ordinato all’Autorità di Vigilanza di modificare il proprio regolamento per renderlo conforme alla CEDU. Il Tar Lazio ha però respinto la tesi dei ricorrenti, affermando che la Corte di Strasburgo aveva sì, ammesso che nell’“affaire Grande Stevens” “la procédure devant la Consob ne satisfaisait pas à toutes les exigences de l’article 6 de la Convention […]”, ma aveva attenuato il rilievo di tali affermazioni stabilendo che l’art. 6 CEDU è violato soltanto allorquando le garanzie dell’equo processo non siano osservate neppure nel successivo procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni applicate dalla Consob. Pertanto il Tar Lazio ha escluso che la sentenza della Corte EDU comportasse “l’obbligo della Consob di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni ‘penali” alla sentenza CEDU summenzionata, in quanto “il sistema di irrogazione e impugnazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187- ter del TUF ha superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte EDU”.

Diversa è stata invece la conclusione del Consiglio di Stato avanti al quale sono state impugnate le due sentenze del Tar Lazio; i giudici di secondo grado, pur rigettando le domande della Banca Profilo e dei suoi esponenti e di Arepo Spa per difetto di interesse dei ricorrenti in quanto i relativi procedimenti amministrativi avviati dalla Consob non si erano ancora conclusi con l’irrogazione di una sanzione, ha ritenuto sussistenti i vizi, concludendo in particolare che nel procedimento Consob il contraddittorio si pone “al di sotto dello standard […] fissato dal legislatore”.

Il Consiglio di Stato ha così puntualizzato che l’illegittimità dell’impianto sanzionatorio Consob discende non tanto da un contrasto tra la disciplina italiana e le norme internazionali, quanto da un conflitto tra la normativa secondaria Consob (in particolare la delibera Consob n. 15086 del 2005 all’epoca in vigore) e la legge ordinaria. Secondo i consiglieri di Stato, infatti, non vi sarebbe contrasto con la CEDU, posto che l’art. 6 della stessa non impone la celebrazione di un “processo equo” già avanti all’Autorità amministrativa, ma richiede soltanto che nella fase processuale che ne segua, ovvero quella dell’impugnazione avanti all’Autorità giudiziaria dell’eventuale sanzione irrogata a conclusione del procedimento amministrativo, siano garantiti i canoni del giusto processo. La disciplina italiana dei procedimenti sanzionatori – ha però proseguito il Consiglio di Stato – deve nondimeno ritenersi illegittima in quanto le regole dettate dalla Consob (e cristallizzate nella delibera n. 15086 del 2005) confliggono con le previsioni della legge ordinaria che impongono invece il rispetto dei principi del contraddittorio, della piena conoscenza degli atti istruttori e della separazione fra funzioni istruttorie e decisorie. In altre parole, è stato ritenuto che siano le norme secondarie adottate dalla Consob a non assicurare i principi sanciti dal legislatore e cristallizzati negli articoli 187-septies e 24 della l. 262 del 2005.

Due sono i punti dolenti messi a nudo dal Giudice amministrativo: i) il mancato invio all’incolpato della relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, che era trasmessa direttamente ai Commissari; ii) l’assenza di uno spazio per replicarvi, secondo un modello procedimentale che imporrebbe invece di assegnare all’incolpato l’ultima parola.

Tali conclusioni, benché fossero riferite al procedimento sanzionatorio disegnato dalla delibera n. 15086/2005, erano destinate a riverberarsi anche sulle più recenti regole nel frattempo varate dalla Consob e racchiuse nella delibera del 19 dicembre 2013, n. 18750 che, allo stesso modo, non prevedeva la trasmissione della relazione conclusiva dell’USA né l’assegnazione di un termine per replicarvi né, infine, la tenuta di un’udienza pubblica avanti ai commissari Consob.

Le recentissime modifiche al regolamento Consob

Finalmente, all’indomani delle sentenze del Consiglio di Stato, la Consob ha, almeno in parte, posto rimedio ai vizi lamentati.

L’Autorità di vigilanza, dopo aver diffuso il 22 aprile 2015 un documento di consultazione e aver raccolto suggerimenti dal pubblico, ha adottato la delibera n. 19158 del 29 maggio 2015, con cui ha modificato il proprio procedimento sanzionatorio. E’ stato così introdotto l’obbligo per la Consob di inviare preventivamente la Relazione Conclusiva dell’USA ai soggetti incolpati, assegnando loro un termine per difendersi, dopodichè la decisione passa ai Commissari (che continuano però a decidere senza che siano previamente sentiti in un’udienza pubblica i soggetti incolpati).

Le modifiche così apportate hanno eliminato alcuni vizi, ma non tutti. Permanevano infatti due ulteriori criticità, rimaste sullo sfondo nelle sentenze del Consiglio di Stato: l’assenza di un’udienza pubblica imposta dall’art. 6 della CEDU (quanto meno nel giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa), e la non completa separazione tra i diversi uffici della Consob.

La prima criticità è stata eliminata dal legislatore: parallelamente alle modifiche della normativa secondaria è stato infatti varato il Dlgs. 12 maggio 2015, n. 72, che ha tra l’altro emendato le disposizioni del TUF imponendo la celebrazione di un’udienza pubblica anche nei giudizi di opposizione alle sanzioni Consob disciplinati dall’art. 195 TUF (disposizione che è stata estesa anche ai procedimenti in corso).

Non si è invece ancora risolto il nodo della imperfetta separazione tra gli uffici all’interno dell’Autorità di Vigilanza. Al riguardo il discorso è più complesso: come statuito al par. 127 della sentenza della Corte EDU la Consob non è un Giudice imparziale e indipendente ai sensi dell’art. 6 della CEDU; anche in questo caso la norma internazionale sembra però richiedere soltanto che il successivo giudizio di impugnazione delle sanzioni si svolga di fronte ad un Giudice che presenti tali connotati (quale è indubbiamente la Corte d’appello). Tuttavia sono le stesse norme della legge italiana (l’art. 24 della l. n. 262 del 2005 ma anche gli artt. 187-septies e 195 TUF) che impongono che il principio della separazione tra funzioni istruttorie e decisorie sia assicurato già nel corso dello stesso procedimento amministrativo.

Per rispettare tali prescrizioni sarebbe necessario un ripensamento dell’articolazione della Consob con riferimento all’esercizio del suo potere sanzionatorio (ma la stessa considerazione vale anche per le altre Autorità di Vigilanza egualmente contemplate dall’art. 24 della l. n. 262 del 2005, tra cui la Banca d’Italia). Anche in questo caso sarebbe però necessario un intervento legislativo.

Luci e ombre

Nel frattempo la battaglia giudiziaria tra la Consob e Banca Profilo, che ha condotto alle modifiche del regolamento Consob, è ancora in corso: le statuizioni del Consiglio di Stato sono state infatti impugnate in Cassazione, cosicché occorrerà attendere il verdetto della Suprema Corte, che potrebbe ancora esprimersi sui possibili vizi del procedimento Consob (seppure nei limiti della questione di giurisdizione posto che contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso ricorrere in Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione). Il tema dei vizi del procedimento era già stato affrontato dalle Sezioni Unite del 30 settembre 2009 che avevano negato la sussistenza di profili critici; si trattava però delle decisioni rese nell’affaire Grande Stevens su cui è successivamente intervenuta la Corte EDU. Non è dunque improbabile che, mutato lo scenario e maturati i tempi, il Giudice di legittimità torni sui suoi passi.

Ad ogni modo, mentre un fronte sembra essersi chiuso con l’adozione delle modifiche al regolamento Consob, un altro si è aperto. E’ infatti emerso che nell’attesa che il Consiglio di Stato si pronunciasse sulla compatibilità del regolamento Consob con le norme della CEDU e con le disposizioni di legge italiane nel caso Banca Profilo la Consob ha rinviato la trattazione di tutti i procedimenti sanzionatori ex artt. 187-septies e 195 TUF in corso a quella data (senza però darne comunicazione agli interessati), lasciando così scadere il termine di conclusione di molti procedimenti (termine che nella versione anteriore alle modifiche apportate dalla delibera 19158 del 29 maggio 2015 era di centoottanta giorni a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla notifica dell’avvio del procedimento). Soltanto una volta messe in cantiere le modifiche del regolamento, la Consob ha ripreso la celebrazione di tali procedimenti, inviando ai soggetti incolpati – in molti casi a procedimento ormai scaduto – la relazione conclusiva dell’USA e dando termine per replicare alla stessa. La tesi dell’Autorità di vigilanza è, naturalmente, che i termini di conclusione dei procedimenti sanzionatori (indicati dalla stessa Autorità nelle lettere di contestazione) siano meramente ordinatori e non perentori, cosicchè sarebbe stato del tutto legittimo un “congelamento” dei procedimenti nell’attesa delle sentenze dei Giudici amministrativi nel caso Banca Profilo. Diversa opinione nutrono invece i soggetti sanzionandi, ad avviso dei quali si tratta di termini perentori, dettati a garanzia dei diritti di difesa degli incolpati, con la conseguenza che il loro decorso ha determinato l’inesorabile estinzione dei relativi procedimenti, che non possono quindi più essere proseguiti dalla Consob.

Non vi è dubbio che sulla questione saranno chiamati a pronunciarsi i Giudici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Eva Desana, Professore associato di diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Torino; Studio Legale Musumeci, Altara, Desana e Associati ([email protected])


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