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Le nuove Istruzioni di vigilanza sulla governance delle banche: prime riflessioni

La nuova disciplina in materia di governance bancaria, intende favorire il rinnovamento “qualitativo” degli organi societari, nella prospettiva di rafforzare i presidi di controllo e prevenzione dei rischi nel rispetto dei principi di sana e prudente

1. La “qualità” del governo societario
La nuova disciplina in materia di governance bancaria, intende favorire il rinnovamento “qualitativo” degli organi societari, nella prospettiva di rafforzare i presidi di controllo e prevenzione dei rischi nel rispetto dei principi di sana e prudente gestione richiamati dal nostro ordinamento. Un disciplina dettata dall’esigenza, non solo di recepire gli standards elaborati dagli organismi di coordinamento internazionale e successivamente fatti propri anche dalla legislazione comunitaria, ma anche di intervenire su una realtà dove, come mettono in evidenza le indagini empiriche, “la prima e più significativa causa di crisi degli intermediari resta imputabile alla scarsa qualità della governance aziendale”.
Nell’impossibilità, per ragioni di spazio, di dar conto organicamente di tutti i profili rilevanti delle nuove disposizioni di vigilanza è possibile, senza alcune pretesa di completezza, indicare alcune macro aree che maggiormente sembrano riflettere le potenzialità di un simile rinnovamento qualitativo degli organi delle società bancarie.
La prima è quella della diversità, con una estensione, però, che va oltre il tradizionale perimetro del genere. Tradizionale perché ormai da tempo si discute della diversificazione di genere come veicolo per introdurre nei boards “valori, stili, e modelli alternativi a quelli storicamente correnti destinati a contaminare questi ultimi in funzione di un miglioramento globale dei risultati ottenibili nell’assunzione delle decisioni”. In realtà, le ormai abbondanti indagini, anche con ampie basi di dati empirici, sul rapporto tra gender diversity e performances dei consigli non sono affatto giunte a risultati concordanti, e il dibattito in materia è ancora in corso, ma questo non ha impedito, in una prospettiva di carattere più generale che va decisamente oltre il settore societario e finanziario, il consolidarsi di una forte spinta al riequilibrio nelle presenze negli organi di governo, sfociata in alcuni sistemi, come il nostro, in misure legislative di definizione di quote obbligatorie.
Ma vi sono altre conseguenze virtuose sulla qualità del governo societario, poiché l’ introduzione delle donne nei consigli di amministrazione si accompagna “a una selezione più accurata in cui tutti i talenti e le competenze, maschili e femminili, hanno le stesse opportunità di emergere e ricevono la stessa valutazione. Diventa conveniente per l’azienda stessa selezionare i migliori, uomini e donne.”
Una convenienza che potrà contribuire ad ampliare e arricchire ulteriormente la diversità nei consigli, per favorire una “pluralità di approcci e prospettive nell’analisi dei problemi e nell’assunzione delle decisioni, evitando il rischio di allineamento a posizioni prevalenti interne o esterne alla banca”. Il riferimento é, in particolare, alla differenza di età e a quella di provenienza geografica: per quanto riguarda il primo criterio una composizione generazionale può effettivamente riflettere prospettive e visioni diverse con effetti positivi sulle performance degli organi, per quanto concerne il secondo provenienze esterne (ad esempio di carattere internazionale) possono apportare un rilevante contributo, sia agli operatori più grandi, sia a quelli di dimensione più ridotta, per favorire un giusto equilibrio tra il radicamento territoriale e una “apertura” che prevenga possibili, e non infrequenti, fenomeni di cattura da parte di interessi locali.
In una analoga prospettiva merita di essere richiamata anche la diversità di competenze: non vi sono dubbi circa l’opportunità e necessità di adeguate conoscenze sulla specificità dell’attività bancaria, ma una elevata concentrazione di simili competenze non rappresenta, come spesso si ritiene, una automatica garanzia di gestioni più prudenti, e non deve essere in alcun modo sottovalutato l’apporto di competenze maturate in altri settori in grado di evitare eccessi di focalizzazione, che fanno perdere di mira il contesto più generale nel quale pure l’intermediario è collocato. Ed è proprio questa la corretta chiave di lettura delle istruzioni di vigilanza: durante la fase di consultazione, a chi richiedeva la previsione negli organi di governo di “sensibilità anche diverse da quelle tecnico bancarie” l’Autorità di vigilanza replica che “le disposizioni non precludono la possibilità lasciata all’autonomia dei singoli intermediari di valorizzare sensibilità e professionalità diverse da quella tecnico- bancaria”.

2. La professionalità degli amministratori
Occorre, peraltro, sottolineare che i bisogni di maggiore professionalità “specifica e mirata” sono da tempo al centro delle misure volte a migliorare il governo delle banche, bisogni però da soddisfare adesso attraverso nuove pratiche che prevengano, come nel passato spesso è accaduto, un richiamo meramente retorico a questo principio. Così, i boards dovranno attrezzarsi con adeguate e trasparenti procedure che indichino agli azionisti, sulla base di una autovalutazione, le eventuali carenze e le competenze professionali necessarie per l’efficiente funzionamento dell’organo, presentando all’assemblea le relative candidature, competenze che andranno successivamente monitorate e implementate con una specifica attività di induction e formazione, anche tagliata sulle esigenze dei singoli membri. L’Autorità di vigilanza si mostra, poi, particolarmente attenta ad evitare il permanere di composizioni pletoriche dei consigli, indicando stringenti limiti numerici, derogabili in base a ragioni di eccezionalità. In verità, non esiste convergenza di orientamenti circa l’esistenza di una correlazione positiva o negativa tra dimensione, performance ed efficacia dei boards, ma va detto che i richiamati limiti sono stati introdotti dopo che più volte il problema della “pletoricità” era stato oggetto di segnalazione, e a alle luce della scarsa reattività degli intermediari nell’affrontarlo attraverso le più elastiche e modulabili manifestazioni dell’autonomia statutaria. Per quanto concerne, ancora, la professionalità, non vi sono dubbi sulla necessaria individuazione ex ante di criteri di qualificazione per l’accesso alla carica amministrativa; un rafforzamento e anche una diversa articolazione di questi criteri è senz’altro utile, ed infatti la recente legge comunitaria prevede una specifica delega al governo per rivedere la disciplina in materia. Peraltro, una parte fondamentale del patrimonio conoscitivo si consolida gradualmente con l’operatività quotidiana nell’ambito di una organizzazione, ed è un patrimonio che deve essere continuamente coltivato e aggiornato, soprattutto in un contesto come quello finanziario sottoposto a costanti cambiamenti. Considerazione, questa, tanto ovvia, quanto finora del tutto sottovalutata, se il richiamo alla necessità di “piani di formazione adeguati ad assicurare che il bagaglio di competenze tecniche” sia “preservato nel tempo” è divenuto elemento comune a tutte le politiche di regolamentazione in materia di governance.
La valorizzazione della professionalità viene, poi, declinata attraverso ulteriori necessari presidi, alcuni dei quali ben conosciuti e che si tratta adesso di rendere più puntuali e rigorosi, altri invece più innovativi e sperimentali. Nella prima categoria rientrano i vincoli ai mandati, affinché un numero eccessivo di cariche non affievolisca l’impegno negli organi di governo; nella seconda la misurazione di tale impegno, per renderlo realistico ed effettivo.
Vengono, quindi, delineati più stringenti vincoli nel rapporto tra amministratore e banca, anche se non è affatto semplice la concreta applicazione: la testimonianza più evidente nella consultazione sulle nuove istruzioni di vigilanza, dove di fronte alla richiesta di determinare un monte ore minimo (200), le Autorità di controllo rifiutano una prescrizione così dettagliata, rinviando alla libera determinazione degli intermediari nell’adottare una simile best practice. Soluzione che tiene conto delle difficoltà di applicare rigide metriche a una realtà, operativa e dimensionale, variegata, ma è auspicabile che su questo terreno l’autoregolamentazione e la successiva rendicontazione sulle opzioni adottate, compiano scelte di sostanza e coraggiose, non limitandosi a meri richiami formali.

3. Il ruolo del Presidente
Secondo gli orientamenti più volte manifestati dagli organi di coordinamento internazionale uno degli indicatori di una buona governance è l’esistenza di un contesto ambientale di piena e aperta comunicazione attraverso costanti flussi informativi all’interno di tutta l’organizzazione. Non si tratta, a dire il vero, di indicazioni dotate di particolare originalità poiché è diffusa la consapevolezza della circolazione dell’informazione come presupposto per garantire scelte gestionali prudenti e corrette, consapevolezza che da tempo ha assunto “rilevanza giuridica” nel nostro ordinamento. Così, le nuove disposizioni di vigilanza nel richiedere la “predisposizione di flussi informativi, procedure, metodi di lavoro, tempistiche delle riunioni”, e nel ribadire come la stessa circolazione di informazioni rappresenti una “condizione imprescindibile affinché siano effettivamente realizzati gli obiettivi dell’efficienza della gestione ed efficacia dei controlli”, richiamano le norme civilistiche in materia delle quali le prescrizioni sono, appunto, diretta applicazione. Il riferimento è, in particolare, agli obblighi di agire informato degli amministratori, obblighi che, soprattutto per quelli non esecutivi, assumono particolare rilevo, anche per la loro valorizzazione sotto il profilo della responsabilità civile, di recente operata dalla giurisprudenza in materia bancaria della Suprema Corte.
Gli intermediari sono, ora, chiamati ad uno sforzo, tramite regolamenti interni, di più puntuale “procedimentalizzazione” al fine di meglio strutturare questi criteri, consentendo, poi, anche la successiva verifica circa la loro reale applicazione. Ed è interessante sottolineare come le procedure non investano soltanto i soggetti apicali, ma anche i rapporti con tutta la struttura aziendale: così, se da un lato occorre definire tempistica, modalità e contenuti della documentazione diretta ai componenti degli organi collegiali, dall’altro deve essere determinato, con l’indicazione dei relativi responsabili, il perimetro dei flussi informativi all’interno della organizzazione della banca, flussi il cui “contenuto minimo” riguarda tutti i profili di maggiore significatività dell’evoluzione del rischio.
In questo contesto, viene attribuito un ruolo specifico al Presidente della società, in relazione alla preventiva informazione dei consiglieri, da trasmettere con congruo anticipo per favorire un consapevole dibattito consiliare, e alla disponibilità, soprattutto per gli amministratori non esecutivi, della documentazione, adeguata in termini “quantitativi e qualitativi”, di supporto alle decisioni. E’ questo un profilo di particolare rilevanza poiché la tempistica delle informazioni pre-consiliari, anche per ragioni oggettive, non sempre è tale da consentire piena conoscenza dell’oggetto delle delibere, e, dal punto di vista pratico, sono ben note le difficoltà di consultare documenti spesso complessi e ponderosi in tempi ristretti. Il Presidente ha quindi il compito di rendere più agevole la fase di acquisizione, selezione e conoscenza dei dati informativi, compito che può adempiere non solo, come sottolineano le stesse istruzioni di vigilanza, provvedendo “almeno a una prima informativa”, ma anche facendo ricorso ad altri strumenti già in parte conosciuti dalla prassi, come ad esempio una sintetica guida dell’ordine del giorno dove per ogni argomento vengono illustrate le tematiche alle quali la documentazione si riferisce. Ma la valorizzazione del ruolo del Presidente, in questo distaccandosi dalla normativa di diritto comune, si spinge più in là richiamando il compito di stimolare il buon funzionamento del (e della dialettica interna al) consiglio, assicurandone il bilanciamento dei poteri con una sua armonica organizzazione, soprattutto quando questo si articola in comitati. Così, dovrà garantire, nel condurre le riunioni dell’organo amministrativo e nel formulare l’ordine del giorno, una adeguata trattazione delle “questioni di rilevanza strategica” e potrà favorire occasioni di incontro anche al di fuori della sede consiliare. Potrebbero, queste ultime, apparire indicazioni marginali, ma così non è: ormai da tempo si è messo in evidenza come il ruolo del Presidente anche nella semplice formulazione dell’ordine del giorno non si riduce certo ad un semplice “snodo burocratico” , trovando anche in queste procedure applicazione quel sistema di check and balance nell’ambito degli organi di governo che deve informare tutta la gestione della banca. Inoltre, occasioni di dialogo al di fuori dei tempi e dei ritmi, spesso intensi, delle riunioni ufficiali possono favorire maggiori approfondimenti e più aperti e liberi scambi di opinioni.
Lo svolgimento di simili funzioni presuppone forti presidi a tutela del ruolo di garanzia del Presidente, presidi attuati sia ribadendo, in coerenza con quanto prescrive l’art. 88.1 lett. e) della direttiva comunitaria e con una prassi da tempo diffusa non solo in ambito bancario, la netta separazione tra ruolo presidenziale e funzioni gestorie, sia limitando la partecipazione al comitato esecutivo con diritto di voto. Un vincolo, quest’ultimo, molto stringente che poteva essere declinato con maggiore elasticità, anche perché corre il rischio di perseguire effetti opposti a quelli desiderati, indebolendo l’autorevolezza di questa figura rispetto agli organi gestori, ma ha evidentemente avuto il sopravvento la preoccupazione, più volte richiamata dalle Autorità di vigilanza circa i pericoli dell’assunzione da parte del Presidente di un ruolo egemonico e condizionante, con una conseguente “indebita sovrapposizione di funzioni” in grado di compromettere quel fondamentale ruolo di garanzia prima richiamato. Preoccupazione legata all’esigenza di processi decisionali liberi dal “dominio da parte di un unico soggetto o gruppi di soggetti”, costantemente ribadita nelle istruzioni di vigilanza, tanto da essere formalizzata anche tra le competenze dei comitati endo-consiliari (in particolare quello sulle nomine).
Il ruolo di garanzia del Presidente assume, infine, rilevanza per lo svolgimento dell’altro importante compito di presidio sulla completezza e correttezza del già richiamato processo di autovalutazione del consiglio, presidio che si estende anche alla necessaria fase di follow-up e cioè la verifica della effettiva adozione delle misure necessarie per far fronte a eventuali carenze riscontrate. E’ un ruolo delicato poiché le istruzioni di vigilanza, come abbiamo visto, attribuiscano all’autovalutazione un grande rilievo nella architettura del governo societario, e quindi la disciplinano in maniera dettagliata, sia negli aspetti procedurali che contenutistici, per evitare, come finora successo, che il self-assessment risulti “superficiale” e “svolto alla stregua di un mero adempimento formale”. In questo quadro, particolare attenzione dovrà essere dedicata a tutti quegli strumenti utili per rendere sostanziale, ed effettivo questo processo, come ad esempio la possibile e auspicabile collaborazione di consulenti esterni indipendenti, in grado di consentire, nella effettuazione delle interviste, una maggior grado di sincerità nelle valutazioni e nella indicazioni di debolezze e criticità, soprattutto quando queste riguardano le figure apicali.

4. Conclusioni: regolamentazione e autoregolamentazione
Dalle considerazioni appena svolte, che, lo si ribadisce, hanno solo lo scopo di indicare, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni dei temi al centro della nuova normativa, emerge un percorso non di semplice manutenzione e aggiornamento della disciplina esistente, ma caratterizzato da innovativi interventi per migliorare la “qualità” del governo societario. E’ evidente, però, che il successo e la reale efficacia di queste misure dipenderà soprattutto, se non esclusivamente, dal loro sedimentarsi nella prassi e nella operatività degli intermediari, attraverso l’interlocuzione con le autorità di vigilanza. Infatti, con l’intento di realizzare le finalità che giustificano i controlli pubblici riducendo al minimo gli oneri per i privati, la tecnica normativa utilizzata si ispira ai noti principi della better regulation, con disposizioni di carattere generale la cui attuazione è demandata agli (e alla discrezionalità degli) intermediari. Secondo questa impostazione “il modo migliore per regolare non è quello di dettare precetti (comandi o divieti) concernenti gli atti, ma piuttosto quello di dettare regole concernenti l’organizzazione interna dei soggetti operatori ed i processi di formazione dei loro atti, lasciando intatta la loro libertà di agire”.
Viene, così, sensibilmente valorizzata l’autonoma determinazione delle imprese, rinunciando a prescrizioni troppo intrusive, ma richiedendo nel contempo ai soggetti vigilati di attrezzarsi sul terreno della selfregulation, alla costante ricerca di un equilibrio tra intervento (e controllo) pubblico e spazio lasciato alle manifestazioni dell’autonomia privata. In questo contesto, è auspicabile che sul mercato possano in futuro affermarsi best practices in grado di coordinarsi con gli obiettivi della vigilanza, realizzando un processo di produzione normativa cooperativo tra regole pubbliche e private, dove gli operatori privati si trovano nella necessità di individuare forme di autoregolamentazione in grado di interpretare i bisogni di certezza e adeguato enforcement alla base delle finalità di vigilanza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Francesco Vella, Professore Ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Bologna ([email protected])


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