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Le nomine e lo Stato azionista: alla ricerca di un nuovo governo societario *

Nomine e governance 
La vicenda delle nomine nelle società partecipate dallo stato è ormai alle spalle, ma rimane invece di grande attualità guardare al futuro della governance di queste società anche alla luce degli insegnamenti che da questa vicenda si possono trarre. Di grande attualità per due ragioni una di carattere più generale e l’altra legata ad una nostra tradizione, una sorta, per dirla in termini eleganti, di path dependence dalla quale è difficile staccarsi. Quella più generale è fin troppo nota: a fronte dei tanti proclami sulle privatizzazioni, rimane l’incontestabile dato di fondo sul quale ormai anche i più incalliti liberisti hanno ammainato le loro bandiere: dopo la crisi e sulla strada del rilancio delle economie, lo stato è tornato a contare sempre di più: la ricostruzione di un sistema, che usando le parole di un fortunato libro di Tommaso Padoa Schioppa “deve avere la vista lunga”, non può prescindere da politiche pubbliche che mettono in campo gli attori di mercato (si pensi soltanto al ruolo delle banche di sviluppo) per rilanciare gli investimenti. Ma – e qui passiamo alla seconda ragione per la quale è importante occuparsi di governance – proprio per queste nuove e più intense modalità di intervento si ripropone con forza l’esigenza di garantire un equilibrato rapporto tra lo stato proprietario e lo stato regolatore, tra lo stato azionista e gli investitori privati. E’ questo un terreno da tempo al centro dell’agenda delle policies di regolamentazione che hanno trovato, come è noto, i primi concreti sbocchi nella elaborazione di standard internazionali da parte dell’OECD per le State-owned Enterprises (SOE) ormai quasi dieci anni fa1. Non a caso tali standard sono attualmente in corso di revisione ed oggetto di un approfondito, sebbene poco conosciuto, dibattito2. Ovviamente, come tutte le manifestazioni di soft law, gli standard presentano grandi potenzialità di recepimento nei più diversi ordinamenti, insieme a criticità legate alla mancanza di adeguato enforcement, ma ormai dobbiamo sempre più abituarci a queste forme di regulation che trovano la loro sede di elezione in organismi internazionali per poi seguire percorsi di applicazione “granulare” nelle giurisdizioni nazionali secondo diverse modalità.


Chi nomina chi 
Uno dei primi e ovvi presidi per la garanzia di una buona governance in grado di prevenire l’endemico conflitto tra stato proprietario e stato regolatore è la definizione di un robusto e trasparente framework per la selezione e la designazione dei membri dei boards. Ed è innegabile che su questo terreno il nostro ordinamento ha compiuto sensibili progressi. Il Ministero dell’economia (MEF), accogliendo le indicazioni parlamentari, ha emanato lo scorso anno, il 23 aprile e il 24 giugno, due direttive per assicurare “la massima trasparenza delle procedure di selezione”, con lo specifico obiettivo di rafforzare i requisiti di onorabilità degli amministratori delle società, “anche con riferimento ai profili di salvaguardia dell’immagine del socio pubblico”, valorizzandone nel contempo la professionalità. Le direttive prevedono la pubblicazione delle posizioni in scadenza, la possibilità di inviare candidature, specifiche istruttorie qualitative con la collaborazione di società specializzate, e l’intervento finale di un comitato di garanzia al quale le candidature vengono sottoposte per una verifica del rispetto dei criteri di selezione. Successivamente il Senato ha approvato una risoluzione3 che impegna il governo a “impostare su base meritocratica” la formazione delle liste per le società partecipate dal MEF, subordinando la conferma di presidenti e amministratori delegati ai risultati ottenuti. E, con un metodo decisamente innovativo, dove è lo stesso legislatore a valorizzare le forme di autoregolamentazione, la risoluzione invita il governo ad applicare i criteri indicati dai boards uscenti di Eni e Enel i quali, in attuazione del Codice di Autodisciplina4 delle società quotate, hanno sottoposto agli azionisti i propri orientamenti prima della nomina dei nuovi consigli5

E’ questo un apparato non privo, per usare un eufemismo, di qualche “criticità”, come testimonia il clamoroso scivolone sui requisiti di onorabilità, legati addirittura al semplice rinvio a giudizio, dei quali sono stati richiamati autorevolmente i naturali profili di illegittimità6. Ma nel complesso lo sforzo va nella direzione di quella “depoliticizzazione” delle nomine da tempo indicata come una delle strade maestre per le SOE. Ovviamente, le procedure devono successivamente coniugarsi con un adeguato e altrettanto solido grado di accountability e verifica della loro reale e concreta applicazione. Come è noto, l’esigenza di colmare la distanza tra forma e sostanza nella coerenza con le norme di governance (siano queste di rango primario sia frutto della autodisciplina) è oggetto in questo periodo di grande attenzione7 ma è evidente che nel campo delle società partecipate dallo stato, per le ragioni di carattere sistematico prima richiamate, assume particolare e specifica importanza. Per dirla in altre parole: se si vogliono evitare le facili ironie di chi, a proposito delle autocandidature previste dalla procedura, ha parlato di “ottimismo degno di essere studiato dai cervelloni della Nasa”8 e, in occasione delle recenti nomine, di applicazione del nuovo “Cencelli 2.0”9, occorre una chiara tracciabilità del percorso seguito ed una rendicontazione sulla coerenza sostanziale ai criteri previsti, pena un loro fin troppo evidente svuotamento e una percezione come di uno dei tanti inutili riti, destinati inevitabilmente a danneggiare le (e l’immagine delle) società10

Tra forma e sostanza 
L’equilibrio della governance delle SOE nei rapporti tra poteri pubblici e strategie imprenditoriali non si realizza solo nei meccanismi di formazione degli organi amministrativi, ma investe anche la loro composizione e attività. I richiami contenuti nelle direttive ministeriali (valorizzazione di “professionalità diversificate e per quanto possibile complementari”) e negli orientamenti finora espressi dai Consigli delle società partecipate (diversità dei membri anche per fasce di età, garanzia di impegno a disposizione per i lavori del board, presenza di amministratori indipendenti) sono in assoluta coerenza con le prassi più evolute, ora recepite anche in sede comunitaria11. E’ evidente, però, che anche in questo caso diventa dirimente la sostanza. Così, il concetto di indipendenza, notoriamente tanto discusso12 quanto spesso oggetto di applicazioni formali, dovrà essere valutato con molto rigore ed anche in maniera estensiva, poiché in questo caso è più forte il pericolo di influenze derivanti da reti di rapporti politici che sfuggono ai tradizionali criteri di verifica13. Analoga attenzione occorrerà dedicare ai principi di diversità, per garantire una professionalità non esclusivamente focalizzate sul core business della società, ma in grado di produrre una visione strategica che contemperi le particolari esigenze dell’azionista pubblico con i necessari presidi di autonomia. E’ un aspetto delicato perché in questi contesti può essere più forte il pericolo di un board “prone to an even greater conformance mentality than private sector companies14. Sarebbe pertanto importante, come in parte indica anche la risoluzione approvata dal Senato, che vi fosse una preventiva informazione su finalità e obiettivi che l’azionista pubblico si pone, chiarendo i limiti del mandato, e garantendolo nel contempo da indebite interferenze. Criterio, questo, in grado di indicare un possibile percorso anche per altre “specificità” delle SOE che meritano particolare attenzione. Così, se da un lato è opportuno il rispetto dei sacrosanti principi di sobrietà delle remunerazioni fatti propri dall’azionista di maggioranza, dall’altro è necessario, come viene ormai unanimemente riconosciuto, non abbandonare la strada della valorizzazione dei “talenti” necessari per fronteggiare le sfide del mercato. Ed è evidente che la prescrizione di rigide soglie tipiche dei provvedimenti della pubblica amministrazione, anziché una linea di indirizzo declinata e poi adeguatamente rendicontata dagli organi di governo della società, non rappresenta il modo più efficace per raggiungere tale obiettivo15


Una nuova selfregulation? 
La prospettiva appena tratteggiata contribuisce a definire il perimetro delle scelte di regolamentazione che investono le SOE. La tutela e la salvaguardia di corretti rapporti con il mercato impone una rigida delimitazione dei poteri dello stato azionista, vincolati, appunto, al solo “mestiere” di azionista. Ma esistono alcune specificità (oltre a quelle appena richiamate si pensi al maggiore spessore che può assumere il governo dei conflitti di interesse) meritevoli di essere ulteriormente valorizzate. Ed è qui che si può aprire la strada della sperimentazione di nuove forme di selfregulation che integrino quella già previste e che possano estendersi, con le opportune modulazioni e nel rispetto di un doveroso principio di proporzionalità, anche al di là dell’ambito delle società quotate16. E’ una sperimentazione che può investire sia i contenuti delle norme, sia le loro modalità applicative e che trova già alcuni possibili riferimenti nelle recenti prese di posizione comunitarie17. Una strada, questa, non certo priva di ostacoli ma forse l’unica che può garantire quell’equilibrio del quale prima parlavo, e soprattutto garantirlo nella sostanza. 

Note

* Vedasi “Osservatorio EGO” (Effective Governance Outlook) nel Sito Nedcommunity alla voce Pubblicazioni questo supplemento on line de “La voce degli Indipendenti”.

1. OECD, Guidelines on Corporate Governance of State-Owned Enterprises, 2005 sul sito www. OECD. org.

2. Cfr. OECD Corporate Governance of State – Owned Enterprises . Change and Reform in OECD Countries since 2005, 2011, e più di recente, nell’ambito del processo di revisione delle guidelines del 2005 che dovrebbe terminare entro quest’anno, OECD,Boards of Directors of State-Owned Enterprises: An Overview of National Practices, 2013. 

3. Senato della Repubblica, Risoluzione dell’8 aprile 2014 , Doc. XXIV, n. 26-a

4. In particolare, l’art. 1, criteri applicativi lett. g) e h).

5. Si veda , in particolare, Orientamento del Consiglio Eni agli azionisti sulla composizione del consiglio, sul sito www.Eni. it/governance

6. Cfr. il parere di Guido Rossi richiesto da Eni sulla clausola statutaria sui requisiti di onorabilità proposta da azionisti MEF e CDP Spa, sul sito www.Eni.it

7. Per alcuni esempi si vedano le rilevazioni di Nedcommunity, EGO,  Banche e quotate e qualità dell’informativa sulla governance, n.1 gennaio 2014, oppure le considerazioni contenute nel documento per la consultazione della Banca d’Italia “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”.

8. Cfr. D. PARDO, Spettabile ditta Letta e Letta, l’Espresso 4 aprile 2014.

9. Cfr. E. LIVINI, su Repubblica 16 aprile 2014.

10. E ciò anche in considerazione del ridottissimo grado di tutela di eventuali candidati che si ritenessero ingiustamente esclusi Cfr. G. GIULIANO, Nomine e remunerazione dei vertici delle società controllate dal MEF, in Giornale diritto amministrativo, 2013, p. 1235 ss.

11. Cfr. F. VELLA. “La qualità degli amministratori: ipotesi di ricerca”,Relazione tenuta al Convegno “Attivismo degli investitori istituzionali e innovazione tecnologica una nuova stagione nel governo delle società quotate?”, Roma , Università Europea, 13 dicembre 2013.

12. Per limitarsi alle opere più recenti cfr. F. DI DONATO, Gli amministratori indipendenti, Roma, LUISS, 2012, p. 43. ss. E U. TOMBARI, Amministratori indipendenti, “sistema dei controlli”e corporate governance. Quale futuro, in Corporate Governance e sistema dei controlli nella s.p.a., a cura di U. Tombari, Torino, Giappichelli, 2013, p. 48.

13. Cfr C. MONTEFIORI,  Amministratori indipendenti e società pubbliche, su la voce degli indipendenti, n. 3, 2010.

14. W.R. FREDERICK, Enhancing the Role of the Boards of Directors of State-Owned Enterprises, OECD Corporate Governance Working Papers, n. 2, 2011, p. 13.

15. La materia è complessa e meriterebbe ovvi approfondimenti, ma ad esempio nella determinazione della politiche retributive, oltre alla elaborazione delle tradizionali “forbici” fondate su indagini comparate di mercato coniugati con riferimenti a benchmark settoriali e istituzionali (e cioè imprese a partecipazione pubblica con analoghe finalità), si potrebbero introdurre innovativi parametri che tengano conto delle specificità delle SOE e degli interessi in esse coinvolti. Per un richiamo a tali parametri cfr. di recente F. VELLA, L’impresa e il lavoro: vecchi e nuovi paradigmi della partecipazione, in Giurisprudenza Commerciale, 2013, 1, p.1138.

16. Cfr. G. RAY, Principles for State-Owned Privatized Enterprises, sul sito www.ssrn.com, 2011, p. 11.

17. Cfr. le recenti raccomandazioni della Commissione Europea On the quality of corporate governance reporting (comply or explain).


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