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La sostenibilità tra governo societario e politica

Un governo socialmente responsabile comporta che siano rispettati valori generalmente condivisi. La politica, invece, deve affrontare compromessi nella soluzione dei relativi trade-off

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I due articoli sul governo della sostenibilità di Vincenzo Cariello e Massimo Belcredi stimolano un’importante riflessione su dove stiano andando la discussione scientifica in materia e la pratica della corporata governance.

Cariello nel suo editoriale si chiede – ma forse semplifico troppo il suo sottile ragionamento – se non stiamo mettendo la sostenibilità troppo al centro della discussione chiedendo alla scienza ed alla pratica un ripensamento radicale dei meccanismi del governo societario in funzione della sustainable governance. Senza dubbio, a giudicare dalla mole di articoli pubblicati non solo negli USA, ma anche in Europa, dalla frequenza dei convegni e degli interventi sui blog e sui giornali, si ha la sensazione che la sostenibilità tenga banco e detti le linee di sviluppo dell’intero diritto societario. È una preoccupazione importante, ma non credo interamente giustificata, almeno per una buona parte della riflessione scientifica e degli orientamenti pratici in materia. Una minoranza di studiosi e di attivisti vorrebbero mutamenti radicali e veloci della corporate governance, ma una tale rivoluzione non è ad oggi realisticamente praticabile e porterebbe più costi che benefici.

Profitto non esclusivo

Non credo, infatti, che il ruolo delle imprese nella società e il loro corporate purpose debbano cambiare radicalmente rispetto agli schemi classici, come ho cercato di dimostrare in vari scritti (rinvio per semplicità ai miei working paper pubblicati sul sito di ECGI e ai miei interventi sul Oxford Business Law Blog). Quando si dice ad esempio che il purpose va oltre il profitto, non si vuole negare il profitto, bensì riconoscere che esso è essenziale, ma non esclusivo, nei sistemi capitalistici in cui viviamo. Neppure i meccanismi organizzativi e di funzionamento del governo societario sono stati o stanno per essere profondamente riformati, al di là di quanto certe imprese ci vorrebbero far credere. La discussione resta su temi tradizionali e ruota intorno ai consigli di amministrazione, agli azionisti di controllo e investitori, ai dirigenti e agli incentivi per produrre crescita delle imprese e innovazione.

La sostenibilità si inserisce in questo quadro classico e produce cambiamenti soprattutto per l’enfasi che pone sui valori e sulla responsabilità sociale delle imprese. Impresa e capitalismo restano i termini di riferimento del discorso, ma si aggiunge una rinnovata attenzione alla “responsabilità” intesa nel senso più ampio e non solo giuridico. Sia l’impresa che il capitalismo debbono essere “responsabili”, come giustamente si ripete, e questo è un programma molto ambizioso da attuare attraverso i meccanismi e gli incentivi (es. remunerazione variabile parametrata a misure di sostenibilità) della corporate governance.

Il ruolo della politica

Il resto è compito della politica. Ce lo ricorda l’articolo di Massimo Belcredi che opportunamente prende a riferimento i lavori in corso sulla direttiva per la corporate due diligence. Belcredi ci segnala che varie questioni di vertice sono ancora aperte prima dell’adozione di una direttiva e dalla loro soluzione potrebbero derivare ulteriori costi per le imprese. Egli ci invita anche ad una partecipazione attiva alla discussione, notando che il nostro paese non sembrerebbe particolarmente impegnato al riguardo.

Si tratta di questioni politiche complesse e mancano per ora studi adeguati sui trade-off di una soluzione rispetto ad altre. Molto è affidato al trilogo tra le istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio), all’azione dei governi e all’influenza dei gruppi di interesse, inclusi quelli dei vari stakeholder. Del resto, come in altre occasioni ho argomentato, la direttiva è uno strumento di regolazione, più che di diritto societario. Essa affronta questioni che sono per definizione controverse, come quelle concernenti le misure per la riduzione delle emissioni che, da un lato, realizzano obiettivi importanti sul piano climatico; dall’altro potrebbero generare ulteriori costi sociali, ad es. sul piano occupazionale.

Il ruolo del governo societario e quello della politica sono chiaramente distinti. Un governo socialmente responsabile dell’impresa comporta che siano rispettati valori generalmente condivisi dalle comunità in cui l’impresa opera, anche aldilà dei requisiti normativi applicabili. Di qui derivano i ruoli dell’etica e della cultura aziendale nella definizione delle strategie dell’impresa e nella loro attuazione attraverso le sue strutture organizzative. La politica, invece, deve occuparsi dei valori che non sono necessariamente condivisi e affrontare compromessi nella soluzione dei relativi trade-off. Dove l’impresa non riesce ad arrivare per mancanza di incentivi adeguati o per incertezza nella definizione dei valori rilevanti (inclusa la sostenibilità) interviene la regolazione pubblica che impone all’impresa, secondo i dettami della politica, una riduzione delle esternalità negative generate dalle sue attività. Di questi due profili (governance e politica) deve dunque tenersi conto nei discorsi sulla sustainable governance che solo in parte concernono il diritto societario e per il resto riguardano la regolazione pubblica.

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