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La revisione della Direttiva sui diritti degli azionisti di società quotate

Il 9 aprile 2014, la Commissione dell’Unione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio una proposta di revisione della c.d. Direttiva sui diritti degli azionisti (2007/36/UE), con l’obiettivo dichiarato di porre rimedio ad alcune lacune nel

Il 9 aprile 2014, la Commissione dell’Unione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio una proposta di revisione della c.d. Direttiva sui diritti degli azionisti (2007/36/UE), con l’obiettivo dichiarato di porre rimedio ad alcune lacune nel governo societario delle società europee quotate con particolare riferimento al coinvolgimento degli azionisti e all’esercizio da parte di questi ultimi dei loro diritti.

 

La proposta della Commissione parte, dichiaratamente, dalla constatazione che, come emerso durante la crisi finanziaria, gli azionisti delle società quotate troppo spesso hanno contribuito all’assunzione, da parte del management, di eccessivo rischio determinato da politiche di breve termine (secondo un’opinione largamente condivisa, ciò è stato particolarmente vero per le banche, nelle quali meccanismi di incentivazione e retribuzione troppo agganciati alle prospettive di breve termine degli azionisti istituzionali sono stati individuati come un fattore, se non di causazione, certamente di aggravamento della crisi). Secondo la Commissione, ciò è stato (anche) reso possibile da alcune carenze, in particolare, dall’insufficiente partecipazione degli azionisti alla vita delle società nelle quali investono e un livello inadeguato di trasparenza.

 

La proposta si inserisce nel piano approvato dalla Commissione con la comunicazione “Europa 2020” [del 2010 – COM(2010) 2020 definitivo] e costituisce (insieme ad altri strumenti) attuazione del Piano di azione “Diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili”, pure approvato dalla Commissione nel 2012 [COM(2012) 740 final].

 

Secondo la Commissione, la revisione della Direttiva sui diritti degli azionisti, quale obiettivo prioritario ha quello di “contribuire alla sostenibilità a lungo termine delle società dell’UE” e contribuisce a fare in modo che gli azionisti adottino una prospettiva più a lungo termine, considerata a sua volta necessaria per creare “migliori condizioni di gestione per le società quotate”.

I destinatari della Direttiva

In questo quadro generale, la proposta di direttiva si muove principalmente nei confronti di tre categorie di soggetti: gli azionisti (in particolare quelli istituzionali e i gestori di fondi attivi), gli amministratori e i proxy advisors. La linea guida può riassumersi in due parole chiave: partecipazione (degli azionisti) e responsabilità (degli asset managers e investitori istituzionali e dei proxy advisors). Fattore chiave, parallelamente, è quello della remunerazione degli amministratori e dei manager delle società quotate, rispetto alla quale la Commissione – pur rinunciando a dettare regole nel merito – fa propria la filosofia del say-on-pay degli azionisti sulla politica di remunerazione approvata dagli amministratori.

 

Gli elementi essenziali della proposta possono così riassumersi:

  • Shareholder enegagementGli investitori istituzionali ed i gestori di fondi attivi dovrebbero elaborare, con riguardo alle società nelle quali investono, una “politica di impegno degli azionisti” (shareholder engagement) e rendere noto il suo contenuto, le sue modalità di attuazione e i risultati raggiunti. Ove decidessero di non ottemperare, dovranno illustrarne le ragioni secondo una logica di comply or explain. Inoltre, essi avranno l’obbligo di rendere pubblico in che modo la loro strategia di investimento in capitale di rischio è coerente con il profilo e la durata delle loro passività e come contribuisce al rendimento dei loro attivi in una prospettiva di medio e lungo termine.
  • Remunerazione Le società quotate dovranno rendere note le politiche di remunerazione e la loro attuazione. La politica di remunerazione dovrà essere sottoposta ad un voto degli azionisti.
  • Operazioni con parti correlate – Le operazioni compiute dalle società quotate con parti correlate, la cui dimensione superi la soglia del 5% dell’attivo o che possano avere un impatto significativo sugli utili o sul fatturato dell’impresa, dovranno essere sottoposte all’approvazione degli azionisti; le operazioni di dimensioni inferiori, ma comunque superiori all’1% del fatturato, dovranno essere annunciate pubblicamente. Gli Stati membri potranno stabilire delle esenzioni, in particolare con riguardo alle operazioni con società controllate al 100%.
  • Proxy advisors I proxy advisors dovranno adottare misure adeguate per garantire che le loro raccomandazioni di voto siano accurate, affidabili e basate su un’analisi approfondita degli elementi rilevanti, e che non siano viziate da conflitti di interesse o da relazioni di affari. Essi dovranno dare ai loro clienti e alle società quotate interessate gli elementi fondamentali che orientano le raccomandazioni di voto e comunicare gli eventuali conflitti di interesse o le relazioni di affari che possano influenzare le loro valutazioni.
  • Identità degli azionisti Gli intermediari dovranno mettere le società quotate nella condizione di conoscere l’identità dei loro azionisti e di comunicare con loro; gli intermediari dovranno favorire la partecipazione degli azionisti alle assemblee delle società nelle quali investono.

La proposta della Commissione, secondo la procedura legislativa ordinaria, è stata sottoposta al vaglio di Consiglio e Parlamento Europeo per l’adozione delle rispettive posizioni negoziali e l’inizio del negoziato inter-istituzionale. Ad oggi, il Consiglio non ha formalmente adottato una propria posizione negoziale. Lo ha fatto, invece, il Parlamento Europeo, che ha votato la proposta in assemblea plenaria pochissimi giorni fa (8 luglio 2015), su proposta della Commissione Giuridica del Parlamento (JURI).

Le modifiche in sede di votazione

La proposta di risoluzione della Commissione JURI (adottata il 7 maggio 2015 con una maggioranza di 13 a 10 e con il voto contrario, tra gli altri, del PPE), su cui la plenaria ha espresso il proprio voto, conteneva, rispetto alla proposta della Commissione, alcune modifiche sostanziali. Anzitutto, si proponeva di ampliare l’ambito di applicazione della Direttiva alle “grandi società” e ai “grandi gruppi”, anche se non quotati. In secondo luogo, si enfatizzava la partecipazione non solo degli azionisti ma anche degli altri stakeholders, in particolare dei lavoratori (non è forse un caso che il relatore per la Commissione fosse l’Onorevole Sergio Cofferati), ai quali tra l’altro si proponeva di riconoscere il diritto di esprimersi sulla politica di remunerazione prima di sottoporla al voto dei soci. In terzo luogo, con riferimento alle operazioni con parti correlate, si proponeva l’adozione di regole meno stringenti di quelle avanzate dalla Commissione, in particolare prevedendo che le operazioni concluse a condizioni ordinarie (standard terms) siano comunque esentate dall’obbligo del voto assembleare. Infine, – per citare le modifiche più rilevanti – nell’ottica di incoraggiare l’impegno a lungo termine degli azionisti, si proponeva, di rendere obbligatoria l’introduzione di meccanismi fidelizzanti quali i loyalty dividends o le loyalty shares.

 

Lo scontro politico emerso nella Commissione JURI ha prodotto i suoi effetti nel voto plenario. Il testo votato lo scorso 8 luglio, infatti, è stato emendato in più punti rispetto a quello approvato dalla Commissione. Tra le altre modifiche, segnaliamo l’eliminazione del riferimento alle grandi società e ai grandi gruppi non quotati, l’eliminazione del diritto dei dipendenti di esprimersi sulla politica di remunerazione, e l’introduzione della possibilità per gli Stati membri di prevedere che il voto degli azionisti sulla politica di remunerazione stessa sia solo consultivo, e non vincolante per gli amministratori. Anche la maggiore enfasi introdotta dalla Commissione JURI sull’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti è stata emendata, e con essa la previsione specifica relativa all’obbligo di introduzione di meccanismi fidelizzanti.

 

Il voto dell’assemblea plenaria del Parlamento Europeo dell’8 luglio apre dunque la fase del negoziato trilaterale tra le Istituzioni europee, necessario per l’adozione della direttiva. Difficile, al momento, prevederne i tempi. Ad oggi, le aspettative degli operatori convergono sul raggiungimento di un accordo sul testo non prima della fine dell’anno in corso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandra Stabilini, membro del Consiglio direttivo NED e del Comitato editoriale della rivista NED. Laurea in Giurisprudenza, Università degli Studi di Milano (1995). Master of Laws, The University of Chicago (2000). Dottorato di ricerca in Diritto commerciale, Università L. Bocconi, Milano (2003). Avvocato, Equity Partner di NCTM Studio Legale Associato. Professore aggregato di International Corporate Governance, Università degli Studi di Milano. Ricercatore confermato di Diritto commerciale, Università degli Studi di Milano ([email protected]).


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