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La frontiera delle performance in Italia

Nota Editoriale

Nel numero di maggio 2013 (N°5) della Harvard Business Review è stato pubblicato un ampio articolo di Robert G. Eccles e George Serafeim intitolato “La frontiera delle performance- Innovare per una strategia sostenibile”. Riprendiamo per i nostri lettori il commento della consocia Livia Piermattei.


La Frontiera della Performance. E l’Italia?

L’articolo di Bob Eccles e George Serafeim si intitola “Frontiera della Performance” e riesce a mostrare la correlazione esistente tra performance finanziaria e performance della “sostenibilità” (ambientale, sociale, di governance) con una ricerca su 3.000 aziende (dal 2002 al 2011).

E’ un bel messaggio per un paese come l’Italia in cui il Comitato per la Corporate Governance* ha promulgato nel Dicembre 2011 un nuovo Codice di Autodisciplina che sin dal suo Articolo 1 cita “Gli amministratori agiscono perseguendo l’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo”.

Il processo di cambiamento per integrare realmente la sostenibilità e la prospettiva di medio-lungo periodo nella cultura, nelle azioni, nei comportamenti aziendali è lungo e complesso. 

Far fare alle organizzazioni, ai Board, ai manager che le guidano il salto culturale necessario per considerare la sostenibilità non un “nice to have” ma un’opportunità su cui lavorare per moltiplicare il valore dell’impresa nel lungo periodo, è un processo che troppo spesso si arena. 

Dove si ferma? Proprio laddove gli autori indicano nei casi citati: su azioni circoscritte e non focalizzate su temi veramente rilevanti per la performance; su iniziative evolutive e non trasformative che mancando di radicalità e di visione trasversale e integrata, non portano l’innovazione necessaria per influire in modo significativo anche sulla performance finanziaria oltre che su quella di sostenibilità.

Eccles e Serafeim hanno identificato gli ostacoli principali a questo processo di cambiamento

Il tema delle remunerazioni è il primo della lista. In Italia, il codice di Autodisciplina all’articolo 6 cita “La remunerazione degli amministratori esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche è definita in modo tale da allineare i loro interessi con il perseguimento dell’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo” e oltre indica che “una parte significativa della remunerazione è legata al raggiungimento di specifici obiettivi di performance, anche di natura non economica..”.

Il rapporto Assonime sulla corporate Governance monitora ogni anno l’applicazione del Codice di Autodisciplina e le remunerazioni (natura e composizione tra fisso e variabile). Su un totale di 255 società quotate, 185 hanno comunicato di prevedere una remunerazione variabile per gli amministratori: 91 di queste (concentrate soprattutto nel settore non finanziario) hanno fornito i dati relativi ai “bonus” corrisposti anche se non è sempre indicato quanto di questi bonus sia connesso alla performance di medio-lungo periodo o obiettivi di natura non economica. 

Se è questo quanto avviene tra i componenti del Board laddove una specifica indicazione del Codice esiste, è possibile immaginare quanto ancora più complesso sia integrare i piani di incentivazione del management e dei dipendenti non con vaghe aspirazioni alla sostenibilità ma con riferimenti diretti a comportamenti, azioni, risultati tali da incidere sulla performance di lungo periodo. 

Un altro ostacolo al cambiamento sono le competenzeCompetenze di managementche consentano di integrare la pianificazione degli investimenti con la considerazione delle ricadute che questi hanno non solamente sulla performance finanziaria, e competenze tecniche che garantiscano il presidio delle innovazioni. Anche in questo caso i programmi di formazione sulla sostenibilità si fermano alla superfice o si spingono nella tecnica; molto più raramente lavorano sull’urgenza di far evolvere i processi di gestione manageriale e di pianificazione degli investimenti.

Da ultimo il processo di comunicazione e reporting. Serafeim è riuscito a dimostrare che le aziende con comunicazioni orientate al lungo termine tendono ad attirare un maggior numero di investitori con la stessa mentalità. Dal 16 aprile è stato presentato per consultazioni un nuovo modello di reporting integrato (www.theiirc.org/consultationdraft2013). Eccles e Serafeim affermano che “la relazione integrata costringe manager e dipendenti a ragionare sulle implicazioni delle loro decisioni e contribuisce a stimolare l’innovazione perché li spinge a migliorare la performance su tutti i fronti”. In Italia partecipano al Programma Pilota Internazionale del Reporting Integrato 8 aziende quotate ma ancora nessun fondo d’investimento. E’ un inizio. Timido? Ma un inizio.

*Il Comitato per la Corporate Governance è formato da Abi, Assonime, Assogestioni, Confindustria, Borsa Italiana, Ania


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