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La dimensione europea della sostenibilità e il ruolo dell’autodisciplina nella governance

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La green finance ha assunto da almeno un decennio un ruolo di assoluta centralità. L’esigenza di accelerare la transizione verso un sistema economico ecosostenibile – che consideri l’impatto delle attività economiche in termini di effetti ambientali e sociali – mette in evidenza il legame tra la governance delle imprese e gli obiettivi di sostenibilità delle loro attività. In prospettiva europea, il governo societario delle società quotate e delle istituzioni finanziarie – considerato in passato come uno dei fattori determinanti della crisi finanziaria globale – rappresenta un elemento determinante per contribuire allo sviluppo di strategie sostenibili volte ad orientare maggiormente le imprese verso prospettive di lungo termine.

Il ruolo dell’autodisciplina

Il legislatore europeo ha essenzialmente affidato la regolamentazione delle pratiche di governo societario delle società non finanziarie ai meccanismi di autodisciplina e di soft law sino all’introduzione della Direttiva 2006/46/CE, che impone alle società quotate di includere nelle proprie relazioni annuali una dichiarazione di governo societario contenente un riferimento al Codice nazionale di autodisciplina a cui hanno aderito e, in caso di mancata applicazione totale o parziale delle raccomandazioni ivi contenute, una giustificazione di tale scelta in un’ottica di trasparenza e buon governo secondo il cd. principio del comply or explain (v. art. 20 Direttiva 2013/34/UE).

Per quanto riguarda gli altri interventi sulle pratiche di governo societario, i principali obiettivi del legislatore europeo sono stati fissati in tre Green Papers pubblicati nel 2003, 2010 e 2011, che ben sintetizzano le linee evolutive del pensiero della Commissione circa le iniziative normative in materia di governo societario. Le politiche dell’UE in materia di governo societario a seguito di tali green papers sono state delineate attraverso il piano d’azione per la corporate governance del 2012 [1] e si sono concentrate sul rafforzamento di misure specifiche, quali la trasparenza aziendale, la protezione dei diritti degli azionisti, l’efficacia del consiglio di amministrazione e la promozione dell’impegno e della gestione a lungo termine degli azionisti [2]. Il miglioramento della rendicontazione in materia di governance societaria costituisce una tappa essenziale dell’iter volto a rafforzare il principio di comply or explain e a superare la tendenza delle imprese a fornire motivazioni inadeguate a giustificare qualsivoglia discostamento dai codici di autodisciplina. Tale obiettivo rientra tra quelli inclusi nel piano d’azione per il governo societario ed è stato affrontato dalla Commissione UE nelle sue raccomandazioni sulla qualità delle relazioni sulla governance societaria pubblicate nel 2014 [3].

Il legame esplicito tra governo societario e sviluppo sostenibile non viene menzionato dal legislatore dell’UE fino al 2018, nel contesto di attuazione del piano d’azione sul finanziamento della crescita sostenibile [4]. Il piano d’azione persegue specificamente tre obiettivi: (i) riorientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili al fine di conseguire una crescita sostenibile e inclusiva; (ii) gestire i rischi finanziari derivanti dai cambiamenti climatici, dal degrado ambientale e dalle questioni sociali; (iii) promuovere la trasparenza e il carattere a lungo termine dell’attività finanziaria ed economica. La strategia dell’UE sviluppa specificamente dieci azioni chiave , l’ultima delle quali riguarda la promozione di un governo societario sostenibile e la riduzione di visioni a breve termine nei mercati di capitali.

Il peso del governo societario

A tal proposito, la Commissione ha ritenuto che il governo societario “può contribuire in modo significativo a un’economia più sostenibile [5], consentendo alle imprese di adottare le misure strategiche necessarie per sviluppare nuove tecnologie, rafforzare i modelli di business e migliorare le prestazioni”, ma anche “migliorare le loro pratiche di gestione del rischio e la competitività”. In effetti, un governo societario eccessivamente incentrato sulla performance a breve termine potrebbe indurre gli amministratori ad assumere rischi non sostenibili nel lungo termine, anche in termini economici. Inoltre, la Commissione si è impegnata a svolgere un approfondimento con le parti interessate per valutare: (i) l’eventuale necessità di richiedere ai consigli di amministrazione di sviluppare e comunicare una strategia di sostenibilità, compresa un’adeguata diligenza lungo l’intera catena di produzione, e obiettivi di sostenibilità misurabili; e (ii) l’eventuale necessità di chiarire le norme in base alle quali gli amministratori dovrebbero agire nell’interesse a lungo termine della società.

Il nuovo Codice italiano di governo societario rappresenta un passo non trascurabile in termini di rafforzamento della responsabilità sociale d’impresa. Le nuove disposizioni si pongono come stimolo per le imprese italiane a rinnovare ed a consolidare l’impiego dei fattori ESG nel governo dei rischi d’impresa. L’autodisci­plina è ora maggiormente calibrata sulla base di criteri dimensionali e di assetti proprietari degli emittenti, scelta che non può che essere approvata alla luce del variegato panorama italiano delle società quotate nell’approccio alla sostenibilità.

Un ripensamento strutturale

L’attuale formulazione del Codice di Corporate Governance trae, pertanto, la sua origine non da un mero aggiornamento [6], bensì da un vero e proprio ripensamento strutturale [7], rimodulato su una più netta separazione tra i principi inderogabili di buona governance e le raccomandazioni fondate su il c.d. comply or explain. Il carattere maggiormente proporzionale e flessibile del nuovo Codice si coglie anche dal numero crescente di raccomandazioni la cui portata precettiva è calibrata in virtù del criterio dimensionale degli emittenti (grandi/piccoli) [8]. La struttura del Codice appare più snella, fluida e volta a consolidare i principi cardine di buona governance. Accanto a quelli più tradizionali [9], emergono alcuni tratti maggiormente innovativi e coerenti con le linee evolutive dettate a livello sovranazionale: si intende, in particolare, alludere al preponderante rilievo riconosciuto nel nuovo Codice ai profili di sostenibilità [10] dal momento che si menziona per la prima volta il successo sostenibile quale “obiettivo (…) che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholders rilevanti per la società [11]. Il successo sostenibile guida, pertanto, la ridefinizione del piano industriale [12], del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi [13] e delle politiche di remunerazione [14] alla luce di interessi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli meramente lucrativi dei soci. In particolare, a riflettere il legame tra il “successo sostenibile” e l’indirizzo strategico elaborato dal board dovrà essere proprio il piano industriale inteso quale “documento programmatico nel quale sono definiti gli obiettivi strategici dell’impresa e le azioni da compiere al fine di raggiungere tali obiettivi in coerenza con il livello di esposizione al rischio prescelto, nell’ottica di promuovere il successo sostenibile della società”  [15].

Nasce una nuova dialettica

Gli stessi assetti statutari appaiono, pertanto, rimodulati dall’organo di supervisione strategica sulla base della nuova nozione di interesse sociale accolta dal Codice, il quale impone una rinnovata interazione dialettica tra soci e amministratori, ferma restando la loro diversità funzionale dal momento che “i primi lo fanno nell’esercizio di una loro prerogativa e i secondi nell’adempimento di una funzione”  [16]. C’è chi non ha mancato di sottolineare che un tale ripensamento del rapporto soci-amministratori nell’ossatura statutaria sia configurabile in termini di “scintilla cinetica” anche in riferimento a “quegli adeguamenti dello statuto sociale che possano risultare utili o comunque coerenti al conseguimento dei nuovi obiettivi di successo sostenibile”  [17]. Come mostra un Rapporto Assonime, “il  “successo sostenibile” rileva naturalmente nella definizione del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, finalizzato a contribuire al raggiungimento di tale obiettivo, ed arricchisce notevolmente i compiti del comitato controllo e rischi, chiamato ora a: a) valutare l’idoneità dell’in­formazione periodica, finanziaria e non finanziaria, a rappresentare correttamente il modello di business, le strategie della società, l’impatto della sua attività e le performance conseguite, coordinandosi con l’eventuale comitato sostenibilità; b) esaminare il contenuto dell’informazione periodica a carattere non finanziario rilevante ai fini del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”  [18].

In ragione della varietà delle società interessate, specialmente per settore economico, assetti proprietari e dimensioni aziendali, è essenziale preservare la flessibilità dei codici di autodisciplina, tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale, al fine di favorire una più compiuta transizione verso un sistema economico ecosostenibile. L’obiettivo di rafforzare le best pratices in materia di ESG richiede un punto di equilibrio tra intervento pubblico ed autodisciplina, tanto a livello nazionale quanto nella legislazione europea. In tale prospettiva, certamente l’azione europea può contribuire a definire un quadro armonizzato di best practices anche in materia di sostenibilità nella più ampia cornice offerta dai rinnovati OECD Principles of Corporate Governance[19].

Un ulteriore aspetto rilevante emerge dal panorama nazionale. Nell’ambito di una più compiuta riflessione riguardo il ruolo del Codice di corporate governance nel sistema finanziario, la Consob, in occasione della stesura del piano strategico 2022-24, si è fatta interprete di una funzione di vigilanza connessa all’autodisciplina [20], nonostante la tradizionale esclusione dall’ambito del enforcement pubblico [21], presumibilmente sulla scia di taluni confronti internazionalicome ad es. nel caso del Regno Unito.Il delicato bilanciamento tra autodisciplina ed intervento pubblico riflette l’esigenza di garantire un efficace sistema di monitoraggio sulla corretta applicazione dei codici e sull’adesione ai principi ivi contenuti. La stessa natura dell’autodisciplina imporrebbe di considerare tale attività come un’ipotesi di enforcement privatistico, senza ammettere alcun tipo di controllo esterno rispetto all’ente responsabile per la redazione del Codice. Tuttavia, è bene sottolineare che tale controllo assume talvolta natura ibrida (pubblico-privata) proprio in virtù della diversa composizione dei comitati. A livello europeo manca evidentemente un unico e condiviso modo di concepire l’attività di monitoraggio: in Olanda e in Germania l’inte­ra commissione è nominata dal ministero competente e intenso è, dunque, il controllo pubblicistico ex ante. Nel Regno Unito, soltanto il presidente e il vicepresidente dell’ente sono di nomina governativa. In altri ordinamenti, al contrario, i comitati sono istituiti per sola iniziativa privata dei rappresentanti di mercato: si pensi agli ordinamenti francese e italiano. Sussiste comunque una significativa differenza tra il comitato francese e quello italiano: mentre il primo è espressione esclusivamente di associazioni imprenditoriali, il secondo rappresenta anche gli esponenti delle società quotate e del risparmio gestito. Infine, merita segnalare che in Spagna e in Portogallo è l’autorità di vigilanza stessa a formulare le best practices di mercato.

Anche in Italia le innovazioni che promuovono la sostenibilità sono il naturale portato dell’esperienza delle società quotate maggiormente rappresentative. Con riferimento, tuttavia, al confronto svolto tra i diversi codici europei di autodisciplina, si deve constatare un approccio ancora disomogeneo in materia di sostenibilità e di corporate social responsability. In effetti, solo in alcuni sistemi giuridici, i codici riconoscono espressamente il ruolo chiave svolto dal governo societario nello sviluppo e crescita sostenibile, affrontando la responsabilità sociale dell’impresa nell’ambito della funzione e agli obiettivi dell’autodisciplina. Nella maggior parte delle esperienze considerate, sono piuttosto scarne le disposizioni che trattano espressamente l’attribuzione di funzioni di corporate social responsability ad un comitato specializzato ed il legame tra retribuzione e parametri ambientali e sociali. È auspicabile che le riforme legislative sui doveri di due diligence consentano un maggior coinvolgimento degli stakeholders e che questi ultimi possano maggiormente influire sui codici di governo societario, favorendo un approccio più omogeneo in termini di integrazione dei profili di sostenibilità nelle pratiche di governo societario, per valorizzare il ruolo dei codici di governo societario nel consolidamento della green governance.


[1] Comunicazione della Commissione europea, Piano d’azione: diritto societario europeo e governo societario – un quadro giuridico moderno per gli azionisti più coinvolti e le società sostenibili, 2012, n. 740.

[2] A questo proposito, si vedano la Direttiva 2013/50/UE (“Direttiva sulla trasparenza”) e la Direttiva 2017/828/UE.

[3] Commissione UE, Raccomandazioni sulla qualità delle relazioni sul governo societario (‘comply or explain’), 2014, n. 208.

[4] Commissione UE, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Piano d’azione: finanziamento della crescita sostenibile, 2018, n. 97.

[5] A. Pacces, Will the EU Taxonomy Regulation Foster a Sustainable Corporate Governance?, in ECGI, 2021, Working Papers Series, n. 611.

[6] M. Houben, Articolazione dell’organo amministrativo e assetti organizzativi adeguati: il ruolo del codice di “corporate governance”, in Riv. dir. banc., 713 e ss.

[7] P. Cuomo, Il consiglio di amministrazione e la gestione dell’impresa nel codice di corporate governance,in Riv. soc.,2021, 79 ss.

[8] M. Belcredi-S. Bozzi, Rapporto Fin-Gov sulla Corporate Governance in Italia, 2021, 8.

[9] V. Cariello, Indipendenza sostanziale e codice di autodisciplina, in Riv. dir. soc., 2020, 639.

[10] C. Malberti, L’“environmental, social, and corporate governance” nel diritto societario italiano: svolta epocale o colpo di coda?, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2020, 168, 661, 680.

[11] Codice di Corporate Governance 2020, definizioni.

[12] Codice di Corporate Governance 2020, definizioni.

[13] Codice di Corporate Governance 2020, principio XIX, raccomandazione 34, lett. b) e c).

[14] Codice di Corporate Governance 2020, principio XV, raccomandazione 27, lett. c), raccomandazione 29.

[15] Codice 2020, definizioni.

[16] M. Stella Richter, Scelta del sistema di amministrazione e valutazione dell’assetto, in Riv. dir. civ., 2015, 500.

[17] N. Abriani, Successo sostenibile e regole statutarie: il ruolo del board nel Codice di Corporate Governance, in Riv. corp. gov., 2021, 1.

[18] Assonime, Doveri degli amministratori e sostenibilità, 2021, n. 6, 53.

[19] OECD, Recommendation of the Council on Principles of Corporate Governance, 2023.

[20] Consob, Piano strategico 2022-24, ove si legge: “La Consob sarà anche fortemente coinvolta nelle attività volte a presidiare il nuovo rischio emergente in materia di comunicazioni non corrette sui profili di sostenibilità, c.d. rischio di greenwashing o socialwashing: azioni di vigilanza mirata saranno svolte per valutare la corretta disclosure degli “investimenti sostenibili” e le metodologie e i criteri utilizzati per l’emissione di giudizi di sostenibilità da parte dei soggetti che producono rating, delle agenzie di rating del credito, dei data provider e dei produttori di benchmark.

[21] L. Enriques, La governance delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari: teoria, strategie normative e un’applicazione alla Consob, in Giur. comm., 2013, 1153.

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