La difesa del risparmio
Cronaca di Franco Morganti
Il 18 ottobre 2011 a Milano si è tenuta la Comunità di Pratica di Nedcommunity, con Marco Onado e Giuseppe Zadra, su questo tema. Il sottotitolo era “Il crescente ruolo degli amministratori indipendenti”: ma a tutela del risparmio. Sottinteso: gli indipendenti nelle SGR. Anche senza esplicitare il sottinteso, Onado e Zadra si erano accordati a parlare di questo e hanno evitato le domande, di solito imbarazzanti, di Rosalba Casiraghi.
Onado (Pioneer e Assogestioni ricerca) ha messo subito in evidenza il ruolo particolare degli indipendenti nelle SGR, trovandosi a tutelare gli interessi dei clienti anziché dei soci. I clienti visti come soci di ultima istanza. Ha poi confrontato la situazione USA degli anni ’30 con quella attuale, dove i ¾ degli amministratori sono indipendenti, così come il 66% dei presidenti. Venendo alla situazione italiana, qui resta il nodo gordiano del legame con le banche, che Draghi aveva chiesto di sciogliere. Messori con Assogestioni aveva pensato di regolare i conflitti con una buona governance: ma è possibile?
Zadra, ora in un nuovo ruolo di gestore (Prima e Anima) rispetto alla lunga tradizione di direttore ABI, ha ripreso la storia del successo dei Fondi italiani fino al 2000. Ma dopo il crollo gli altri paesi hanno avuto una ripresa, mentre noi no, anche se i Fondi restano il miglior strumento per evitare perdite. Le banche non sono interessate all’industria dei gestori, ma in realtà non c’è relazione fra performance e struttura proprietaria. È la legge che crea SGR atipiche. Lo scopo dovrebbe essere quello di massimizzare i profitti dei clienti, più che dei soci: di qui conflitti di interesse dappertutto. Con la MIFID si sono affrontati i principi generali, ma poi conta la diligenza degli amministratori. Ci vogliono amministratori che sappiano esercitare la propria indipendenza anche a costo della propria conferma: quella è la sfida. L’indipendenza è terra di virtù, non di diritto. D’Agostino (Consob) pensava che i fondi si vendessero “dallo scaffale”, invece non è così: il “prodotto fondo” richiede marketing, consulenza finanziaria. Produzione e distribuzione sono nelle stesse mani: la rete è quella bancaria, che non può essere un supermercato. Secondo la MIFID tutti i venditori devono verificare la loro adeguatezza, ma è un processo di evoluzione lento, turbato dal conflitto intrinseco della distribuzione affidata alla banca. In Usa nessuno entra in banca per chiedere un fondo. I fondi hanno la loro rete di distribuzione..
Il dibattito che ne segue non delinea un tracciato comune e lascia aperte diverse questioni.
Onado prova a chiarire: gli indipendenti sono gli watchdogs dei conflitti di interesse. Ci sono stati watchdogs di successo, se è vero che i fondi non avevano a portafoglio Parmalat, Cirio, ecc. Non è scontato che l’interesse delle società debba prevalere su quello dei clienti. L’amministratore indipendente ha diritto di opporsi. Purtroppo ci sono in circolazione troppi indipendenti fra virgolette.
Sulla questione vitale del perché i fondi italiani non abbiano ripreso dopo la crisi, Zadradice che i fondi all’inizio avevano creato aspettative di extra-rendimenti alle quali troppi clienti si erano abituati. Altra causa è la dimensione: i fondi italiani sono piccoli. Infine hanno pesato i fondi attivisti, percepiti come manipolatori del mercato.
Tempi di crisi, tempi di bilanci, tempi di “impairment test”
Cronaca di Mauro Arachelian
Il 29 novembre scorso a Milano si è tenuta la Comunità di Pratica di Nedcommunity con Mario Boella e Mauro Bini sul tema “Tempi di crisi, tempi di bilanci, tempi di impairment test”.
Rosalba Casiraghi, Presidente di Nedcommunity, ha introdotto l’argomento evidenziando come sia oramai sempre più frequente l’adozione di svalutazioni da impaiment, anche tenuto conto del periodo di forte crisi che caratterizza questi ultimi anni.
Mario Boella (Presidente Assirevi) inquadrando il tema con ottica del revisore ha messo subito in evidenza come il periodo di bassa crescita e di crisi di liquidità abbiano determinato un irrigidimento del revisore nel considerare i valori degli asset intangibili. Un maggior scetticismo professionale su incertezze e dubbi legati al prevedibile futuro delle società caratterizzerà pertanto la oramai prossima stagione di bilanci. Si è poi addentrato in una disamina delle principali poste di bilancio oggetto di impairment soffermandosi sul tema molto attuale degli strumenti finanziari collegati ai debiti sovrani che porteranno considerevoli adeguamenti di valore.
Mauro Bini (Ordinario di Finanzia aziendale Università Bocconi), ora anche in un nuovo ruolo di Presidente del consiglio di gestione OIV “Organismo Italiano di Valutazione” – standard setter sulle valutazioni contabili – fornisce una dimensione del problema nel settore bancario ed evidenzia una presunzione di impairment di 133 miliardi, precisando che i principi contabili prevedono una prudente valutazione degli asset immateriali e non impongono l’adeguamento al valore di mercato.
Bini evidenzia che ciò che risulta veramente importante è uno standard qualitativo elevato, far conoscere la metodologia utilizzata prima di effettuare gli impairment test e ponderare con attenzione la rischiosità del business. Ricorda inoltre che, aldilà delle technicalitiesutilizzate è il board che deve esprimersi in merito in relazione ad una analisi qualitativa e di ragionevolezza dei numeri nel contesto aziendale.
Al termine degli interventi segue un breve dibattito sui risultati dell’adozione dei principi contabili internazionali e sugli effetti che hanno prodotto nei bilanci societari sempre più carichi di asset immateriali.
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