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La crisi d’impresa e la riforma del diritto fallimentare in Italia: alcune considerazioni

Il recente, prolungato ciclo di congiuntura economica negativa che ha attraversato prevalentemente le economie dei paesi “occidentali”, le cui code si stanno ancora facendo sentire, ha acceso il faro sulle crisi aziendali, ed in particolare nel caso

di Venceslao Stevens(*)

Il recente, prolungato ciclo di congiuntura economica negativa che ha attraversato prevalentemente le economie dei paesi “occidentali”, le cui code si stanno ancora facendo sentire, ha acceso il faro sulle crisi aziendali, ed in particolare nel caso italiano, sulla necessità di rivedere ed aggiornare la legge fallimentare del 1942 e le sue modifiche successive, anche di ampia portata, che – nelle sue linee generali – costituisce ancora la disciplina di riferimento. L’obiettivo è prevalentemente quello di facilitare la composizione negoziale delle crisi aziendali, laddove possibile, riducendo al minimo la soluzione traumatica del fallimento, nell’interesse sia delle parti coinvolte sia della business community in genere.

E’ infatti importante rilevare come l’attenzione del legislatore si stia gradualmente spostando da interventi ex post, di tipo “liquidatorio” o di insolvenza, quando cioè la crisi aziendale è già in stato avanzato, ad interventi ex ante, di tipo preventivo, volti ad anticipare l’irreversibilità della crisi e “consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività”.

La volontà del legislatore di anticipare la risoluzione della crisi ad uno stadio che ancora consente una possibile ripresa dell’attività imprenditoriale presenta un ulteriore aspetto positivo, riscontrabile nella “salvaguardia” dei futuri interessi degli stakeholders dell’impresa in crisi (es. clienti, fornitori, dipendenti, etc.), che potranno così godere nuovamente dei benefici già in essere nella fase pre-crisi, con diretti riflessi positivi per l’intero sistema economico e sociale che ruota intorno all’impresa “salvata”.

E’ proprio quest’aspetto di visione allargata, che ricomprende nella necessità di far uscire l’impresa dalla crisi anche i vantaggi che ne derivano per gli interlocutori esterni dell’impresa stessa, che personalmente condivido e che professionalmente ho potuto riscontrare anche in qualità di senior advisor di Global Strategy, società di consulenza strategica e finanziaria che, tra le diverse attività svolte, supporta i principali Istituti Bancari italiani su attività di debt restructuring che hanno ad oggetto sia la Independent Business Review (IBR) e la verifica di sostenibilità del piano industriale e finanziario alla base della manovra, sia il monitoraggio delle azioni gestionali inserite nel piano ed i loro effetti sull’equazione economica e sul profilo di rischio, svolgendo il ruolo di Chief Restructuring Officer (CRO). Dall’analisi di alcuni di questi dossiers emerge chiaramente come il “salvataggio” di imprese, che finanziariamente stanno attraversando un momento di tensione finanziaria, ma che da un punto di vista di business industriale sono ancora competitive, sia di assoluto vantaggio per l’intero sistema economico.

Da queste evidenze, già conosciute da parte degli addetti al mestiere, è forse nata la necessità di rivedere la normativa sul diritto fallimentare in un’ottica non più di sola tutela del ceto creditorio, ma di strumento utile a disposizione delle imprese per risolvere in anticipo problemi che altrimenti potrebbero portare a liquidare l’attività imprenditoriale.

Le considerazioni sottoesposte si propongono, senza entrare nel dettaglio ma soffermandosi sui punti principali, di seguire il percorso e l’evoluzione della normativa fino al testo proposto dalla Commissione di esperti presieduta dal dott. Renato Rordorf, presidente di sezione della Corte di Cassazione, incaricata nel 2015 di elaborare proposte di riforma e riordino delle procedure concorsuali.

Diamo qui per acquisita la conoscenza dei principali tre strumenti di composizione negoziale in continuità delle crisi aziendali, introdotti in occasione della mini-riforma del 2005:

• Art. 67 Piano di risanamento
• Art. 182 bis Accordo di ristrutturazione dei debiti
• Art. 186 bis Concordato preventivo con continuità aziendale

La “Miniriforma” del 2015

La successiva – e, per ora, ultima – mini-riforma (Decreto Legge del 30 giugno 2015 n. 83 convertito dalla Legge 6 agosto 2015n. 132), tramite il nuovo art. 182 septies, ha introdotto altre due fattispecie rivolte ad aziende in crisi caratterizzate da “prevalente indebitamento verso intermediari finanziari”:

• l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari
• la convenzione di moratoria

ciò alla luce del fatto che il ricorso al finanziamento bancario in Italia rappresenta di gran lunga la forma di finanziamento più diffusa rispetto ad altre alternative di reperimento di risorse finanziarie (quotazione in Borsa, presenza di investitori istituzionali, ecc).

Senza volersi qui soffermare – per motivi di spazio – sulla definizione e soglia di “prevalente”, lo spirito della normativa è quello di facilitare il raggiungimento di un accordo tra l’impresa in crisi e i maggiori istituti creditori, evitando che creditori finanziari, di relativamente minore entità, possano di fatto rallentare o impedire il successo dell’operazione. In questo modo la riforma tutela le trattative del debitore con i suoi creditori più forti.

La “ristrutturazione con intermediari finanziari”

L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari trova applicazione nei casi in cui l’indebitamento dell’impresa in crisi sia caratterizzato dal fatto che oltre il 50% del suo indebitamento complessivo sia nei confronti di banche e intermediari finanziari, e si ispira ad istituti similari in altri ordinamenti giuridici europei (es. Francia e Gran Bretagna), dando attuazione ad una Raccomandazione della Commissione Europea (12 marzo 2014) che incentiva l’adozione di un piano di ristrutturazione, anche con la partecipazione soltanto di determinati creditori ovvero di determinati tipi o classi di creditori.

Quando la crisi assume connotati di relativa gravità, il debitore può avviare con i creditori una negoziazione volta al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione dei debiti. A differenza però della procedura prevista dall’art. 182 bis della Legge Fallimentare, qualora:

• tutti i creditori appartenenti alla medesima categoria di creditori finanziari siano stati informati
dell’avvio delle trattative e siano stati in buona fede messi in condizione di parteciparvi
• i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti all’accordo rappresentino almeno il 75% dei crediti della categoria

L’impresa debitrice può chiedere che gli effetti dell’accordo siano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria. Si introduce così un principio maggioritario, importato dal modello concordatario, nell’accordo – più generale – previsto nell’art. 182 bis, per cui si può affermare che lo strumento in esame in realtà non è del tutto nuovo ma più che altro una variante/completamento del precedente.

La “convenzione di moratoria”

Un nuovo strumento è invece la convenzione di moratoria, che consiste in un accordo tra l’impresa debitrice ed una o più banche o intermediari finanziari per una moratoria temporanea dei crediti, dilazionandone l’esigibilità e dando tempo all’azienda di elaborare una soluzione alla crisi prima che la stessa si aggravi.

Le modalità dilatorie potranno essere differenti a seconda delle diverse classi di creditori omogenee al loro interno. Anche in questo caso la convenzione potrà estendersi ai creditori non aderenti in base alle rispettive classi di interesse qualora:

• sia rispettato il principio di buona fede e di corretta informazione di cui sopra
• aderiscano i creditori che rappresentino il 75% dei crediti
• un professionista, in possesso dei requisiti indicati dall’art. 67, III comma, lett. d), attesti l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori coinvolti nel processo di convenzione di moratoria

In questo caso, a differenza dei precedenti, l’intervento del tribunale è previsto solo nel caso di contestazione. Peraltro ai creditori non aderenti la convenzione di moratoria non potrà imporre eventuali nuove prestazioni o incrementi della propria esposizione (ivi incluso l’utilizzo di affidamenti già concessi) eventualmente concordati (ad eccezione del leasing), né al contrario impedire loro di deliberare nuovi affidamenti e finanziamenti.

Va sottolineato che ad entrambi gli strumenti qui descritti si applicano nei confronti dell’imprenditore le sanzioni penali previste nel caso di bancarotta semplice o fraudolenta e per il caso di fallimento o concordato, compresa la reclusione, qualora per ottenere l’accordo abbia simulato attività inesistenti o si sia inventato crediti parzialmente o totalmente inesistenti.

Inoltre la cd “Miniriforma”, principalmente nell’ambito della riforma del concordato preventivo, prevede:
a) alcune facilitazioni, art. 182 quinquies comma 2 bis, per l’impresa in crisi nel reperire risorse finanziarie/finanziamenti ponte, strumentali alla continuità aziendale (facilitazioni estendibili anche agli accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis;

b) l’introduzione della concorrenza nel concordato preventivo (art. 163 bis) consentendo, tramite l’apertura di una procedura competitiva rispetto all’offerta avanzata da un terzo per l’acquisto di beni o rami d’azienda del debitore, la presentazione di offerte concorrenti in modo da garantire la migliore realizzazione economica per il debitore. La riforma ha altresì previsto (modifiche in ordine all’art. 163) che i creditori possano presentare proposte concorrenti a condizione che le stesse siano in chiave migliorative: la proposta può essere fatta da uno o più creditori che rappresentano almeno il 10% dei debiti risultanti dalla situazione patrimoniale, a patto che non risulti che la proposta concordataria originaria presentata dal debitore assicuri il pagamento, anche dilazionato, di almeno il 40% dei crediti chirografari in caso di concordato liquidatorio, e di almeno il 30% in caso di concordato in continuità;

c) una nuova disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo tramite una procedura che consenta all’impresa in crisi di essere autorizzata dal giudice delegato a sciogliere contratti non eseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, anche successivamente alla presentazione della domanda di ammissione al concordato.

Il testo proposto dalla “Commissione Rordorf”

Il testo dello schema di decreto legislativo predisposto dalla “Commissione Rordorf”, incaricata con decreto del Ministero della Giustizia il 28 gennaio 2015, si propone di razionalizzare, semplificare e coordinare l’intero sistema della normativa fallimentare in maniera profonda e sistematica, includendo anche (i) gli istituti di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, (ii) il sovraindebitamento del consumatore e degli altri debitori non assoggettati al fallimento, (iii) il tema dei privilegi e quello delle garanzie non possessorie.
La revisione investe anche il linguaggio, con la cancellazione di termini come “fallimento” o “fallito” per evitare, come si legge nella relazione di accompagnamento, “l’aura di negatività e discredito anche personale che storicamente quella parola accompagna” e porre il nostro ordinamento in linea con quelli di altri Paesi europei (ad esempio Francia, Germania e Spagna).
In più di un punto la riforma predisposta dalla commissione Rordorf rafforza le innovazioni introdotte dalla “Miniriforma” sopra riportate, come nel caso degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari, il cui utilizzo viene esteso anche a creditori diversi da quelli finanziari, purché portatori di interessi omogenei.

La commissione introduce alcune novità per tener conto dell’internazionalizzazione delle imprese, affrontando ad esempio il tema dell’insolvenza dei Gruppi, ad oggi non disciplinato dalla normativa vigente, ma prevista a livello europeo, con il recente Regolamento UE 1514/2015 sull’insolvenza transfrontaliera. A questo scopo vengono proposte disposizioni volte a consentire lo svolgimento di una procedura unitaria con possibilmente un unico Tribunale competente e quindi con un unico ricorso, che potrebbe riguardare sia l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti dell’intero Gruppo, sia l’ammissione di tutte le imprese alla procedura di concordato preventivo.

Si cerca inoltre di anticipare le misure di salvataggio introducendo una fase preventiva di “allerta” e composizione stragiudiziale della crisi poiché la tempestività dell’intervento risanatore è fondamentale per il successo della risoluzione della crisi rispetto ad una misura “liquidatoria ex post”. Infatti viene proposto un sistema che, attraverso il riconoscimento di benefici e di procedure sanzionatorie, prova ad anticipare la messa in luce delle difficoltà d’impresa: gli organi di controllo (sindaci e/o revisori), in caso di inerzia degli amministratori in precedenza sollecitati, potranno rivolgersi agli organismi di composizione della crisi istituiti dalla legge sul sovraindebitamento del consumatore o del piccolo imprenditore sotto le soglie di fallibilità indirizzando loro le segnalazioni ed allarmi. Tali organismi possono essere costituiti da enti pubblici o professionisti, e sempre a tali organismi si potranno rivolgere anche i creditori istituzionali (come fisco ed enti previdenziali) per segnalare quando i loro crediti abbiano superato predeterminati livelli di guardia, sempre in caso di inerzia degli amministratori sollecitati; si è inoltre individuato un “gestore della crisi” che dovrà mediare tra società e creditori entro un certo termine.
Questa procedura di allerta e mediazione potrà godere di misure protettive che salvaguardino la società da eventuali misure cautelari da parte dei creditori e, in caso di irreversibilità della crisi, potrà chiudersi con una delle procedure sopra considerate.

Infine, altro elemento cardine per il raggiungimento di un efficiente gestione delle procedure concorsuali è l’introduzione di un giudice specializzato: la proposta è di ripartire tra i tribunali delle imprese le procedure di maggiori dimensioni, tra i tribunali ordinari le crisi da sovraindebitamento, e di concentrare su un numero ridotto di tribunali le altre tipologie di procedure.

Considerazioni finali

La commissione Rordorf, citando uno studio dell’Università di Bologna secondo il quale l’87% delle imprese coinvolte in procedure concorsuali dinanzi agli uffici giudiziari erano insolventi già da tre anni, sottolinea che “emerge un quadro allarmante sull’incapacità delle imprese italiane, per lo più di piccole o medie dimensioni, di promuovere autonomamente processi di ristrutturazione precoce per una serie di fattori che ne riducono la competitività (sottodimensionamento, capitalismo a conduzione familiare, personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, debolezza degli assetti di corporate governance)”.

Lo sforzo del legislatore in materia è pertanto lodevole e pienamente condivisibile. Come “operatore” del settore devo peraltro constatare che la “Miniriforma”, pur essendo in vigore dall’agosto scorso e malgrado il periodo ancora di crisi del sistema industriale italiano, ancora non trova in concreto piena applicazione. A maggior ragione la preoccupazione principale sull’impatto del testo della commissione Rordorf è rappresentato dalle tempistiche di approvazione e conversione in legge e dalle modalità di implementazione: quanto sarà facile ad esempio costituire gli organismi di composizione delle crisi? Da chi saranno composti? Esisteranno albi professionali? E’ fondamentale per l’industria nazionale, prevalentemente piccola e medio-piccola che il meccanismo sia reso efficace in tempo utile per consentire alle imprese in crisi di superare il tunnel prima che sia troppo tardi e farsi trovare pronte al ciclo di ripresa che inevitabilmente arriverà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Venceslao Stevens, laureato in Giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli e LL.M. alla Harvard Law School, ha avuto una ricca esperienza professionale in Italia, negli USA ed in Gran Bretagna presso società finanziarie e bancarie di primo piano. Dal 2014 è membro del Comitato di Sorveglianza, nominato da Bankitalia, della EST Capital SGR, società di gestione di Fondi chiusi Immobiliari (in amministrazione straordinaria) e Senior Advisor di Global Strategy, società di consulenza strategica e manageriale alle imprese italiane. E’ Associato di Nedcommunity. ().


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