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Investitori finanziari e amministratori indipendenti

La crisi finanziaria ha messo in evidenza le falle nella governance e nel risk management delle grandi banche. Nel Regno Unito la Commissione presieduta da Sir David Walker ha condotto una revisione della governance delle banche e delle istituzione

Nota editoriale

Nel quadro del dialogo promosso da “La Voce degli Indipendenti” con i lettori, e in particolare con gli Associati Ned, siamo lieti di ospitare questo contributo dell’associata Daniela Carosio che intende così sviluppare nell’ambito della Comunità un dibattito sul tema seguente.

La crisi finanziaria ha messo in evidenza le falle nella governance e nel risk management delle grandi banche. Nel Regno Unito la Commissione presieduta da Sir David Walker ha condotto una revisione della governance delle banche e delle istituzione finanziarie e ha prodotto una serie di raccomandazioni sulle politiche di remunerazione, la composizione, il mix di competenze e indipendenza dei consiglieri e il ruolo degli investitori istituzionali nel monitorare attivamente i consigli ed avere un dialogo attivo con gli stessi. Il Financial Stability Board, istituito nel 2009 dal G20 al Summit di Pittsburgh, insiste sulla stessa raccomandazione. Ancor prima, i Principles for Responsible Investment (PRI) promossi dalla UNEP FI nel 2006, prima della crisi finanziaria, insistono sulla integrazione dei fattori ESG (Environment, Social, Governance) negli investimenti e sul collaborative engagement degli investitori istituzionali.

Il rinvio al Walker Report, FSB e ai PRI mi sembra utile per introdurre il tema del rapporto tra investitori finanziari e amministratori indipendenti. Tanto più che gli amministratori indipendenti, tra i quali molti soci di Ned Community, si interrogano sul corretto dialogo da tenere con gli investitori istituzionali. Tale domanda è stata anche il filo conduttore dell’incontro annuale degli amministratori di minoranza organizzato da Assogestioni lo scorso 11 marzo dal titolo “Investitori Istituzionali attivi o attivisti. Dialogo sulla “stewardship“. Il tema è stato ancora prima trattato in occasione del decennale di Ned Community il 6 maggio 2014 nell’ambito della tavola rotonda dal titolo “Amministratori indipendenti: quale dialogo con gli investitori istituzionali”, di cui sono stata tra i promotori insieme al socio Enor Signorotto.

L’ Italian Stewardship Code
Il tema è diventato di attualità in Italia dopo l’introduzione, a fine 2013, del cosiddetto Italian Stewardship Code, promosso da Assogestioni per le società di gestione risparmio (SGR) aderenti. I Principi di Stewardship che sono stati adottati dal Consiglio Direttivo di Assogestioni, riprendono quelli dell’EFAMA Code for External Governance, approvato nel 2011 dall’European Fund and Asset Management Association, di cui fa parte anche Assogestioni.

In Italia il tema della stewardship1 e del dialogo tra investitori istituzionali ed emittenti rappresenta un elemento di novità, mentre nel mondo anglosassone e soprattutto nel Nord Europa è, invece, già sviluppato da tempo. Il più avanzato dei Codici di Stewardship per articolazione ed estensione delle raccomandazioni e delle fattispecie è il UK Stewardship Code, pubblicato dal Financial Reporting Council nel 2010 (dopo il Walker Report), ma presente nel Combined Code del 2000 con una sezione apposita, rivolta agli investitori istituzionali nel Regno Unito e preparata dalle rivisitazioni condotte da Paul Myners sul ruolo degli investitori istituzionali. Il Regno Unito punta sulla riforma della governance per assicurare la continuità della propria leadership nei mercati finanziari, di fronte all’aumentata competizione di altri centri finanziari. Diversamente dai Principi di Stewardship di Assogestioni, lo UK Stewardship Code è rivolto non solo agli asset managers, ma anche agli asset owners, titolari di doveri fiduciari, in primis i fondi pensione, le società di assicurazione, le fondazioni, gli endownments, ecc.

La novità per l’Italia è data dall’affermazione che la buona governance e la buona performance degli emittenti dipendono dalla qualità del dialogo con gli investitori istituzionali. Questo nella convinzione che “il ruolo svolto dagli investitori istituzionali, dai gestori e dai rispettivi advisors è fondamentale nella dialettica interna alle società quotate italiane2. Finora, a livello nazionale, il discorso sulla buona governance è stato incentrato sui pesi e contrappesi interni alle società emittenti. Ora, invece, con le attività di stewardship, l’accento viene posto sui doveri fiduciari che gli investitori istituzionali hanno nei confronti dei loro beneficiari, di tutelare e gestire i beni patrimoniali investiti nel loro interesse, attraverso attività di dialogo (engagement). Dunque, ora nel discorso sulla buona governance diventa fondamentale l’apporto dialogico degli investitori finanziari che monitorano i loro investimenti in maniera più efficace, attraverso attività di dialogo (engagement) con le società emittenti quotate.

Le attività di voto ed engagement sono complesse ed onerose e non possono essere improvvisate. Grazie all’esperienza professionale maturata lavorando in tali attività con gli investitori finanziari all’estero ritengo che, in mancanza di un investimento strategico dei singoli e di sistema anche da parte dei regulators, l’espletamento dei doveri fiduciari e l’approccio dialogico tipico della stewardship possano fare fatica a decollare in Italia per ragioni molteplici, tra le quali vi sono gli assetti proprietari molto interconnessi dei principali gruppi finanziari e dei principali emittenti, la scarsa indipendenza delle SGR dai gruppi bancari di controllo, la debolezza e frantumazione dei fondi pensione negoziali, la scarsa tradizione di cultura finanziaria e una certa vischiosità del nostro sistema finanziario che lo rende piuttosto passivo a innovazioni e cambiamenti di sostanza e in balia delle mode o succube dei potenti di turno. In particolare il mercato non può funzionare bene in presenza di posizioni dominanti sclerotizzate e di forti asimmetrie informative. Se la buona governance trova terreno fertile nel dialogo all’interno del consiglio, tra gli organi societari e nel dialogo con gli investitori istituzionali, in primis nelle public companies, un investimento più deciso e meno timido in questa direzione andrebbe fatto dagli investitori istituzionali italiani ed incoraggiato dai regulators. Un investimento in questa direzione potrebbe avvicinare alle nostre imprese quegli investitori istituzionali con un profilo di investimento di medio-lungo termine e attenti alle best practice, i cui capitali sono necessari per finanziare una crescita sana di medio-lungo termine.

Quale dialogo tra amministratori indipendenti ed investitori istituzionali?
Per ritornare alla domanda iniziale su quale dialogo dovrebbe esserci tra amministratori indipendenti e investitori istituzionali, la mia risposta è che entrambi sono parte della risposta agli squilibri che hanno generato la crisi finanziaria. Di fatto, però, in conseguenza dell‘introduzione del Codice di stewardship, nella forma non cambia niente per gli amministratori indipendenti. Il dialogo non li riguarda direttamente. Nella sostanza però l’amministratore indipendente deve prendere consapevolezza delle dinamiche degli investitori istituzionali globali e trasferire questa visione all’interno del CdA. Quindi, di fatto, il compito dell’amministratore indipendente diventa più complesso. Per dare un apporto costruttivo ed utile al CdA, l’amministratore indipendente deve conoscere come funzionano i mercati finanziari internazionali e i doveri di stewardship che in maniera crescente gli investitori istituzionali sono chiamati a svolgere. La società quotata ha bisogno di intercettare capitali di investitori istituzionali soprattutto di medio-lungo termine, capaci di sostenere l’azienda nei suoi piani di investimento e di sviluppo. Andrebbe seriamente ripensata la composizione e l’impostazione molto provinciale di alcuni CdA. Altrimenti, il prezzo è quello che paghiamo da oltre vent’anni: la perdita di competitività delle nostre aziende, la de-industrializzazione, l’high leverage e finanziarizzazione, l’incapacità di pensare in termini strategici globali e i pochi investimenti in innovazione e sviluppo di nuove tecnologie. All’estero si sostiene che una buona stewardship da parte degli investitori crea meno sorprese negative. L’Italia ha una grande tradizione di risparmio gestito, non è chiaro però come questo risparmio abbia rafforzato la sostenibilità di medio-lungo termine dei nostri emittenti. Per lo più ha sostenuto la crescita di altre aree geografiche.

Nella forma e nella sostanza, invece, le SGR italiane sono chiamate ad un dialogo attivo con le società quotate, in primis con quelle nazionali, soprattutto in termini di engagement ed esercizio attivo dei diritti di voto. La timidezza delle SGR italiane, soprattutto di quelle controllate dalle Banche, non è un elemento a favore del dialogo. D’altro canto, se non si irrobustisce il dialogo nazionale, si impoverisce la governance locale e la si lascia anche allo sbaraglio degli hedge funds ‘attivisti’, che per ora sono concentrati sui mercati Nord Americani, ma esaurite le cartucce sul mercato Nord americano potrebbero ben presto sbarcare su quello europeo e iniziare nelle parti più deboli del continente.

Le controparti principali del dialogo presso gli emittenti quotati restano, certo, gli amministratori con deleghe esecutive, in primis, il CEO o il CFO/Investor Relations e talora il Presidente. Tra investitori ed emittenti quotati vi sono appuntamenti scadenzati in calendario come la presentazione delle trimestrali, della semestrale e del bilancio annuale, i road shows nelle principali piazze finanziarie e le assemblee degli azionisti. L’engagement e il voto sono un completamento e rappresentano spesso una sorta di reality check. L’amministratore indipendente ha il compito di essere un contrappeso importante nel CdA e di essere in grado di portare nel CdA anche competenze sui mercati finanziari internazionali, se non per esperienza diretta, per formazione.

Un esempio virtuoso di dialogo con gli emittenti, di cui giustamente va fiera Assogestioni, sono le candidature di consiglieri indipendenti mediante il voto di lista presentate dal Comitato Gestori. In Italia il voto di lista, introdotto nel 1996 dal Tesoro con la legge sulla privatizzazioni, proprio per attrarre capitali internazionali nelle ex partecipate statali (ENI, ENEL, Finmeccanica, Telecom), consente agli investitori istituzionali di presentare direttamente una lista di amministratori indipendenti***3 . Il Comitato dei Gestori di Assogestioni negli ultimi anni ha esteso l’attività di presentazione delle liste non solo alle Blue Chips, ma anche alle Mid Caps. Se il candidato delle liste di minoranza viene eletto, diventa un consigliere come tutti gli altri con il compito di esercitare un ruolo attivo e utile al Consiglio, certo sensibile al rispetto dei diritti delle minoranze, ma non portatore di interessi di parte. Questo ne comprometterebbe l’indipendenza, che spesso, si sottolinea, risiede nel carattere: c’è o non c’è. Il contorno però fa la differenza. Comunque, l’avere superato un attento processo di selezione, sul quale ha insistito negli ultimi anni il Comitato dei Gestori e il Comitato di Corporate Governance di Assogestioni, è un importante elemento di best practice nazionale. Così come un altro elemento positivo è stata la capacità di riuscire a coinvolgere nella presentazione dei candidati delle liste di minoranza altri investitori istituzionali esteri (PGGM, Railpen, BlackRock, ecc.), impostando per il voto di lista attività definite di collaborative engagement4 .

I Principi di Stewardship e i temi di dialogo con le quotate
I principi di stewardship elencati nei Codici di EFAMA e di Assogestioni sono sei e raccomandano le seguenti best practice: 1) l’adozione di politiche di voto e dialogo sugli investimenti; 2) il monitoraggio degli investimenti; 3) l’adozione di linee guida circa i tempi e le modalità di dialogo; 4) la collaborazione con altri investitori; 5) l’esercizio dei diritti di voto; 6) la rendicontazione dell’esercizio dei diritti di voto e di engagement inerenti le attività gestite.

I principali temi oggetto dell’attività di dialogo con le società quotate sono quattro: 1) la strategia e le performance; 2) la governance (nomina, successione e remunerazione del CdA); 3) l’approccio alla responsabilità sociale d’impresa e 4) la gestione dei rischi.

Negli ultimi anni con l’introduzione in alcune giurisdizioni del voto consultivo sulle remunerazioni (say on pay) e in altre del voto vincolante, gli investitori istituzionali hanno aumentato le attività di voto ed engagement con gli emittenti sulle politiche di remunerazioni e si è diffusa la pratica di astensione o voto negativo.

Un esempio di engagement sui temi dell’ambiente sono le iniziative sulla riduzione delle emissioni di CO2, alcune culminate con il disinvestimento dai combustibili fossili (fossil fuel divestment) da parte di fondi pensione e fondazioni australiane, americane ed inglesi. Sul tema si sono mosse anche realtà istituzionali che sul petrolio hanno fatto la loro fortuna, come la Rockfeller Foundation ed il Fondo Pensione Norvegese.

La mozione presentata all’assemblea di BP del 16/4/2015 da una coalizione di Fondi Pensione inglesi e dalla Chiesa Inglese in merito alla riduzione delle emissioni di CO2 per ridurre il cambiamento climatico è stata accolta favorevolmente dal Board di BP e approvata dal voto favorevole del 98,28% degli azionisti presenti in assemblea. La stessa mozione è stata presentata per l’assemblea di Shell (prevista per il 19/05) e accolta favorevolmente dal Board di Shell.

Un esempio di engagement sui temi sociali è il dialogo sulla salute e sicurezza in Bangladesh che coinvolge le multinazionali dell’industria tessile e della grande distribuzione (H&M, Zara, Benetton, Walmart, Adidas, ecc.) che fanno produrre i propri prodotti con marchio da fornitori locali, dopo che negli ultimi anni si sono sviluppati frequenti incidenti sul lavoro, culminati con l’incendio della fabbrica di Tezreen e il crollo del Rana Plaza.

Il dialogo per il miglioramento della corporate governance può essere anche condotto con il Governo. Un esempio è la lettera inviata al Ministero del Tesoro da 19 investitori esteri e firmata anche da accademici, società di consulenza e amministratori, soci di Ned, che chiedeva di non estendere la proroga del termine per l’introduzione di azioni a voto plurimo e maggioritario nelle società quotate per approvare le relative modifiche statutarie a maggioranza semplice e non dei due terzi, scaduto il 31 gennaio 2015. Il 5 febbraio 2015 il Ministro Padoan ha accolto la richiesta degli investitori5.

Sempre contro l’introduzione del voto multiplo per gli azionisti con azioni registrate per oltre due anni è in corso un dialogo, guidato dall’investitore francese PhiTrust, e supportato da altri 19 investitori inglesi, tedeschi e svizzeri con attività gestite per complessive € 2.300 miliardi, che chiede alle società francesi quotate di non introdurre la Legge Florange sul voto multiplo a partire dal 2016.

Il panorama si complica quando entrano in scena gli Hedge Funds attivisti, che stanno pesantemente condizionando la vita corporate delle società quotate negli Stati Uniti. La loro ottica è di estrarre valore dalle società nelle quali investono nel breve termine e non hanno una delega fiduciaria. La maggior parte però dei loro investitori sono investitori istituzionali con una delega fiduciaria.

Conclusioni
Per concludere, mi sembra utile fornire delle cifra: gli investitori istituzionali attivi sono soprattutto quelli che hanno sottoscritto i “Principles for Responsible Investment” sponsorizzati dalle Nazioni Unite e che hanno attività gestite per complessivi US$ 45.000 miliardi; i fondi attivisti sono per lo più basati negli Stati Uniti e hanno attività gestite per complessivi US$ 120 miliardi.

In proposito, vorrei segnalare alla Comunità Ned che, da parte mia, sto lanciando una realtà imprenditoriale di advisory, “Sustainable Value Investors (SVI)” per offrire servizi di voto ed engagement in collaborazione con il global proxy advisor Manifest e RepRisk, società leader nell’analisi del rischio reputazionale ESG, e attività di formazione per i Board degli emittenti.

1 L’etimologia del termine deriva da stig (house, hall) and weard, (ward, guard, guardian, keeper) e il termine di stewardship riferito agli investitori istituzionali mette in evidenza la buona gestione dei beni affidati loro dai beneficiari, così come un buon amministratore di famiglia gestirebbe i beni della casa (Fonte: Oxford Dictionary).
2 Cfr. Assogestioni: http://www.assogestioni.it/index.cfm/1,815,0,49,html/principi-italiani-di-stewardship
3 Un sistema analogo al voto di lista (Proxy Access) è stato proposto negli ultimi anni nelle assemblee delle società quotate negli Stati Uniti.
4 Con il termine si intende la collaborazione organizzata di diversi investitori istituzionali nel dialogo con gli emittenti.
5 http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0075.html

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Daniela Carosio, Senior Partner, Sustainable Value Investors ([email protected])


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