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Il ruolo degli Investitori Istituzionali nelle Public Companies

Nel numero scorso della rivista, Francesco Taranto è intervenuto con un interessante articolo intitolato "Public Companies: il ruolo degli investitori istituzionali in Italia", nel quale evidenzia la crescita del peso degli istituzionali in assemblea

Proposte di miglioramenti

Nel numero scorso della rivista, Francesco Taranto è intervenuto con un interessante articolo intitolato “Public Companies: il ruolo degli investitori istituzionali in Italia“, nel quale evidenzia la crescita del peso degli istituzionali in assemblea (caso estremo: Telecom) e indica l’opportunità che questa crescita si traduca in una migliore governance delle nostre imprese. Miglior governance che Taranto raccomanda di perseguire non tanto attraverso un aumento quantitativo del ruolo degli istituzionali, “proporzionale al loro peso accresciuto” (il che comporterebbe un mutamento radicale di questo ruolo che sarebbe cosa inopportuna e comunque non consentita dalla regolamentazione), quanto piuttosto attraverso un aumento “qualitativo” del loro ruolo, da conseguirsi con l’introduzione di miglioramenti alla governance attuale.
Sul tema dei miglioramenti Taranto avanza alcune proposte che mi paiono interessanti ed ampiamente condivisibili: l’inserimento negli Statuti della possibilità per i CdA di presentare proprie liste, la riduzione della quota di partecipazione azionaria necessaria per la presentazione di liste di minoranza, il limite di tre mandati per gli amministratori non esecutivi, lo ‘staggered Board‘ e la valutazione consuntiva dell’attività svolta dai singoli consiglieri.
Non sono proposte di miglioramento applicabili solo alle grandi società ad azionariato diffuso, anzi: Taranto sottolinea come “gli effetti positivi sulla governance societaria si possono ottenere anche senza public companies di tipo anglosassone… L’importante è utilizzare meglio i criteri esistenti.” E tutto ciò non può che favorire la presenza sempre più attiva degli istituzionali – presenza che, dopo la recentissima introduzione del “voto maggiorato”, credo sia ulteriormente auspicabile al fine di rafforzare i presidi di controllo del governo societario.

Le liste dei CdA

Fra le proposte di Taranto, vorrei riallacciarmi a quella di inserire negli Statuti la possibilità per i CdA di presentare proprie liste. Mi sembra molto interessante ed anche molto impegnativa, perché richiede di porre in essere efficaci salvaguardie per mitigare i rischi di conflitti d’interesse che possono prodursi: lo stesso Taranto lo sottolinea chiaramente, prevedendo un forte Comitato Nomine in cui vi sia una rappresentanza significativa di amministratori indipendenti di minoranza. A questo io aggiungerei anche un Comitato Remunerazione forte e densamente popolato da amministratori indipendenti di minoranza: infatti questo è un altro organo che assumerebbe rilevanza ancora più alta del normale, nel caso in cui la lista di maggioranza fosse presentata dal CdA stesso. Infine: in questo ed anche in tutti gli altri casi ‘normali’ in cui esiste un azionista di riferimento che esprime la lista di maggioranza, servirebbe sempre e comunque anche un Comitato Controllo e Rischi forte – cosa che, ancora una volta, sarebbe favorita da un’ampia presenza di amministratori indipendenti di minoranza.

Più indipendenti nei Comitati?

Comitato Nomine, Comitato Remunerazione e Comitato Controllo e Rischi… La precedente riflessione suggerisce l’idea che la governance societaria generalmente migliorerebbe aumentando il numero degli indipendenti di minoranza collocati nei diversi Comitati. Qui ci si scontra subito con un ostacolo: oggi il numero di indipendenti di minoranza presenti in un Board è basso, almeno nella gran parte dei casi. Persino in una società come Prysmian, che rappresenta un’autentica public company, la quota riservata ai consiglieri indipendenti di minoranza è di appena un sesto dei posti nel Board: è sufficiente? Basta, per ‘popolare’ con incisività – auspicabilmente: con la maggioranza assoluta – i Comitati? All’estremo opposto del modello di public company, poi, si trovano esempi di società a controllo familiare il cui Statuto prevede un ampio numero di consiglieri ma soltanto uno di loro rappresenta la lista di minoranza… Ed uno solo rischia di essere troppo poco per assicurare un’azione veramente efficace: credo che dovrebbero essercene sempre almeno due. In definitiva: i Comitati beneficerebbero di una maggior presenza di consiglieri indipendenti di minoranza ma… nel Board non ce ne sono a sufficienza.

Il voto di lista

Introdotto nel 1994 per specifici casi e ripreso in modo sistematico nel 2005, il voto di lista ha dato in tutti questi anni ottima prova di sé e ha dimostrato di contribuire positivamente alla qualità della governance; forse i tempi sono maturi per avviare un dibattito su come si possa progredire ulteriormente: per esempio introducendo criteri tali da far sì che, a mano a mano che aumenta il peso del capitale detenuto dagli istituzionali, aumenti anche la presenza numerica dei consiglieri indipendenti di minoranza.
D’altra parte, dopo la recente e fulminea introduzione del “voto maggiorato” forse questo potrebbe essere il momento opportuno per avviare la discussione: incrementare la presenza dei consiglieri indipendenti di minoranza controbilancerebbe in modo costruttivo il “voto maggiorato”… e darebbe anche un adeguato riscontro alla crescita del capitale detenuto dagli investitori istituzionali – una crescita strutturale, comunque destinata a continuare.

La valutazione dell’attività dei consiglieri

Vorrei infine riallacciarmi all’ultima delle proposte avanzate da Taranto, che a me pare di estrema rilevanza: quella sulla valutazione consuntiva dell’attività svolta dai singoli consiglieri. Pur conscio delle difficoltà di ordine pratico che tale valutazione comporta, Taranto la ritiene “…essenziale per verificare l’opportunità di rinnovare una candidatura alla scadenza naturale triennale.” Credo che questo suo giudizio debba essere pienamente condiviso: un efficace meccanismo di feedback irrobustisce il processo di nomina e ne riduce i rischi di errore – un errore che va in tutti i modi evitato, perché le sue conseguenze non solo possono essere gravi ma sono anche protratte nel tempo – essendo impossibile correggere l’errore commesso finché il mandato non è giunto alla sua scadenza naturale.

Il tema è vasto e complesso ma credo che un primo contributo nella direzione indicata da Taranto potrebbe arrivare dal rafforzamento dell’attività di Board Evaluation. Essa dovrebbe rappresentare uno dei momenti fondamentali dell’attività consiliare ma temo che in pratica non sia sempre così; forse non si sbaglia di molto assumendo che in molte realtà l’attività di Board Evaluation vada rafforzata; vero ciò, è auspicabile accelerare questo processo di rafforzamento. Come? Su questa materia, come sappiamo, NedCommunity si è già espressa efficacemente nel 2008 con un dettagliato documento, in cui fra l’altro si raccomanda che “…il processo istruttorio all’autovalutazione, sempreché non affidato in outsourcing a consulenti esterni, sia effettuato da un Comitato formato in maggioranza da amministratori indipendenti…”.

Forse questa indicazione potrebbe essere ulteriormente accentuata, raccomandando che la maggioranza assoluta del Comitato sia costituita da amministratori indipendenti della lista di minoranza. Potrebbe essere un’ulteriore opportunità di miglioramento della governance societaria, realizzata facendo crescere il ruolo degli investitori istituzionali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Guido Guzzetti, Associato NedCommunity, è stato consigliere indipendente in Astaldi S.p.A e membro del suo Comitato Controllo & Rischi; ha lavorato per 24 anni in società del settore finanziario, acquisendo anche esperienze di Risk Management nei diversi processi aziendali; svolge attività di consulenza e ricerca in campo finanziario. Da maggio ’14 è consigliere SAIPEM e membro del suo Comitato Controllo & Rischi ([email protected]).


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