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Il ritorno dell’inflazione. Vero o falso rischio?

L’aumento dei prezzi sembrava un fenomeno ormai archiviato e invece eccolo riemergere dalle nebbie del passato. Come le aziende devono affrontare questo “antico” problema? Il ruolo della governance per affrontare al meglio la sfida

Getty Images

Un fenomeno ormai globale che rievoca ataviche paure, soprattutto nel Vecchio Continente. Quando si parla di inflazione, ovvero di aumento dei prezzi al consumo, il pensiero non può che andare alla Repubblica di Weimar quando la Germania uscita sconfitta dalla Grande Guerra dovette far fronte a una fiammata dei prezzi tale e a una perdita del potere d’acquisto della moneta che per pagare un chilo di pane, nel 1923, erano necessari quasi 400 miliardi di marchi.

Ovviamente oggi non siamo a quei livelli ma il fenomeno è monitorato dalle banche centrali di tutto il mondo fin dalla metà dell’anno scorso. Negli Usa l’inflazione ha toccato a dicembre del 2021 il 7% su base annua, il dato più alto da 31 anni, mentre nella Zona euro si è registrato un aumento del 5%, il valore più alto da quando esiste la moneta unica. Livelli da record anche in Gran Bretagna dove l’inflazione nel mese di novembre ha raggiunto il 5,4%. In generale, però, si tratta di un evento globale. Nessuno sembra essere al sicuro dall’erosione del potere d’acquisto, neanche un popolo di risparmiatori come quello italiano. Si pensi che secondo dati della Banca d’Italia sui conti correnti delle famiglie ci sono giacenze liquide superiori ai 1.800 miliardi di euro, pari circa al Pil del Paese. Ipotizzando per il 2022 un’inflazione di circa il 3% si avrebbe in un anno un’erosione di circa 55 miliardi.

I prezzi a ben guardare non stanno aumentando in tutti i settori: in Europa, per esempio, l’inflazione è spinta quasi esclusivamente dall’aumento dei prezzi dell’energia, mentre negli Stati Uniti in particolare dall’aumento del prezzo dei carburanti e delle auto usate. A prescindere da queste considerazioni, però, la domanda principale riguarda l’impatto di questo fenomeno sul mondo delle imprese chiamate a produrre beni e servizi e quindi ricchezza. Un altro quesito riguarda anche il ruolo che una buona governance può giocare nella sua gestione.

La sfida per imprese e governance

Secondo Monica Defend, Global Head of Research di Amundi “crediamo vi sia uno scarto temporale tra gli operatori del mercato e la catena del valore industriale reale; mentre i primi si adattano rapidamente e credono che la produzione si adegui quasi immediatamente ai nuovi prezzi degli input, accettando l’inflazione e gli aggiustamenti effettivi alla catena del valore industriale reale, quest’ultima impiega più tempo ad adattarsi e a integrarsi nella nuova dinamica”.  Una vera sfida per la catena decisionale di un’impresa che mette a dura prova in particolare i livelli più alti. “Dopo 15 anni in cui hanno dovuto misurarsi con le forze deflazionistiche, i CEO/i CFO devono far fronte a un contesto in cui si trovano a contrattare e rinegoziare nei gli aumenti dei prezzi per il 2022 nei loro budget (cambiamento di mentalità). Finora, le evidenze in nostro possesso dimostrano che il fenomeno della rilocalizzazione e degli aggiustamenti sul breve termine delle filiere di approvvigionamento (per esempio la rilocalizzazione della produzione di sneaker dal Vietnam e dall’Indonesia) è sfuggente”. 

Un pericolo da monitorare

Una situazione in continuo mutamento quindi che deve essere tenuta in debita considerazione anche dai board delle aziende. Secondo Paola Schwizer, past president di Nedcommunity: “Il rischio inflazione è uno di quelli più tradizionali, e ci si aspetta dunque che esso sia già considerato e monitorato nell’ambito dei sistemi di risk governance delle imprese. Il fatto che per lungo tempo esso sia apparso come non rilevante non ne giustifica l’esclusione dalla ‘mappa dei rischi’. Le spinte inflazionistiche colpiscono in modo diverso i bilanci delle imprese, a seconda del peso relativo di attività finanziarie (meno protette) e non finanziarie (più favorite), del grado di indebitamento, della capacità di trasferire l’aumento dei prezzi delle materie prime su quelli dei prodotti finali, della correlazione del settore con il ciclo economico, e di molti altri fattori. Certo, è auspicabile, e atteso, che questo aumento dei prezzi sia riassorbito nel breve termine, sia per un riallineamento tra domanda e offerta di beni e servizi sia per interventi di politica monetaria tesi a ricondurre il tasso d’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Non si tratta dunque di un fenomeno drammatico, almeno per il momento, ma certamente di un profilo di rischio che il board – e in particolare il comitato rischi – deve analizzare in modo approfondito e valutare in termini di impatto di breve e di lungo termine, al fine di indirizzare per tempo le eventuali azioni correttive”.

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