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Il recepimento della CSRD entra nella fase finale

La consultazione sullo schema di decreto legislativo che costituirà nei prossimi anni il concreto parametro normativo per le imprese si è conclusa il 18 marzo. Ecco i principali temi sul tavolo

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Sull’impatto della direttiva (UE) 2022/2464 Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) i commenti e le indicazioni non sono mancati. Del resto, la direttiva imprime un impulso straordinario al percorso delle imprese verso il rispetto dei principi ESG e, in particolare, verso la finanza sostenibile. L’attenzione va ora rivolta al decreto di recepimento che costituirà nei prossimi anni il concreto parametro normativo per le imprese. E i tempi sono anche contenuti dato che la CSRD va recepita nell’ordinamento entro il 6 luglio 2024.

In questi giorni l’iter legislativo ha avuto un’accelerazione. È stata approvata la legge 21 febbraio 2024, n. 15 di delega al Governo per il recepimento delle direttive europee che, all’art. 13, indica i principi e i criteri direttivi relativi alla CSRD. Nel frattempo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è, come si suole dire, portato avanti con il lavoro avviando la consultazione pubblica dello schema di decreto delegato e fissando al 18 marzo la scadenza per presentare osservazioni e commenti. Siamo ancora nella fase preparatoria della normativa, ma considerato l‘impegnativo lavoro che sarà necessario per attuarla, specie per le imprese di grandi dimensioni tenute alla rendicontazione dall’esercizio 2024, si può già iniziare a passare in rassegna i temi principali e le prospettive che il MEF ha indicato.

Il ruolo della Consob e gli esoneri

La prima questione riguarda la vigilanza della Consob che è prevista solo per le società quotate e non riguarderebbe, quindi, le grandi imprese non quotate e le banche e le imprese di assicurazioni non quotate sulle cui rendicontazioni non finanziarie (DNF) al momento la Commissione vigila in base al d.lgs. 254/2016. In tale quadro asimmetrico, le PMI finirebbero per restare prive del supporto di una autorità amministrativa su come realizzare la rendicontazione (mentre sarebbero sottoposte ad un serio regime sanzionatorio).

Sono poi previsti due esoneri. Il primo riguarda la Banca d’Italia ed appare, da un lato, non necessario, in quanto la CSRD verosimilmente non la ricomprende, e, dall’altro, fuorviante in quanto la banca centrale certo non si sottrae alla disclosure, pubblicando già un rapporto ambientale e un rapporto sulla finanza sostenibile. Il secondo esonero risulta quantomeno ingiustificato ed è relativo alla Cassa Depositi e Prestiti che invece in quanto impresa è sicuramente soggetta alla direttiva.

Riprendendo la CSRD l’obbligo di rendicontazione prevede un’apposita sezione della relazione sulla gestione contenente le informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione.

Sulla facoltà di omettere informazioni commerciali protette da segreto lo schema, opportunamente, conferma il criterio restrittivo della direttiva (solo casi eccezionali, operazioni in corso di negoziazione, rischio grave per la posizione commerciale). Appare invece forse troppo generica la previsione di una la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori “al livello appropriato”.

Revisori abilitati

Molto rilevante e dettagliata è la parte relativa ai professionisti abilitati all’attestazione di conformità della RDS. La scelta è quella di prevedere un’abilitazione “di secondo grado” per i revisori dei conti; una norma transitoria consente il rilascio delle attestazioni fino al 31 dicembre 2026 (con una sorta di iscrizione provvisoria presso il MEF) in modo più diffuso agli iscritti al registro della revisione legale dei conti. Il revisore della rendicontazione di sostenibilità potrà essere lo stesso incaricato della revisione legale del bilancio o uno diverso.

Ne discende l’estensione dei controlli della Consob e del regime sanzionatorio specifici per l’attività di revisione legale. Sono perciò necessarie numerose modifiche al d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati. Tra queste la precisazione del ruolo del “revisore responsabile della sostenibilità”, l’estensione delle regole ordinarie su conferimento, revoca e dimissione dall’incarico, risoluzione del contratto, nonché la disciplina sulla responsabilità nel caso di una attestazione su una rendicontazione consolidata. Quest’ultima prevede che, se il revisore della sostenibilità del gruppo non è nelle condizioni di svolgere le verifiche necessarie sul lavoro dei revisori di un paese terzo, deve informare tempestivamente l’autorità competente.

Lo schema sanzionatorio

Sulle sanzioni lo stesso MEF appare titubante. Da un lato, infatti, prospetta tra le norme l’estensione completa delle diverse fattispecie delle false comunicazioni per le società ordinarie e per quelle quotate e, dall’altro, riconosce nella nota sulla consultazione la necessità di una riflessione più approfondita per individuare le misure più adeguate, tenendo conto anche delle dimensioni delle imprese destinatarie.

Escludere del tutto una sanzione penale non sembrerebbe coerente con l’indicazione della stessa CSRD di considerare superata la qualificazione di informazioni “di carattere non finanziario” e neanche con il rischio del greenwashing nella finanza sostenibile e, in particolare, per i fondi aperti che promuovono caratteristiche ambientali o sociali o investimenti sostenibili. A ciò si aggiunga che le banche tutte (oltre ad essere tenute con le imprese di assicurazioni alla propria rendicontazione di sostenibilità) devono (in base alle linee guida dell’EBA, della BCE e della Banca d’Italia)  considerare i rischi climatici e ambientali, fisici e di transizione, nella valutazione del merito di credito della clientela. E la rendicontazione di sostenibilità dei clienti sarà ancora più determinante dal 2025 in applicazione della regolamentazione prudenziale ora in fase di revisione (Capital Requirements Regulation, CRR) che considera i fattori ambientali elementi chiave per valutare le garanzie e per gestire i rischi.

Per gli organi di vertice aziendali, anche tenendo conto che la loro responsabilità per la RDS si amplia coprendo dalla strategia ai processi aziendali, l’estensione in automatico delle figure di falso in bilancio appare comunque eccessiva. Ragionevolmente le differenze di fondo tra grandi e piccole e medie imprese suggeriscono di rendere applicabile alle PMI solo l’art. 2621 bis Codice civile (che reca una pena ridotta proprio per tener conto di natura e dimensioni della società) e l’art. 2621 alle altre. Resterebbe inoltre sempre valida la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 2621 ter). Per assicurare omogeneità di trattamento sanzionatorio, potrebbe poi essere esclusa l’applicazione del più pesante art.  2622 Codice civile, dato che alla RDS sono tenute non solo società quotate ma anche società che non lo sono.

Queste alcune osservazioni mentre l’iter legislativo è in corso. Ovviamente un’analisi più approfondita dovrà esservi una volta che il testo sarà definitivo, con lo scopo di favorire un avvio fluido dell’attuazione della disciplina sulla rendicontazione di sostenibilità.

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