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Il “buonsenso” americano nella C. G.

L’incipit alla pubblicazione dei “COMMONSENSE PRINCIPLES OF CORPORATE GOVERNANCE” parrebbe essere stata la reazione del CEO di JP Morgan, Jamie Dimon, alla scarsa considerazione maturata dall’opinione pubblica verso le grandi società quotate, sia per la

di Roberto Cravero (*)

L’incipit alla pubblicazione dei “COMMONSENSE PRINCIPLES OF CORPORATE GOVERNANCE” parrebbe essere stata la reazione del CEO di JP Morgan, Jamie Dimon, alla scarsa considerazione maturata dall’opinione pubblica verso le grandi società quotate, sia per la diffidenza verso il loro management, sia per la complessità degli strumenti finanziari utilizzati, le cui regole fissate da esperti in materia sono spesso di non facile comprensione per i non addetti ai lavori.

Tale crescente idiosincrasia appare evidente dal seguente ranking, tratto da una recente survey fatta negli States, in cui si rileva che l’impopolarità verso dei colossi del business è a livelli superiori a quella verso la carta stampata. Tutto ciò produce una riduzione dei flussi di denaro verso le società quotate a beneficio delle imprese private, non quotate, con potenziali maggiori rischi di scarsa trasparenza e accountability.

Per cercare di porre rimedio a tale fenomeno, Dimon decide di convocare, in forma riservata, alcuni fra i più autorevoli operatori della finanza mondiale. Si presentano così al quartier generale di JP Morgan Chase in Park Avenue, NYC, Warren Buffett, Laurence D. Fink (Chairman di BlackRock, il più grande money manager al mondo, AUM $ 4tr), Abby Johnson (CEO di Fidelity, AUM $ 2 tr), Frederick William McNabb III (CEO di Vanguard, AUM $ 3 tr) oltre ai CEO di alcuni fra i maggiori colossi industriali, fra cui GE e GM. Dimon, dopo aver rivolto loro una provocatoria domanda ” se doveste ereditare la società che state oggi gestendo e scegliere un nuovo CEO, quali regole di governance stabilireste?” pone all’ordine del giorno il tema della ricerca delle modalità più efficaci per promuovere la diffusione di principi e suggerimenti che, oltre ad essere largamente condivisi e raccomandati, possano essere di facile comprensione e applicazione. L’obiettivo è quello di riconquistare la fiducia (e i flussi di denaro) degli investitori verso il mercato, arginando il fenomeno della contrazione delle società quotate americane – il cui numero si è ridotto di oltre il 50% dal 1996 al 2012 – e il crescente esodo di talenti che da tali società si rivolgono a realtà minori, non quotate.

Dopo un lavoro durato oltre un anno, nel quale si sono registrate posizioni divergenti e qualche abbandono (i CEOs di Fidelity e Wellington non risultano tra i firmatari), lo scorso 21 luglio viene resa pubblica una lettera, sottoscritta da tutti i partecipanti (www.governanceprinciples.org), contenente ben settantasette principi, denominati ” suggerimenti di buon senso nella corporate governance“. Non tutti, ovviamente, sono validi e applicabili nello stesso modo e ad ogni società.

Vediamo, in sintesi, alcuni degli aspetti più salienti.

I principi affrontano temi di grande rilievo nella CG e coprono otto diverse aree: (i) la composizione e il funzionamento del Consiglio di Amministrazione, (ii) la responsabilità degli amministratori, (iii) i diritti degli azionisti, (iv) la comunicazione dei dati economico-finanziari della società, (v) la leadership nei Consigli e il ruolo del Lead Independent Director, (vi) i Piani di successione, (vii) la rimunerazione del management e, last but not least, (viii) il ruolo assegnato ai gestori (o asset manager) nella governance societaria.

La parte più rilevante riguarda senza dubbio il ruolo degli amministratori, visto spesso come semplici “accompagnatori” del CEO, cui viene riservato a volte un rispetto quasi reverenziale. Fra le ragioni, la frequente incapacità dei consiglieri di esercitare un ruolo di contrapposizione dialettica con chi ricopre il ruolo di vertice per una minore competenza nel business. I principi ricordano ai consiglieri che il loro dovere di lealtà è verso gli azionisti e la società, non verso il CEO e/o il management.

Anche a motivo di ciò, il documento propone la nomina nei board di soggetti indipendenti, scelti dalla maggioranza degli azionisti (e non da pochi di essi) sulla base delle competenze e delle esperienze pregresse, per alcuni necessariamente maturate nel settore di business in cui opera la società. La composizione dei consigli andrà fatta selezionando un numero di amministratori sufficientemente ridotto per facilitare un confronto e un dialogo aperto e trasparente e, nel contempo, sufficientemente ampio per poter sviluppare virtuosi processi di analisi del business oltre a un’efficace gestione delle varie attività istituzionali, riservate ai vari comitati endoconsiliari.

L’adozione del “dual class voting” e delle connesse azioni a diritto privilegiato con pesi diversi fra gli azionisti viene considerata ” not a best practice“. Il loro utilizzo viene ammesso solo in contesti particolari e, in ogni caso, per definiti e ridotti spazi temporali.

Altro tema di rilevo, sul quale spesso si incontrano visioni diverse, è quello della durata in carica dei componenti i Consigli e della loro ” retirement age”. Qui il documento non prescrive nulla, ma suggerisce l’adozione di regole precise, anche sulla cessazione dall’incarico per il raggiungimento di età definite, raccomandando al contempo l’esplicitazione delle motivazioni poste alla base di una eventuale deroga. A margine di ciò viene ribadita l’importanza di una alternanza dei componenti nei board, per poter sempre coniugare il “fresh thinking” con l’esperienza e la tradizione.

Viene ribadito che uno dei principali compiti del consiglio è la valutazione periodica della performance del CEO, dovendosi attivare con rapidità ogni qualvolta le sue competenze o la sua compatibilità di ruolo vengano messe in discussione. Valutazione analoga andrà riservata al lead independent director, ruolo al quale i principi attribuiscono importanza fondamentale. Tale ruolo andrà affidato a soggetti con elevato standing, soprattutto nel caso di identità tra il CEO e il Chairman. Tale identità andrà valutata con attenzione dal Consiglio, rendendo pubbliche le motivazioni alla base della decisione assunta in merito.

Sul tema della remunerazione del management, il Consiglio viene invitato a predisporre piani compatibili con l’esigenza di ogni società di attrarre talenti e con le peculiarità esistenti nei modelli retributivi del settore di appartenenza della società. I principi consigliano di legare una componente della retribuzione a obiettivi di breve termine e l’altra a obiettivi di medio lungo termine. Viene richiesta poi la disclosure di tali obiettivi. Per il senior management e per il CEO in particolare, la parte più significativa del compenso, anche oltre il 50% del totale, andrà corrisposta in azioni o in titoli similari. Per tutti infine viene raccomandata – in linea con le guideline del settore bancario – l’adozione di meccanismi di clawback.

Sulle guidance, che pur non vengono sconsigliate esplicitamente, i principi raccomandano molta prudenza e invitano le società a non sentirsi in obbligo di fornire indicazioni sulla loro profittabilità futura, considerando che per gli azionisti tali dati e informazioni possono avere effetti più negativi che positivi. A ciò si aggiunga che le decisioni assunte per cercare di amplificare i risultati positivi nel breve termine sono spesso la causa delle perdite di valore della società su più ampi orizzonti temporali.

Il documento riserva infine grande importanza al ruolo degli asset manager. Essi, infatti, in relazione al loro rilevante peso nella compagine societaria, dovranno sempre più mettersi in condizione di poter esercitare un voto competente sulle materie poste all’OdG dell’assemblea, interfacciandosi in modo attivo con il management e con il board, anche sui temi di CG. Le decisioni assunte andranno quindi rese note all’opinione pubblica prima dell’espressione del voto, per poter condizionare positivamente gli sviluppi di medio termine della società e favorire in tal modo l’interesse dei clienti sottoscrittori.

Cosa cambierà dopo la pubblicazione dei Principi?

Difficile a dirsi. Certamente molte grandi società affermeranno di essere già allineate ad essi e non attueranno importanti cambiamenti. Ciò nonostante i Principi vanno accolti favorevolmente, rappresentando un ulteriore passo avanti sulla corporate governance, che resta un tema di fondamentale importanza per la crescita economica e per il futuro di ogni Paese, non solo degli Stati Uniti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Roberto Cravero , membro del C.D. di Nedcommunity e coordinatore della Commissione Diritto e Pratica Societaria; Dottore Commercialista e Revisore Contabile; Partner dello studio Cravero & Associati con uffici in Biella e Milano, presta assistenza a società e gruppi famigliari nella strutturazione strategica, nella negoziazione e nell’attuazione di operazioni ordinarie e straordinarie d’impresa. Collabora con le famiglie nei passaggi generazionali e nelle operazioni di riorganizzazione. Ricopre e ha ricoperto il ruolo di membro del Consiglio di Amministratore e del Collegio Sindacale in numerose Società Industriali, Finanziarie e Banche, alcune delle quali quotate. ( [email protected])


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