I sistemi di remunerazione contribuiscono al greenwashing?
Le pratiche di retribuzione aziendale che incorporano criteri Esg hanno guadagnato terreno. Studi dimostrano, però, che gli obiettivi sono spesso generici e adesso l’apparente perdita di importanza della sostenibilità rischia di avere un impatto anche su questo tema particolarmente delicato. Il punto di vista dell’esperto

Stiamo seriamente correndo un pericolo di trasformazione occulta della componente variabile della remunerazione in remunerazione fissa, oltre che di greenwashing? Le statistiche dei maggiori Stati europei (Francia, Germania, Italia e Spagna) indicano che tra il 2018 e il 2022 quasi il 90% delle società prevedeva che una parte della remunerazione variabile dipendesse da obiettivi ESG. Lo afferma un recente studio di Banca d’Italia di Fornasari e Galasso ([i]), che denuncia, tuttavia la prassi di adottare metriche e obiettivi del tutto generici. Nei quattro Paesi analizzati, nella maggior parte dei casi i traguardi fissati, sia finanziari sia ESG, venivano raggiunti troppo facilmente, suscitando il sospetto che gli obiettivi fossero così facili da raggiungere perché poco ambiziosi, selezionati strategicamente, oppure entrambe le cose.
Ridimensionamento in atto
In attesa di ricevere nuove informazioni dalle assemblee delle società quotate e dalle politiche di remunerazione approvate, possiamo però già ammettere che i temi di sostenibilità paiono essere ridimensionati: non fanno più parte, con l’attenzione ricevuta negli anni passati, delle scelte degli investitori istituzionali statunitensi, come dimostra il cambio di passo di Larry Fink, capo di Blackrock ([ii]); sono oggetto di ripensamento della Commissione europea, che il 26 febbraio scorso, ha adottato un nuovo pacchetto di proposte (denominato “Omnibus”) di semplificazione normativa, al dichiarato fine di liberare capacità di investimento. Nei fatti il pacchetto di proposte “libera” molte società, di minori dimensioni, dall’osservare normative che erano apparse ai più particolarmente complicate e semplifica alcuni adempimenti anche in capo alle società quotate.
Possibile allineamento anche in Italia
Con riferimento al tema delle remunerazioni nel panorama italiano, ci si può attendere un allineamento alla tendenza sopra descritta. La politica di remunerazione, posta al centro della strategia aziendale, anche ai sensi dell’art. 123 comma 3 bis del TUF, è indicata dal Codice di Corporate Governance come funzionale al perseguimento del successo sostenibile della società (Principio XV).
Allegate all’ultima lettera del presidente del Comitato per la Corporate Governance ai presidenti delle società quotate vi sono le raccomandazioni per il 2025 ([iii]), tra le quali è posto l’accento sulla trasparenza ed efficacia della politica di remunerazione ricordando che “la determinatezza e la misurabilità dei parametri di performance delle componenti variabili è una condizione necessaria per determinare il loro peso nella remunerazione complessiva e la loro funzionalità a raggiungere gli obiettivi strategici della società”.
Ed è proprio sulla determinatezza e sulla misurabilità dei parametri di performance che occorre porre l’attenzione, al fine di non incorrere nel rischio della trasformazione della componente variabile della remunerazione in fissa, in considerazione della genericità (e semplicità) degli obiettivi.
Gli amministratori, sollecitati a tenere conto degli interessi c.d. “altri” rispetto a quelli degli azionisti, non devono perseguire obiettivi di sostenibilità contrastanti con l’interesse degli azionisti alla massimizzazione del valore dell’investimento. Gli amministratori in primis devono convincere gli azionisti, i soli che possono influenzare in maniera determinante la direzione che devono intraprendere, sulla bontà del piano industriale e sull’allineamento degli obiettivi, anche non finanziari, con il loro interesse ([iv]).
Il Comitato di remunerazione prima e il Consiglio di amministrazione poi hanno il compito di scegliere indicatori coerenti con la strategia aziendale sui quali misurare la performance degli amministratori. Scelta complessa, che impone di vigilare anche sulla attendibilità dei dati necessari ai fini delle misurazioni, per evitare di individuare per i dirigenti apicaliobiettivi facilmente raggiungibili come denunciato dallo studio citato.
L’indipendenza dei consiglieri di amministrazione che contribuiscono alle decisioni in tema di remunerazione dei dirigenti apicali assurge (di nuovo) a valore fondamentale per il governo societario.
([i]) Fornasari – Galasso, ESG metrics in CEO compensation: incentives and sustainability in the major EU economies, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2025-0917/QEF_917_25.pdf
([ii]) Strampelli, Gli investitori istituzionali salveranno il mondo? Note a margine dell’ultima lettera annuale di Blackrock, in Riv.soc., 2020, p. 51 ss.; S.P. Rossi, La lettera annuale di Larry Fink del 15 marzo 2023: sostenibilità e scelta del cliente, in Riv. soc., 2023, p. 264 ss.
([iii]) https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/documenti/comitato/letterapresidente2024.pdf
([iv]) In questo senso, Balp – Abu Awwad, Remunerazione, in Codice di corporate governance, a cura di Bordiga e Abu Awwad), Torino, 2025, p. 457 ss., ivi p. 476; Capelli, La sostenibilità ambientale e sociale nelle politiche di remunerazione degli amministratori delle società quotate: la rilevanza degli interessi degli stakeholder dopo la SHRD II, in Orizzonti del diritto commerciale, 2020, 2, p. 553 ss.