Editoriale

I nodi irrisolti della governance e le sfide che ci attendono

Sono ancora numerosi i temi sul tavolo: dalla centralità dei fattori ESG alla digitalizzazione, passando per il ruolo dei ned e il loro rapporto con gli esecutivi fino alla composizione dei board

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Il 2020 sarebbe un anno da dimenticare e invece segnerà la nostra storia per sempre. Le conseguenze dell’emergenza sanitaria non si esauriranno nel breve e la ripresa sarà lenta e difficile.

Le imprese, e i loro board, hanno affrontato la crisi con tutte le armi a disposizione, valorizzando gli strumenti di controllo esistenti, attivando comitati, procedure di emergenza e di recovery, coinvolgendo gli stakeholder e occupandosi delle rispettive esigenze e difficoltà. Hanno cercato, ove possibile, di proteggere i risultati di breve. Se più lungimiranti, hanno iniziato a progettare la ripresa per capire come tutelare la posizione competitiva dell’azienda e la sua ragion d’essere in una prospettiva di più lungo termine. Questa è certamente stata, ed è ancora, la sfida più grande. Proprio in periodi di crisi diventa ancora più difficile tenere in considerazione le esigenze di tutti gli stakeholder, continuare a puntare all’innovazione e al successo sostenibile, quando la priorità è quella di pensare all’oggi e forse al domani, cercando di difendere i fondamentali e le performance di breve.

Eppure lo short-termism rimane criticabile anche in queste fasi: vi è infatti una sostanziale certezza in merito a quali siano i problemi destinati a emergere nel medio e lungo periodo ed è anche possibile prevedere ragionevolmente quando questi emergeranno, se non si mettono in atto per tempo le azioni opportune. 

Il peso della sostenibilità

È lecito però chiedersi quanto abbiano contato davvero, in termini di resilienza e di impatto sulle performance durante la crisi Covid, l’orientamento del business verso obiettivi di sostenibilità e le prassi di stakeholder engagement. Al riguardo le evidenze sono contrastanti: uno studio di Fidelity del maggio 2020 mostrava una relazione inversa tra sostenibilità dei modelli di business e volatilità dei prezzi dei titoli. Ricerche successive, come ad esempio quella pubblicata in ottobre da Alex Edmans nel Forum sulla Corporate Governance della Harvard Law School, sostenevano invece che i fattori ESG non preservassero i titoli dal subire gli effetti negativi della crisi Covid-19. Anche il settore bancario, pur investito del ruolo centrale di braccio operativo del Governo ai fini dell’applicazione di molte misure di sostegno pubblico, ha continuato a sotto-performare nel periodo della crisi, quale riflesso di una attesa, da parte degli analisti, di ulteriore contrazione della redditività e di peggioramento della qualità degli attivi.

Tutto ciò sembra indicare che quando le misure governative di supporto verranno meno, ed è prevedibile che ciò accada tra pochi mesi, ancora molte imprese, finanziarie e non, potrebbero non farcela e restare sul campo. Edmans (2020) riscontra peraltro un dato positivo, legato alla maggiore resilienza delle imprese con strutture finanziarie più flessibili e una maggiore quota di asset intangibili, frutto di processi di innovazione.

L’importanza del modello integrato

Sembra quindi emergere in pieno l’importanza di presidiare tutti i capitali e le risorse dell’impresa, finanziari e non, secondo un modello integrato che favorisca l’innovazione nei modelli di business e le capacità di governo del complesso sistema di rischi e opportunità che ne deriva. Le risorse finanziarie che auspicabilmente saranno messe a disposizione dell’economia nell’ambito del piano Next Generation EU, approvato dal Consiglio Europeo il 21 luglio 2020 e di per sé orientato verso obiettivi di sviluppo sostenibile, dovranno quindi essere chiaramente indirizzate verso gli investimenti in innovazione, secondo un ordine di priorità che tenga conto del valore da essi potenzialmente generato nel lungo termine. A questo fine, sarà ancora più determinante il dialogo fra esecutivi e indipendenti, perché sono soprattutto i secondi, come sappiamo, a tenere la rotta verso il successo sostenibile delle imprese, anche quando il management è costretto ad occuparsi dei problemi di resistenza quotidiana.

La digitalizzazione al centro

I NED sono sicuramente preposti a “prepararsi e preparare il CdA all’imprevedibile” e sono da sempre gli “allenatori del cambiamento”. Il loro compito non sarà però facile, perché dovranno dotarsi, e stimolare i board a dotarsi, di modelli di analisi e valutazione diversi da quelli finanziari tradizionali, supportati da analisi multi-scenario, fondati su set informativi molto più ampi e che tengano conto di forme di valore non solo economico.

Tuttavia, le nuove sfide per la governance non finiscono qui. Le Linee guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), proposte dal Presidente del Consiglio ai Presidenti di Camera e Senato il 15 settembre scorso, in risposta all’iniziativa Next Generation EU, identificano come primo obiettivo delle riforme, verso un’economia più sostenibile, quello della digitalizzazione.

Si tratta di un tema centrale, sul quale i nostri board si interrogano da mesi, e destinato ad avere grandi ripercussioni anche sui sistemi di governance. La trasformazione digitale accelerata dalla crisi legata al Covid-19, anche per l’ampio ricorso allo smart working, sta rendendo necessario un rinnovamento dei sistemi organizzativi in direzione di una minore gerarchia, una crescente trasversalità dei processi, anche decisionali, e una maggiore flessibilità.

Tale assetto presenta numerosi vantaggi: valorizza il merito, garantisce agilità operativa e nella gestione del cambiamento, favorisce la trasparenza e il rispetto delle regole interne e dei valori aziendali, aumenta l’imprenditorialità. Per altro verso tuttavia esso genera pressione sui risultati individuali, introduce zone d’ombra nel sistema premiante riferito al lavoro in gruppo, aumenta i rischi operativi legati all’ampio ricorso all’IT. Ne derivano implicazioni importanti in termini di corporate governance, con riferimento al ruolo e alle capacità dei leader, al disegno dei sistemi incentivanti, alla suddivisione di compiti e responsabilità, alla gestione dei talenti, ai flussi informativi e ai processi di comunicazione interna.

In questo contesto, vi sarà più o meno bisogno della corporate governance? I board sapranno, a loro volta, diventare più “agili”, ad esempio valorizzando ulteriormente il meccanismo dei comitati e le relazioni con il management? Al di là delle soluzioni organizzative e di processo, una chiave di successo di questa possibile trasformazione è data dalla corretta gestione della cultura aziendale, che in un sistema meno gerarchico diventa il collante fondamentale e consente di presidiare i rischi che possono derivare da decisioni più veloci, meno condivise e maggiormente affidate all’autonomia dei singoli. È proprio in questa prospettiva, quindi, che appare estremamente necessario diffondere, a tutti i livelli, una sana cultura del controllo, della compliance e del rischio. Tutto ciò deve inoltre essere supportato da una cultura evoluta degli errori, che aiuti a valorizzare l’esperienza (anche di insuccesso), e impedisca di considerare gli incidenti “un’onta da nascondere” o un problema da eludere.

Non vi è dubbio che per affrontare simili evoluzioni serva una leadership nuova, illuminata, visionaria e lungimirante. Noi, consiglieri di amministrazione, siamo all’altezza del compito e saremo capaci di contribuire, con coraggio e professionalità, al governo di questo nuovo scenario incerto e mutevole? La sensazione è che ci siano ampi spazi di miglioramento, che non potranno che passare da una trasformazione profonda della composizione dei board: anche il sistema di governance, infatti, ha bisogno di nuovi talenti, di punti di vista disruptive e di innovazione.

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