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Employee engagement: l’insegnamento del lavoro agile

Lo smart working rappresenta una leva per aumentare il coinvolgimento dei dipendenti ma oggi con il Covid-19 può rappresentare anche un rischio

Sincerely Media/Unsplash

Più i collaboratori sono coinvolti e si sentono parte dell’azienda maggiori saranno i vantaggi per quest’ultima. A dirlo sono i dati e non il buon senso che in ogni caso potrebbe anche suggerirlo. Secondo una ricerca condotta da Gallup, le aziende che vantano livelli maggiori di engagement registrano livelli di produttività e di profittabilità superiore alle altre, rispettivamente del 21 e del 22 per cento.

Uno degli strumenti che negli ultimi tempi sono stati utilizzati come leva, proprio allo scopo di far sentire i lavoratori al centro dell’attenzione, è stato lo smart working, disciplinato nel nostro Paese dal 2017 con l’entrata in vigore della legge sul lavoro agile. Le aziende che lo hanno adottato hanno consentito ai lavoratori di ottimizzare il loro tempo e in sostanza di migliorare l’equilibrio fra vita privata e quella dedicata alla professione. Alla base un profondo cambiamento culturale che sposta l’attenzione dalla presenza in ufficio e dalle ore trascorse davanti al “terminale” agli obiettivi raggiunti. Per molti questa nuova prospettiva rappresenta una conquista importante.

Il lavoro a distanza, però, e l’epidemia di Covid-19 lo sta dimostrando, presenta anche degli aspetti negativi, emersi in tutta la loro evidenza nel corso dei lunghi mesi lockdown. Se da un lato l’adozione dello smart working può rappresentare un incentivo ad aumentare il senso di appartenenza del lavoratore all’azienda dall’altro, dall’atro quando adottato sull’onda di situazioni emergenziali (come nel corso della scorsa primavera) rischia al contrario di far aumentare il disagio dei collaboratori.

Secondo le evidenze di una ricerca condotta dall’Osservatorio sullo Smart working del Politecnico di Milano, proprio fra marzo e maggio del 2020, il problema evidenziato con maggiore ricorrenza dal campione è stato proprio il senso di isolamento rispetto alla propria azienda (29% degli intervistati). Per non parlare del fatto che a causa della situazione emergenziale che impediva di lasciare la propria abitazione, in molti hanno sperimentato una sorta di abuso di comunicazione e il lavoratore si è trovato a essere perennemente reperibile facendo venire meno uno dei principali vantaggi del lavoro agile, ovvero l’equilibrio fra tempo libero e quello dedicato alla professione.

Non è un caso che una recente ricerca di Nedcommunity ideata e condotta dal Reflection Group “Board e Sostenibilità: Un nuovo modello di leadership per il Consigliere di Amministrazione”, abbia indagato fra le altre cose anche la centralità per i board delle aziende italiane dell’employee engagement durante la pandemia, come significativa area di rischio con impatti rilevanti sulle performance.

Secondo Giorgio Siracusa, consigliere indipendente, Executive Coach di C-Suite ed ex Chief Human Resources Officer di Procter & Gamble Europe “l’employee engagement si traduce in primo luogo nel dare al dipendente la possibilità di realizzare le proprie potenzialità e i propri obiettivi personali e professionali (e collegarli a quelli dell’azienda), e si dimostra un elemento cruciale per la sostenibilità di risultati positivi di business. La domanda che ci si deve porre, però, è come aumentare l’employee engagement durante questa emergenza. Lo smart working adottato da molte aziende per rispondere al lockdown, per esempio, può anche essere controproducente, non avere alcun effetto oppure causare un aumento dell’engagement. Il buon esito, infatti, dipende anche, se non soprattutto, dall’adozione di un punto di vista a lungo termine e non limitato alla sola fase caratterizzata dal concretizzarsi di questo evento imprevisto”.

L’egagement dei dipendenti riveste quindi una rilevanza strategica. “Dall’adozione di questo punto di vista – continua Siracusa – dipende la sostenibilità organizzativa dell’azienda. Ecco perché ritengo che l’engagement debba essere al centro delle discussioni dei cda esattamente come ogni altro aspetto aziendale che può avere degli effetti sul business. Nella mia esperienza in Procter & Gamble Europa e in altre aziende che ho assistito, l’engagement è risultato centrale per il successo durante l’emergenza sanitaria. L’obiettivo è stato raggiunto il più delle volte quando la leadership è riuscita a comunicare frequentemente in modo coinvolgente e aperto piuttosto che gerarchico. In Procter abbiamo deciso di chiarire da subito che la nostra missione principale consisteva in due semplice cose: salvaguardare la salute dei dipendenti e servire i nostri consumatori, soprattutto in un momento nel quale la presenza di prodotti ben conosciuti nei supermercati riveste una grande importanza per la gente. Qualsiasi azione durante l’emergenza doveva riconoscersi in questi due obiettivi, incoraggiando innovazione e un nuovo approccio ai problemi. La risposta da parte dei dipendenti è stata veramente incredibile e i risultati di business (e lo stesso engagement, in aumento) ne sono prova”.

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