Dura lex

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L’arte è una questione di corporate governance ? Il sistema-arte deve essere più trasparente ? ci sono conflitti di interessi tra i ruoli dei vari operatori del sistema e, in caso di risposta affermativa, come devono essere regolamentati i conflitti di

La Corporate Governance del Sistema-Arte

L’arte è una questione di corporate governance ? Il sistema-arte deve essere più trasparente ? ci sono conflitti di interessi tra i ruoli dei vari operatori del sistema e, in caso di risposta affermativa, come devono essere regolamentati i conflitti di interessi ? devono essere emanate nuove norme o è preferibile agire in via di autoregolamentazione ?

Varie sono le domande che gli operatori del mercato dell’arte si stanno ponendo sulla buona governance degli enti di riferimento. E d’altronde non si fa fatica a comprendere che ci sia materia di dibattito, dal momento che l’arte è si asset estetico ed emozionale, ma sempre più tende a connotarsi anche come investimento finanziario.

Non mi dilungo su ciò. E’ bastato, da ultimo, partecipare alla Xa Conferenza su Art & Finance organizzata da Deloitte tenutasi lo scorso 8 novembre 2017 presso Palazzo Mezzanotte alla Borsa Italiana, per comprendere che arte e finanza possono costituire due facce di una stessa medaglia. E se è vero che “l’arte segue i soldi”, allora è anche vero che il mercato dell’arte manifesta l’esigenza di normative più adeguate alla tutela del settore, più omogenee agli altri Stati dell’Unione Europea. I temi delle policy antiriciclaggio o dei compliance program diventano cruciali se un certo tipo di ricchezza è indirizzata al mercato dell’arte e se vogliamo operare in un sistema di correttezza e legalità.

La Decisione (UE) 2017/864 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017
ha designato il 2018 quale “Anno europeo del patrimonio culturale”.
Tra gli obiettivi specifici dell’Anno europeo vi è quello di “promuovere modelli innovativi di governance partecipativa e di gestione del patrimonio culturale, coinvolgendo tutti i portatori di interessi, comprese le autorità pubbliche, il settore del patrimonio culturale, gli attori privati e le organizzazioni della società civile“.

E’ in questo contesto che anche il nostro ordinamento manifesta una tensione ad attribuire sempre più dignità al “sistema legale-economico arte”. Abbiamo assistito all’approvazione della normativa sulla circolazione delle opere d’arte (entrata in vigore lo scorso 29 agosto, seppure ancora in attesa di norme di attuazione), nonché al tentativo (per il momento rinviato) di fornire una disciplina fiscale più chiara alla tassazione sul capital gain derivante dalla vendita delle opere d’arte.

Ancora, lo scorso giugno 2017 è stato approvato alla Camera il disegno di legge del Governo (C. 4220 – ddl. n. 2864) che si propone di riformare le disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale (oggi previste in parte nel codice penale e in parte nel Codice dei ben culturali) prevedendo l’introduzione di un nuovo titolo VIII-bis del Codice Penale rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale“.
Il disegno di legge prevede, tra l’altro, l’introduzione dei delitti contro il patrimonio culturale tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs.n. 231/2001, quando l’illecito è commesso da determinati soggetti in posizione apicale (persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso) o da soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza dei soggetti apicali, purché compiuti nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Gli enti cui fa riferimento la norma sono tutti gli enti forniti di personalità giuridica, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica. Sono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
La normativa si applicherà dunque agli enti che abbiano (i) una complessa organizzazione e (ii) una natura “collettiva”. Possiamo quindi ipotizzare che destinatari della nuova disciplina possano essere le case d’aste e le grandi gallerie. Vi sono invece incertezze interpretative sul fatto che possano rientrare nelle fattispecie in oggetto anche le gallerie, imprese o ditte individuali.

Nello specifico, il disegno di legge approvato a giugno alla Camera e oggi all’attenzione del Senato vorrebbe far assurgere a fattispecie di reato autonomo i seguenti delitti con un inasprimento delle pene. In via di estrema sintesi: da 2 a 8 anni per il furto dei beni culturali; da 1 a 4 anni per l’appropriazione indebita di beni culturali; da 3 a 12 anni per la ricettazione di beni culturali; da 5 a 14 anni per il riciclaggio di beni culturali; fino a 2 anni per la vendita di un’opera d’arte senza autorizzazione o in pendenza di prelazione; da 1 a 4 anni per l’esportazione illecita; da 1 a 5 anni per danneggiamento o imbrattamento. La contraffazione di opere d’arte, punita da 1 a 6 anni, è esclusa se chi produce o vende copie ne dichiara espressamente la non autenticità. E’ fattispecie nuova il delitto di illecita detenzione, punito da 6 mesi a 5 anni. Così come pure è fattispecie nuova il traffico organizzato di opere d’arte, punito da 2 a 8 anni, che comporta indagini di competenza della procura distrettuale e consente il ricorso ad agenti infiltrati. Il quadro sanzionatorio è aggravato se il reato è commesso da chi esercita un’attività professionale o commerciale e si applica inoltre l’interdizione dalla professione. 

Poiché l’onore della prova è invertito, spetterà all’ente dimostrare di essere esente da responsabilità per aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Le case d’asta, le gallerie, i protagonisti del mercato che abbiano natura di ente non individuale, anche se privi di personalità giuridica, che operano professionalmente nel mondo dell’arte potrebbero dover assicurarsi (qualora la Riforma entrasse in vigore) di essere tecnicamente e scientificamente equipaggiati al fine di ottenere i riscontri più precisi e migliori in sede di acquisto e vendita di opere d’arte.
De jure condendo, si tratta dunque di porre in essere procedure o compliance program, che devono essere tailor made per il singolo ente e per la prevenzione del rischio tipico della sua attività, al fine di assicurare un sistema organizzativo efficace ed efficiente, proprio a tutela degli enti operatori del mercato, case d’asta e gallerie.

Che cosa hanno quindi in comune il “caso Modigliani” (che vede tre indagati per falso di opere d’arte, truffa e ricettazione con la conseguenza che 21 opere sono sottoposte a sequestro) e la riforma sui reati contro il patrimonio culturale agli occhi di un operatore del diritto ? Arte e diritto hanno in comune la necessità di interpretazione e di una mano tecnica che accompagni alla comprensione del documento o dell’opera: non si tratta invero di riconoscere ciò che è vero da ciò è falso, né di agire all’interno del binomio autentico/non autentico, ma di pensare alla corretta “attribuzione” dell’opera e nel tempo alla possibile “riattribuzione” della medesima opera nel tempo, ponendo in essere procedure tailor made per assicurare un sistema organizzativo efficace ed efficiente a tutela dell’ente.

Quindi sì: anche l’arte è una questione di corporate governance, di compliance, di rispetto di procedure, di assunzione di prove.

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Annapaola Negri-Clementi Curatrice della rubrica “Dura lex”, Partner di Negri-Clementi Studio Legale Associato) ([email protected])


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