Dura lex

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Il 31 marzo 2016 le Sezioni Unite Penali della Cassazione, presiedute dal dott. Giovanni Canzio, hanno deciso, rilasciando l’Informazione Provvisoria n. 7, che la Legge di riforma del reato di falso in bilancio non ha abrogato, neppure in parte, il c.d.

Le Sezioni Unite confermano la rilevanza penale del falso valutativo

Il 31 marzo 2016 le Sezioni Unite Penali della Cassazione, presiedute dal dott. Giovanni Canzio, hanno deciso, rilasciando l’Informazione Provvisoria n. 7, che la Legge di riforma del reato di falso in bilancio non ha abrogato, neppure in parte, il c.d. “falso valutativo” o “estimativo”. In particolare, le Sezioni Unite Penali hanno ritenuto sussistente il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo all’esposizione e all’omissione di fatti oggetto di valutazione, se in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, la società si discosti consapevolmente da tali criteri e senza dare adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo a indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Per intendersi le valutazioni di cui si tratta sono le voci di bilancio che mediante un’espressione numerica danno conto di una antecedente valutazione relativa ad asset rientranti nel patrimonio della società. Per fare un esempio, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, non si tratterà più di valutare la realtà di un dato fatto per dedurne il falso in bilancio (i.e., il valore di stima di un immobile che è indicato come esistente in una località diversa da quella reale) ma si tratterà di valutare l’operazione di apprezzamento di un determinato asset (i.e., la correttezza della stima di un immobile realmente esistente in una data località); o anche non si tratterà di valutare se un credito o una partecipazione o un cespita esista nella realtà ma si tratterà di valutare l’attività di previsione, posta in essere dai redattori dei documenti contabili (e da ultimo dal C.d.A. !) sulla reale possibilità di recupero di crediti “incagliati”, sulla svalutazione di crediti o di partecipazioni o di cespiti.

La Cassazione ha risolto la questione introducendo parametri qualitativi ai quali legare la rilevanza penale del c.d. falso valutativo.

Analizzando la decisione (e in assenza per ora della motivazione) delle Sezioni Unite si osserva che:

  • i fatti oggetto di valutazione assumono la stessa rilevanza dei fatti materiali in quanto il bilancio è il documento essenziale per rappresentare ai terzi la situazione patrimoniale-economico-finanziario (i.e.: lo stato di salute) della società; e il bilancio si nutre essenzialmente di valutazioni e stime;
  • la valutazione che deve essere effettuata con riferimento a talune poste di bilancio non è casuale, ma deve essere rigorosamente ancorata a criteri oggettivi, fissati per legge o generalmente accettati;
  • la società deve essersi discostata dai suddetti criteri in modo consapevole (al riguardo assumerà rilevanza l’analisi nel concreto delle carte di lavoro che hanno portato alla formazione del progetto di bilancio, nonché le valutazioni effettuate dai consiglieri nel C.d.A. di approvazione del progetto di bilancio);
  • è riconosciuto dall’ordinamento giuridico la possibilità di discostarsi dai criteri normativamente previsti o generalmente accettati, ma gli organi preposto devono darne adeguata informativa che giustifichi le ragioni (si tratta di un’altra applicazione del principio comply or explain già riconosciuto in sede di adesione al codice di autodisciplina per il mercato delle società quotate);
  • infine, il comportamento della società è qualificato, ossia deve essere idoneo in modo concreto a indurre in errore i terzi, destinatari del bilancio.

Va ricordato, nell’interpretare la norma, che la ratio della re-introduzione del falso in bilancio è stata quella di garantire la trasparenza societaria e la libera concorrenza, come interessi meritevoli di tutela. La correttezza del momento informativo e di rappresentazione a terzi di fatti “ancorché oggetto di valutazione” è irrinunciabile, tanto più in un’ottica di lotta alla corruzione (si pensi agli ultimi recenti scandali, quali Expo, Mose, Mafia Roma Capitale). Il falso in bilancio è invero considerabile un reato-spia di possibili dinamiche corruttive.

 

Ed invero la sentenza delle Sezioni Unite Penali si pone in coerenza con la Procura Generale della Cassazione, che è sempre stata favorevole alla punibilità dei falsi valutativi, secondo un’interpretazione più logica ed elastica della norma, volta appunto ad evitare l’effetto abrogativo, ritenendo che ci fosse “continuità normativa e completa sovrapponibilità” tra il testo anteriore e quello successivo alla Legge di riforma. Sulla stessa linea si è posto anche il Massimario della Cassazione.

 

L’occasione per la pronuncia sul falso in bilancio da parte delle Sezioni Unite è nata dal contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla Sezione V Penale della Corte di Cassazione, verte sul testo dell’art. 2621 c.c. (“False comunicazioni sociali”) .

 

In particolare, l’ordinanza n. 9186 della Cassazione, depositata in data 4 marzo 2016, ha investito le Sezioni Unite della Cassazione della questione della persistente rilevanza penale del c.d. falso valutativo in quanto all’imputato era contestata la falsa informazione sociale relativa all’intervenuta ricostituzione del capitale sociale di una società fallita per un importo pari a 1.217.675 euro, attraverso il fittizio utilizzo anche delle somme già indicate contabilmente come “anticipazione soci” negli esercizi 2001, 2002 e 2003 per un ammontare complessivo di 288.217,20 euro; ciò attraverso l’artifizio consistito nel far figurare i pagamenti come “anticipazione soci” e non già come risorse finanziarie effettivamente percepite a titolo di pagamento di crediti per contratti di sponsorizzazione e per altre operazioni diversamente effettuate. Le anomalie riscontrate nella contestata utilizzazione del conto “soci c/anticipazioni temporanee”, attraverso le quali si era consentito di evitare l’adozione delle necessarie deliberazioni di messa in liquidazione e scioglimento della società debitrice poi fallita involgevano anche la questione della abrogazione o meno del cd. falso valutativo.

 

Nello specifico, il dubbio è sorto dalla circostanza che la norma potrebbe sembrare attribuire rilevanza penale solo “ai fatti materiali rilevanti”, dal momento che essa non richiama più espressamente l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” dopo le parole “fatte rilevanti” e neppure richiama il riferimento all’inciso “ovvero omettono informazioni”, come invece era previsto prima della Legge di riforma. Parimenti è stato eliminato il riferimento alle “valutazioni estimative”, richiamate nel comma 4 dell’art. 2621 c.c. e nel comma 8 dell’art. 2622 c.c. (sulle società quotate). Da ciò si sarebbe ricavato che il Legislatore non volesse considerare come penalmente rilevanti le attività consistenti unicamente in una “mera valutazione” (il c.d. falso valutativo). Si è quindi detto che il novellato art. 2621 c.c. si riferisse ad una fattispecie di reato di pericolo concreto, dal momento che sembravano espunte le condotte non destinate a materializzarsi in una offesa effettiva del bene giuridico tutelato.

 

Secondo questa interpretazione letterale e più ristrettiva (ma meno rigorosa nei suoi effetti), che riteneva depenalizzati i falsi valutativi, la Cassazione si è espressa il 16 giugno 2015 con la decisione n. 33774 (c.d. sentenza Crespi)  e l’8 gennaio 2016 con la decisione n. 6916. La nuova norma, così interpretata, sarebbe diventata addirittura più favorevole rispetto a quella del 2002 e, quindi, applicabile retroattivamente (in applicazione del principio del favor rei), con effetti dirompenti perché parzialmente abrogativa. E se tale interpretazione fosse stata confermata dalle Sezioni Unite, la parziale abrogazione sarebbe stata “destinata a emergere in ogni caso in sede di esecuzione ex articolo 673 del Codice di procedura penale”. Ciò nel senso che non solo tutti i processi in corso avrebbero potuto essere chiusi perché “il fatto non sussiste” (!) non essendo più considerato reato, ma in più tutte le sentenze di condanna già passate in giudicato avrebbero dovuto essere revocate.

 

Con la decisione n. 890 del 12 gennaio 2016 (c.d. sentenza Nappi) la Cassazione aveva invece adottato un’interpretazione più logica ed elastica e aveva escluso l’effetto parzialmente abrogativo della Legge di Riforma. La soluzione offerta dalla Cassazione era invero nel senso di ritenere che nell’art. 2621 c.c. il riferimento ai “fatti materiali” quali possibili oggetti di una falsa rappresentazione della realtà non doveva valere a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, anch’essi predicabili di falsità qualora violino criteri di valutazione predeterminati o esibiti in una comunicazione sociale.

 

In conclusione, è stato rimesso l’onere di chiarire il perimetro di applicabilità della norma penale sul falso valutativo alla magistratura, la quale ha dovuto rispondere, in via di estrema sintesi, alla seguente domanda: cosa è incluso oggi nella nozione di “fatto materiale rilevante”? A questo riguardo le Sezioni Unite hanno voluto fornire quell’interpretazione più rigorosa ma, che a buona ragione, va considerata a presidio della trasparenza societaria: intesa questa come interesse meritevole di tutela a vantaggio sia degli imprenditori sia dei terzi che con le imprese entrano in affari.

 

Un’ultima parola merita di essere spesa sul tema della responsabilità dei membri del C.d.A. nell’approvazione del progetto di bilancio. Va apprezzato che se gli amministratori vogliono mantenersi un’esimente rispetto a ipotesi civili o penali di responsabilità nella (redazione e) approvazione del progetto bilancio, essi dovranno avere cura di evidenziare ai terzi il procedimento che li ha condotti a determinate valutazioni.

 

Voglio dire che è strumento di tutela, per gli amministratori e per il mercato al contempo, la possibilità di assicurare che non si sono verificate ipotesi di difformità tra i parametri di valutazione dichiarati e le risultanze del bilancio. Qualora poi vi siano aree grigie, e la stima di un bene possa essere ricondotta all’interno di range di valori plausibilmente attribuibili in base alle leggi e ai criteri di volta in volta applicabili, il nostro ordinamento giuridico lascia una ragionevole discrezionalità agli amministratori, i quali hanno la possibilità (e il dovere) di sfruttare la funzione conoscitiva non solo della parte numerica del documento contabile ma anche della parte discorsiva della nota integrativa: qui infatti possono essere rese conoscibili ai terzi il procedimento e le regole che sono state utilizzate nell’attribuzione di un certo valore. La correttezza del procedimento di valutazione nonché la corrispondenza tra i criteri di stima dichiarati e le valutazioni risultanti dal bilancio vanno intesi, come sopra detto, a tutela sia degli organi che hanno predisposto e approvato il progetto di bilancio sia dei soggetti che su tale documento, in senso lato inteso, fanno riferimento.

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Annapaola Negri-Clementi, Partner di Negri-Clementi Studio Legale Associato ([email protected])


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