Diciamo la nostra

DICIAMO LA NOSTRA a cura della Direzione

Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità. 
In questo numero ospitiamo l’intervista a Salvatore Maccarone * che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Questa è la settima intervista che pubblichiamo: la prima è stata fatta a Gianmaria Gros Pietro nel numero di luglio 2010 (N° 4), la seconda a Giovanni Maria Garegnani nel numero di ottobre 2010 (N° 5), la terza a Carolyn Dittmeier nel numero di gennaio 2011 (N°6), la quarta a Mario Noera nel numero di aprile 2011 (N°7), la quinta a Maria Luisa Di Battista nel numero di luglio 2011 (N° 8). e l’ultima Ferruccio Carminati nel numero di ottobre 2011 (N° 9)


Che cosa non va in Italia nella governance?


Io non credo che possa farsi un discorso generale sulla qualità del governo societario in Italia; le situazione sono molte e assai diverse fra loro e dunque difficilmente comparabili. 
Probabilmente l’elemento di maggiore rilevanza nella caratterizzazione dei meccanismi di governo è rappresentato dalla composizione del capitale che nel caso dell’Italia, come sappiamo, è spesso accentrato in poche mani, talvolta anche in società di grandi dimensioni e pressoché di norma nelle medie e piccole imprese. 
Questa situazione produce conseguenze su vari fronti, non ultimo quello della riluttanza delle aziende a capitale accentrato a rivolgersi al mercato dei capitali, generando anche fenomeni di asfissia della nostra borsa, ma soprattutto incide sulle caratteristiche e sulla composizione degli organi di governo di queste imprese e produce o fa emergere situazioni ripetute di conflitto di interesse. 
La qualità della governance può poi rilevare sotto profili ulteriori, in relazione all’assetto degli interessi meritevoli di tutela, con l’ulteriore qualificazione connessa al fatto che la società sia o meno un soggetto vigilato e, se lo è, a quali e “quante” vigilanze essa è sottoposta. In concreto, se la società è anche quotata o a capitale diffuso, essa sarà sottoposta alla vigilanza della Consob e se quella stessa società è una banca, un istituto di pagamento, una SGR o così via, essa sarà sottoposta anche alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia, o solo a questa, se la società non è quotata o diffusa. 
In conclusione, il giudizio sulla qualità della governance delle società non può formularsi in assoluto, ma deve tener conto della natura e condizione alle società alle quali il giudizio vuole essere riferito.


Quali i rimedi per migliorarne la qualità?


La risposta pressoché univoca di tutti gli ordinamenti ai problemi di governo e di tutela delle minoranze e dei creditori è rappresentata dalla presenza di amministratori indipendenti all’interno dell’organo amministrativo. 
Questa figura, come sappiamo, viene da oltre oceano, dove però la contrapposizione, o la tutela, più che rispetto ai soci di controllo si pone con riferimento al management, data la normale polverizzazione del capitale delle società, anche di medie dimensioni ed al ruolo molto forte che per conseguenza il management tende ad assumere. 
In Italia gli amministratori indipendenti trovano nella disciplina delle operazioni con parti correlate, emanata lo scorso anno dalla Consob con riferimento alle società quotate o diffuse, un ruolo fondamentale; essi già erano figura importante nel Codice di Autodisciplina delle Società Quotate, ma, dato a mio avviso ancora più importante e significativo, la stessa legge (art. 26 del Testo Unico Bancario) prevede che, accanto al requisito dell’onorabilità e della professionalità, gli amministratori di banca – tutte, indipendentemente dal fatto che siano quotate o diffuse – debbano avere anche quello dell’indi­pendenza. 
La Banca d’Italia – in quel disciplinare fondamentale costituito dalle Disposizioni in materia di governo societario delle banche del marzo 2008 – richiede che nei consigli di amministrazione delle banche sieda un numero adeguato di indipendenti, ai quali attingere anche per la costituzione di comitato di controllo interno. 
È una misura importante, in quanto, soprattutto nelle banche locali, legate fortemente al territorio, il tema dei conflitti di interesse è ricorrente e la presenza di amministratori indipendenti può attenuarne gli effetti nocivi. Tra l’altro, anche la Banca d’Italia si appresta ad emanare proprie Istruzioni in materia di operazioni con parti correlate, che si applicheranno a tutte le banche e non solo alle quotate o diffuse (complessivamente circa 90), cumulandosi con quelle della Consob, ma a tutte le banche, grandi o piccolissime che siano. 
In cosa consista tuttavia il requisito dell’indipendenza è ancora incerto, in quanto esso, allo stesso modo degli altri, dovrà essere definito da un Decreto del Ministro dell’Econo­mia e delle Finanze, che, a distanza ormai di qualche anno, ancora non è stato emanato. Le banche, dovendo comunque adeguarsi alle Istruzioni della Banca d’Italia, hanno indicato negli statuti le circostanze impeditive dell’indipendenza, attingendo a quanto previsto dall’art. 148 del Testo della Finanza per i sindaci delle quotate. 
Accanto a questo tema se ne pone un altro, forse ancora più rilevante, che riguarda il ruolo degli amministratori indipendenti in linea generale, al di là di quello che essi hanno in relazione alle operazioni con parti correlate. 
Anche se non in via assoluta, gli amministratori indipendenti finiscono con coincidere con gli amministratori non esecutivi e comunque essi lo sono sempre ed è proprio con riferimento al ruolo di questi che il problema si pone, in quanto, nelle banche, ma in generale in tutti i soggetti vigilati, essi sono collocati all’interno dell’apparato dei controlli interni, ma senza un compito definito, il che accresce l’incertezza, anche in funzione della possibile responsabilità, sia amministrativa che di altra natura. 
Vi è, insomma, una indesiderabile vaghezza in ordine al ruolo di questi amministratori.


Cosa si aspetta da Nedcommunity e cosa suggerirebbe?


Ned Community è una comunità che raccoglie professionisti, studiosi e manager di altissima qualità ed è dunque un importantissimo foro di discussione, che tende tuttavia ad essere prevalentemente interno, a beneficio cioè di coloro che vi partecipano. 
La oggettiva qualità delle persone e dei contributi che da esse provengono mi pare giustificherebbe una maggiore apertura e diffusione verso l’esterno, magari su qualcuno dei temi che prima ho evocato. 
Mi parrebbe, ad esempio, di grande utilità generale un qualche contributo, da diffondere poi all’esterno, sul ruolo degli amministratori indipendenti nell’assetto di governo dei soggetti vigilati, sia perché esso rappresenta uno dei temi oggi di maggiore incertezza, sia soprattutto perché, in termini di diffusione di questa figura, questi soggetti sono certamente quelli più numerosi e maggiormente significativi. 


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