Diciamo la nostra

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Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità. In questo numero ospitiamo l'intervista a

Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.

In questo numero ospitiamo l’intervista a Sabrina Bruno (*) che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

L’intervista

Qual è, secondo lei, il livello della governance in Italia rispetto agli altri paesi europei aderenti ad EcoDa?

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un graduale miglioramento della corporate governance in Italia che ha oramai raggiunto i livelli di best practice internazionale. A mio avviso a ciò hanno contribuito, soprattutto, alcuni importanti interventi legislativi. Innanzitutto il recepimento nel 2010 della Direttiva n. 2007/36/CE che ha inteso, attraverso l’introduzione della record date e di altre disposizioni di natura procedurale, rafforzare la voice nelle assemblee delle società quotate. Di conseguenza, gli azionisti di minoranza, in particolare gli investitori istituzionali esteri hanno aumentato presenza e voto: la partecipazione in assemblea non è mai stata così elevata nel nostro paese come negli ultimi cinque anni. Ciò è servito a bilanciare il potere dei soci di controllo aprendo il nostro capitalismo, caratterizzato da assetti proprietari concentrati, al mercato. Non dimentichiamo che, grazie a queste nuove disposizioni, è stato possibile per un socio di minoranza chiedere la convocazione dell’assemblea avente ad oggetto addirittura la revoca degli amministratori di una grande società quotata, la Telecom, nel 2013: la revoca fu poi respinta in assemblea per una piccola differenza, avrebbe potuto essere approvata ed il risultato fu incerto fino alla fine (27,29% degli azionisti votarono contro; 23% votarono a favore della richiesta, e tra essi gli investitori istituzionali; il 7,4% si astennero); in ogni caso, gli amministratori furono praticamente sfiduciati dal mercato – due di essi, di fatto, si dimisero – data la risonanza che l’intera vicenda ebbe sulle pagine finanziarie. Un altro intervento legislativo importante è stato il Regolamento Consob n. 17221 del 12 marzo 2010 che ha migliorato la disciplina del conflitto di interessi aumentando, in generale, la trasparenza sulle operazioni con parti correlate ed attribuendo agli amministratori indipendenti il potere decisionale nel caso delle operazioni di maggiore rilevanza. Ciò ha indubbiamente ridotto la possibilità che il consiglio di amministrazione possa prendere decisioni a vantaggio dei soci di controllo senza perseguire l’interesse della società intesa come l’insieme degli azionisti complessivamente considerato; episodi di cui purtroppo il nostro capitalismo è stato testimone negli anni precedenti, a danno degli azionisti di minoranza, non dovrebbero più verificarsi. Da ultimo la legge n. 120/2011 – che ha previsto le quote di genere negli organi di amministrazione e di controllo – ha ulteriormente contribuito all’apertura del nostro capitalismo in quanto le donne nominate, per lo più, appartengono ad un entourage diverso da quello tipico delle nostre società quotate: abbiamo assistito ad un rinnovamento generazionale, ad una diversificazione nei backgrounds e nelle competenze, ad un’internazionalizzazione dei boards, come conseguenza di questa legge. In definitiva, i tre interventi legislativi che ho sintetizzato hanno portato una vitalità ed un attivismo nuovi nelle società quotate ed hanno consentito una maggiore dialettica interna, nelle assemblee e nei consigli di amministrazione, che è il presupposto fondamentale per il bilanciamento dei poteri e l’esercizio del controllo nei confronti dei soci strategici, a garanzia di una maggiore efficienza e correttezza nello svolgimento dell’attività delle società.

Condivide i rilievi che emergono dalla Relazione annuale 2014 della Consob sul governo societario?

I rilievi che emergono dal Rapporto, in materia di governo societario, sostanzialmente fotografano la situazione delle nostre società quotate ed evidenziano una riduzione della concentrazione degli assetti proprietari (motivata certamente anche dalla situazione economica generale), una maggiore partecipazione assembleare, un cambiamento nella composizione degli organi amministrativi e di controllo, una maggiore ponderazione e supervisione sulle operazioni con parti correlate. Ciò dimostra che gli interventi legislativi da me sopra sintetizzati sono stati efficaci nel nostro modello finanziario.

Quali azioni suggerirebbe a Nedcommunity per migliorare la Corporate Governance in Italia?

Continuare a sottolineare l’importanza della presenza degli amministratori indipendenti nelle società quotate ed il loro ruolo che reputo fondamentale per un bilanciamento dei poteri all’interno delle nostre società per azioni caratterizzate da assetti proprietari concentrati. Inoltre iniziare a sensibilizzare gli amministratori indipendenti sulla prossima sfida che ci attende che è lo sviluppo di una cultura inclusiva nella gestione delle società per azioni. La Direttiva n.2014/95/CE in materia di corporate social responsibility – che dovrà essere operativa entro il 6 dicembre 2016 – promuove la trasparenza, da parte delle società di maggiori dimensioni, circa il perseguimento degli interessi degli stakeholders (lavoratori, ambiente, politiche sociali etc.), il rispetto dei diritti umani, l’adozione di politiche contro la corruzione e a favore della diversità etc. Ciò comporterà un ampliamento di prospettiva nell’amministrazione a favore di una maggiore sostenibilità dell’impresa nel lungo periodo che riguarderà tutto il consiglio naturalmente, non solo i membri indipendenti; questi ultimi tuttavia saranno maggiormente coinvolti con riferimento ai rischi – collegati alla mancata o inadeguata considerazione degli stakeholders – per monitorare e gestire i quali, in definitiva, il legislatore europeo prevede la trasparenza.
Infine, un altro suggerimento: ultimamente sta emergendo in Italia una sorta di sponsorizzazione del modello monistico che – in seminari, articoli di giornale e nei Quaderni Giuridici Consob (maggio 2015) – sembrerebbe essere considerato il modello ottimale per rendere “più competitive” le società quotate sui mercati finanziari internazionali. La giustificazione principale di questo argomento è che il modello monistico è il più diffuso nel mondo. Che sia il modello più diffuso nel mondo ovviamente non stupisce in quanto adottato dalla massima potenza economica, gli Stati Uniti d’America. Ma ciò non lo rende necessariamente il modello ottimale per la migliore corporate governance. Premesso che, secondo le analisi empiriche condotte a livello internazionale, nessun modello di per sé può essere considerato il più efficiente – intendendo per efficiente il modello che assicuri il miglior governo societario, coniugando efficienza nella gestione ed efficacia nei controlli. Peraltro ogni ordinamento disciplina il proprio modello, dualistico o monistico, con norme specifiche, applicate in contesti finanziari ed in sistemi giuridici diversi l’uno dall’altro, tali per cui il modello monistico inglese non è tout court paragonabile al modello monistico francese o italiano, né quello dualistico tedesco è assimilabile sic et simpliciter al modello dualistico italiano o francese. Inoltre ciascun modello purtroppo ha dimostrato di non essere impermeabile alle irregolarità: si pensi ai casi Enron e Worldcom (modello monistico), Parmalat (modello italiano tradizionale) e, di recente, Volkswagen (modello dualistico) per citare gli esempi più eclatanti di mala gestio e frode degli ultimi tempi. In definitiva, discutere di modello di amministrazione e controllo in astratto è inutile: al di là del modello, che è solo un’etichetta, bisogna approfondire come funzionano determinate norme nel singolo contesto economico, finanziario e giuridico. Il suggerimento per la Ned Community è quindi quello di approfondire queste tematiche tra gli associati senza dimenticare che il nostro modello tradizionale, con il collegio sindacale, è adottato dal 97% delle società quotate, intanto per una questione di path dependance (difficile da erodere) ma anche perché esso presenta, per lo meno sulla base delle disposizioni di legge, alcuni vantaggi non presenti negli altri modelli del nostro ordinamento: requisiti di professionalità stringenti per tutti i membri; poteri individuali di ispezione e di controllo (che negli altri modelli sono collegiali); obbligo, a pena di decadenza, di assistere alle riunioni del c.d.a. e del comitato esecutivo che non è previsto per il consiglio di sorveglianza nel modello dualistico né italiano, né tedesco e che consente al collegio sindacale di essere adeguatamente informato su tutte le decisioni che gli amministratori devono prendere, potendo pertanto intervenire ex ante (e non solo ex post) nel caso di proposte che fossero contrarie alla legge o allo statuto; obbligo di esprimere un parere prima della deliberazione del consiglio di amministrazione riguardante la remunerazione degli amministratori con deleghe – la funzione del parere è di assicurare il rispetto degli interessi dei soci su tale delicata materia. In buona sostanza, la vigilanza dei sindaci è stata concepita dal nostro legislatore per essere svolta nell’interesse dei soci; i sindaci sono il braccio destro dei soci e perciò la loro indipendenza dall’organo amministrativo è intesa essere più spiccata, sicuramente maggiore che nel modello monistico dove sono, in fin dei conti, i controllati a scegliere i controllori. Certo è possibile migliorare il nostro modello tradizionale, eliminare alcune duplicazioni e sovrapposizioni di competenze con il comitato per il controllo sulla gestione al fine di evitare un’eccessiva burocratizzazione delle s.p.a. ed un appesantimento delle procedure. Ma ciò non implica necessariamente, a mio avviso, dover passare al modello monistico. Non è un caso che, nel 2009, il premio Nobel dell’economia, Joseph Stiglitz, nel corso di un convegno organizzato presso la Borsa di Milano, venendo a conoscenza del nostro modello tradizionale (sintesi dei pregi degli altri due modelli in quanto consente distacco ed indipendenza dagli amministratori ma al contempo garantisce adeguati flussi informativi – al contrario del modello dualistico) ne rimase impressionato e lo elogiò moltissimo. Spetta a noi farlo conoscere e circolare nel mondo esponendone i vantaggi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sabrina Bruno, Professore Associato di Diritto Commerciale (Università della Calabria) e di Law and Economics (Luiss G. Carli, Roma). Abilitazione nazionale Professore Ordinario di Diritto Privato Comparato (dal 2013). Ha conseguito presso l’Università di Oxford (U.K.) il Degree of Master of Letters, M.Litt. (1990-1994); presso l’Università di Firenze il Dottorato di ricerca in Diritto Privato Comparato (1992-1995); e presso la Luiss G. Carli di Roma la laurea in giurisprudenza cum laude (1983-1987). E’ stata Fulbright Visiting Scholar presso la Harvard Law School, U.S.A. (2010). E’ autrice di due monografie e di vari articoli e saggi pubblicati su riviste italiane ed internazionali in materia di diritto societario italiano, inglese ed americano e di corporate governance. Dal 2013 è Amministratore non esecutivo ed indipendente e membro del Comitato controllo e rischi di SNAM S.p.a. E’ stata Amministratore non esecutivo ed indipendente, Presidente del Comitato Controllo e Rischi e membro del Comitato Remunerazione di Banca Profilo S.p.a. (2012-2015) e Sindaco effettivo di Telecom Italia S.p.a. (2012). E’ avvocato, iscritta nell’Albo Speciale del Consiglio dell’Ordine di Roma dal 1991 ([email protected])

Le interviste precedenti sono state fatte a:

Gianmaria Gros Pietro _luglio 2010 (N° 4);
Giovanni Maria Garegnani _ottobre 2010 (N° 5);
Carolyn Dittmeier _gennaio 2011 (N°6);
Mario Noera _aprile 2011 (N°7);
Maria Luisa Di Battista _luglio 2011 (N° 8);
Ferruccio Carminati _ottobre 2011 (N° 9);
Salvatore Maccarone _gennaio 2012 (N° 10);
Giancarlo Pagliarini _luglio 2012 (N° 12);
Marco Cecchi de’ Rossi _ottobre 2012 (N° 13);
Alberto Battecca _gennaio 2013 (N° 14);
Roberto Cravero _aprile 2013 (N° 15);
Marco Rescigno _luglio 2013 (N° 16);
Elisabetta Magistretti _ottobre 2013 (N° 17);
Marco Onado _febbraio 2014 (N° 18);
Enrico Maria Bignami _maggio 2014 (N° 19);
Laura Iris Ferro _luglio 2014 (N° 20);
Elisabetta Oliveri _novembre 2014 (N° 21);
Piero Manzonetto _febbraio 2015 (N° 22);
Ferdinando Superti Furga _ maggio 2015 (N° 23).


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