Diciamo la nostra

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Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati e con coloro che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità. In questo numero, Maritana Rinaldi,

Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati e con coloro che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.

In questo numero, Maritana Rinaldi, responsabile della Comunicazione Nedcommunity, ci ha proposto una “intervista a tre voci” sul Cambiamento Climatico, che rappresenta oggi una nuova sfida per i consigli di amministrazione.

Le “voci”, che sono quelle di Stefano Pareglio*, Sabrina Bruno** e Franco Amelio***, ci illustrano qual è l’impatto del cambiamento climatico sulle imprese, come i consigli di amministrazione devono affrontare questo tema e quali dinamiche si stanno affermando sui mercati in ambito sostenibilità.

Li ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

Il cambiamento climatico pone sfide rilevanti per i consigli di amministrazione. Da un lato per gli esistenti e per gli insorgenti obblighi di rendicontazione e di comunicazione ai mercati, dall’altro perché rappresenta una fonte di rischi e di opportunità rilevanti, in grado di incidere sulla generazione di valore nel tempo.

D: Prof. Pareglio, il cambiamento climatico è un tema di rilievo per le imprese italiane e, di conseguenza, per l’attività dei board?

R: Senz’altro sì, pur con un impatto diverso in ragione del settore industriale o finanziario considerato. I Rapporti dell’International Panel on Climate Change (IPCC) dicono che il clima sta cambiando per effetto delle emissioni climalteranti di origine antropica: anidride carbonica anzitutto, ma anche ossidi di azoto, metano e altri greenhouse gases (GHGs). I Paesi, nell’ambito della United Nation Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), cercano soluzioni globali che limitino l’emissione dei GHGs: un lavoro assai difficile per la natura multilaterale del negoziato. Solo il 12 dicembre 2015 con l’Accordo di Parigi (entrato in vigore il 4 novembre 2016) si è riusciti a stabilire un obiettivo condiviso a scala planetaria: limitare il riscaldamento globale “ben al di sotto” dei 2°C, proseguendo gli sforzi per mantenerlo entro 1,5°C. Questo risultato, dopo decenni di discussioni spesso includenti, è dovuto in parte alla formulazione non vincolante dell’Accordo, e in parte maggiore all’ormai diffusa consapevolezza degli ingenti e crescenti costi associati all’impatto fisico del cambiamento climatico. E qui veniamo alla sua domanda. Una credibile politica globale sul clima introduce – a fianco dei rischi fisici, di cui si è detto – una nuova rilevante categoria di rischi e di opportunità per le imprese, connessi alle innovazioni che interverranno in termini legali e regolatori (anche in termini di responsabilità), tecnologici, di mercato, reputazionali. Un esempio: l’Unione Europa stima tra 180 e 270 miliardi di euro/anno gli investimenti supplementari che si renderanno necessari per conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Tant’è che ha avviato nel 2018 un robusto piano di azione che modificherà sostanzialmente il mercato dei capitali a vantaggio della sostenibilità. E alcuni importanti Paesi si stanno impegnando in tal senso, da ultima la Germania. In sintesi: assisteremo a innovazioni così profonde nelle attività industriali e finanziarie che solo chi sarà in grado di sintonizzarsi sul cambiamento sopravviverà e magari si avvantaggerà della transizione. I board saranno quindi chiamati a integrare il tema del cambiamento climatico, e più in generale quello della sostenibilità, nelle proprie strategie industriali e a dare conto ai mercati delle decisioni assunte, specificandone l’impatto sulla redditività, sul valore degli asset e sui flussi di cassa nel medio e nel lungo termine. Si porrà dunque a breve anche un tema di competenze nei board.

D: Nella sua veste di coordinatore scientifico di programmi di ricerca e di attività di formazione sviluppati dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), ci racconta brevemente cosa sta facendo la Fondazione per supportare le imprese in materia di cambiamento climatico?

R: FEEM ha una lunga tradizione di studi e ricerche sul cambiamento climatico. Continuiamo ad avere rapporti scientifici con Università e centri di ricerca internazionali, e abbiamo molto sviluppato il confronto con le imprese, alle quali – nell’ambito del progetto di ricerca DeRisk-CO – offriamo una piattaforma gratuita di induction, scambio di esperienze e dialogo con regolatori e investitori in materia di carbon disclosure, affrontando temi quali l’analisi di scenario, la definizione di target quantitativi, i modelli per la stima monetaria degli impatti fisici ed economici del cambiamento climatico. A DeRisk-CO partecipano società quali A2A, Acea, Assicurazioni Generali, Barilla, Cattolica Assicurazioni, Edison, ERG, Hera, Iren, La Doria, Leonardo, Pirelli, Prysmian, SAIPEM, Sorgenia, Telecom Italia, Unipol. Anche Nedcommunity e Forum per la Finanza sostenibile sono partner dei nostri incontri.

(*) Stefano Pareglio – Associato Nedcommunity

È professore associato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna Microeconomia, Macroeconomia ed Economia dell’ambiente e delle fonti energetiche. Al Politecnico di Milano insegna Energy and Urban Planning. È Coordinatore scientifico del programma di ricerca Firms and Cities Towards Sustainability (FACTS) di Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM). È Direttore del Centro di Ricerche sull’ambiente, l’energia e lo sviluppo sostenibile (CRASL) e membro del Consiglio direttivo dell’Alta Scuola per l’ambiente (ASA) dell’Università Cattolica. Advisor di imprese quotate sui temi della sostenibilità, è stato ed è membro di Consigli di Amministrazione (A2A SpA: 2012-2014, 2014-2017; Azienda Trasporti Milanese SpA: 2017-2020). È Co-chair e co-fondatore dell’Italian Chapter of WEF’s Climate Governance Initiative ([email protected])

D: Professoressa Bruno, in che modo i consigli di amministrazione dovrebbero affrontare la sfida rappresentata dal cambiamento climatico?

R: Per quanto riguarda le società di rilevanti dimensioni (ovverossia con più di 500 dipendenti), le banche e le società assicurative e riassicurative, la disciplina introdotta dalla Direttiva N. 2014/95/UE – in vigore dallo scorso anno – prevede obblighi di trasparenza nella Dichiarazione non finanziaria in materia, tra le altre, di ambiente. Il contenuto informativo è stato di recente specificato e arricchito dalla Comunicazione della Commissione Europea N. 2019/C 209/01 che, sebbene non vincolante, costituisce un utilissimo punto di riferimento per i CdA. Le società interessate devono dunque informare il mercato sulle politiche adottate per fronteggiare i rischi e le opportunità derivanti dal cambiamento climatico, sia per quanto riguarda il suo impatto sull’attività della società (c.d. outside-in) che per quanto riguarda gli effetti che l’attività della società provoca all’ambiente (c.d. inside-out). In aggiunta, anche se né la Direttiva Europea, né il decreto italiano di recepimento n. 254 del 30 dicembre 2016, si riferiscano esplicitamente agli obblighi di gestione degli amministratori, dall’obbligo di trasparenza discendono precise conseguenze sull’attività dei CdA nella governance del fattore climatico. Oggetto di informazione, secondo la disciplina, sono infatti: il modello di business, le politiche e la due diligence, i risultati di queste politiche, i rischi e la loro gestione. Per rappresentare il modello di business, il CdA deve avere pianificato la strategia della società, nel medio-lungo termine, tenendo in considerazione anche i rischi e le opportunità legate al cambiamento climatico; questa informazione sottende dunque la valutazione della resilienza del modello di business originario rispetto alle sfide derivanti dal cambiamento climatico, tenendo conto dei vari possibili scenari (da 1.5 grado in su) perché non è possibile prevedere quale scenario si concretizzerà. Per quanto riguarda le politiche e la due diligence, i risultati di queste politiche e la corretta identificazione e gestione dei rischi, queste informazioni sottendono la considerazione del cambiamento climatico, da parte del CdA, nell’ambito dell’obbligo di valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile di cui all’art. 2381 c. 3 c.c. Pertanto la trasparenza sui rischi e le opportunità legate al cambiamento climatico presuppone la loro considerazione nella definizione della strategia, nella corretta valutazione degli assets ed identificazione e gestione dei rischi.

D: Lei si occupa attivamente di cambiamento climatico anche in Nedcommunity. Cosa sta facendo l’associazione su questo tema?

R: Coerentemente con la sua missione principale, Nedcommunity si propone di contribuire a formare e sensibilizzare gli amministratori non esecutivi su questo tema recente ed in continua evoluzione. Ha perciò attivato un Gruppo di lavoro anche grazie al contributo dell’ Italian Chapter of WEF’s Climate Governance Initiative – costituito nel dicembre 2017 con l’obiettivo di sostenere il World Economic Forum nell’iniziativa che mira ad accrescere competenza e consapevolezza, a livello internazionale, dei consigli di amministrazione sul cambiamento climatico – e della Fondazione Eni Enrico Mattei. L’intento è quello di organizzare seminari ed altri incontri sul tema. Oltre ad un reflection group dedicato, tenutosi nel marzo 2019, il 5 giugno 2019, a Milano, sono stati presentati e discussi i Principi Guida, ” How to Set Up Effective Climate Governance on Corporate Boards“, elaborati dal World Economic Forum. Numerose altre iniziative sono in cantiere e saranno annunciate a breve.

(**) Sabrina Bruno – Associata Nedcommunity

È professore ordinario presso l’Università della Calabria dove insegna Diritto Privato Comparato e Diritto Commerciale. Alla Luiss G. Carli insegna Law and Economics (Business and Company Law). Ha ottenuto un M.Litt. dalla Oxford University, un Phd. dall’Università di Firenze. È stata Visiting Scholar presso la Stanford Law School (2019), la Harvard Law School (2010), la Southern Methodist University of Dallas (1998), la University of California, Davis (1995). È stata amministratore non esecutivo in: Snam s.p.a. e presidente del comitato sostenibilità (2013-2019), Banca Apulia (2016-2019), Veneto Banca – nominata dal Fondo Atlante (2016-2017), Banca Profilo (2012-2015). È Chair e co-fondatore dell’Italian Chapter of WEF’s Climate Governance Initiative

([email protected])

D: Dottor Amelio, dal suo punto di osservazione, come si sta muovendo il mercato sulle tematiche di sostenibilità?

R: Deloitte ha un ruolo privilegiato quando parliamo di analisi dei trend in atto nelle organizzazioni in ambito di approccio alla sostenibilità. Nel 2018, infatti, con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 254/2016, abbiamo avviato una ricerca (l’Osservatorio Nazionale sulla Rendicontazione non Finanziaria ex D.Lgs. 254/2016), con il supporto scientifico di SDA Bocconi School of Management, con l’obiettivo di indagare le interconnessioni tra gli obblighi normativi di rendicontazione e la creazione di valore da parte delle organizzazioni, attraverso l’analisi delle informazioni contenute all’interno dei documenti di informativa non finanziaria di un campione di circa 200 società italiane.

La prima ricerca, che ha considerato le dichiarazioni di carattere non finanziario al primo anno di rendicontazione obbligatoria ex D. Lgs. 254/2016, aveva consentito di identificare i principali elementi del percorso di sviluppo intrapreso dalle imprese italiane e fare una dettagliata fotografia della situazione di partenza di alcuni elementi fondamentali dell’informativa non finanziaria, tra cui la governance delle tematiche di sostenibilità, l’analisi di materialità e il coinvolgimento degli stakeholder, la definizione di una strategia e obiettivi in ambito di sostenibilità.

Con la presente edizione 2019 dell’Osservatorio, i cui risultati saranno presentati nel mese di ottobre, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti, approfondendo trend, evoluzioni e progressi delle organizzazioni nel secondo anno di rendicontazione obbligatoria. In generale, si è riscontrato che le imprese italiane hanno migliorato la strutturazione dei propri sistemi di governance di sostenibilità. Relativamente agli stakeholder, si è notato che le loro necessità e le loro aspettative sono prese maggiormente in considerazione per identificare le tematiche di sostenibilità più rilevanti per le organizzazioni. Si è infine assistito ad un incremento nel numero di imprese che hanno scelto di includere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite all’interno della Rendicontazione non Finanziaria e sarebbe auspicabile un aumento nel numero di organizzazioni che definiscono specifici obiettivi di medio e lungo termine in relazione ai temi non finanziari, anche in risposta ad un’incalzante richiesta da parte del mercato e degli stakeholder di reperire informazioni prospettiche all’interno della Rendicontazione non Finanziaria.

Infine, è risultato significativo il numero di società che ha cominciato a trattare all’interno della propria Rendicontazione non Finanziaria il tema del climate change: un trend che si augura possa essere in constante crescita, anche alla luce della recente pubblicazione delle Guidelines on reporting climate-related information della Commissione Europea.

D: In che misura il cambiamento climatico sta diventando un tema di interesse rilevante per i mercati?

R: Il climate change e la relativa gestione dei rischi/opportunità per le aziende e le istituzioni finanziarie sta assumendo una rilevanza cruciale nelle politiche di indirizzo della Commissione Europea. Il cambiamento in atto è considerato da molti epocale; la nuova tassonomia dei prodotti finanziari prevista dall’Action Plan – il Business Roundtable che sancisce la necessità di salvaguardare gli stakeholders e proiettare le aziende nella creazione di valore nel medio-lungo periodo – e il Fashion Pact – che riunisce il 20% delle aziende al mondo che operano nel settore della moda e del lusso per lavorare insieme sui temi di sostenibilità – rappresentano solo alcuni esempi di accelerazione repentina su questi aspetti considerati urgenti e imprescindibili. A questo proposito, le raccomandazioni delle Guidelines on reporting climate-related information, recentemente emanate dalla Commissione Europea, integrano il documento sul reporting non finanziario emanato dalla stessa nel 2017 e mettono in luce quali siano i benefici della disclosure di informazioni legate al clima. Tra questi, risulta particolarmente rilevante la possibilità di accrescere il livello di consapevolezza delle imprese relativamente ai rischi e alle opportunità correlati al clima, nonché la possibilità di rendere più costruttivo il dialogo con gli stakeholders. Questi elementi possono contribuire a migliorare la gestione dei rischi, i processi decisionali, la disclosure finanziaria (pensiamo agli impatti sui costi, gli investimenti, le poste valutative) e la definizione di piani strategici aziendali che integrino i temi ESG nella creazione di valore. La rendicontazione di queste tematiche genera consapevolezza, e solo la consapevolezza può aiutare a limitare le conseguenze negative che il cambiamento climatico genera e aiutare a cogliere le innumerevoli opportunità che i nuovi mercati offriranno alle aziende innovative.

(***) Franco Amelio.

È componente del Sustainability Leadership Team di Deloitte a livello Global e responsabile della divisione Sustainability di Deloitte in Italia, Grecia e Malta. Vanta una esperienza pluriennale di coordinamento e realizzazione di progetti sui sistemi di Corporate Social Responsibility su gruppi italiani e internazionali. È impegnato da diversi anni nello svolgimento di servizi professionali di assurance e compliance relativamente al reporting di sostenibilità e al bilancio integrato. Ha pubblicato diversi articoli su riviste specializzate, è stato relatore di seminari, trasmissioni televisive e workshop sia a livello nazionale che internazionale sui temi legati alla sostenibilità applicata nelle organizzazioni e sui processi aziendali. lang=”en-gb” style=”color:#323130″ xml_lang=”en-gb”>Executive Education Program – Harvard Business School: “Creating Shared Value”. È membro del Consiglio Direttivo del GBS e del Gruppo di Lavoro sulle “Non Financial Information” di Assirevi, componente del Comitato di Coordinamento del Corporate Reporting Forum.

([email protected])

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