Deglobalizzazione? Serve un cda competente
In un mondo in rapida e profonda trasformazione, dove gli equilibri geopolitici rischiano di consegnarci un panorama del tutto stravolto e inedito, si moltiplicano i rischi e le sfide per le aziende. Ecco perché un board deve avere visione e agire come una squadra dove i singoli talenti si integrano e potenziano

In un mondo sempre più interconnesso ma, paradossalmente, segnato da nuove spinte centrifughe, parlare di deglobalizzazione non è più un esercizio teorico. È la realtà. La recente guerra commerciale innescata dalla nuova amministrazione USA non è che l’ultima scossa di un sisma più profondo, che mette in discussione assetti e certezze consolidate dal secondo dopoguerra a oggi. Il risultato? Equilibri geopolitici in movimento, filiere produttive da ripensare, alleanze economiche che si riconfigurano sotto nuove bandiere. In questo scenario, le imprese non possono permettersi di restare ancorate a modelli di governance del passato. Serve un cambiamento culturale, prima ancora che strutturale. Serve un board nuovo, consapevole, capace.
Governance consapevole: non è (solo) questione di compliance
Negli ultimi anni, la sostenibilità è stata al centro della narrazione economica e aziendale. Tuttavia, proprio mentre le sue molteplici declinazioni – ambientale, sociale, inclusiva, di governance – avrebbero bisogno di maggiore attenzione, si assiste a un preoccupante riflusso. In un clima di incertezza globale, temi come diversity, gender equality, net zero o trasparenza rischiano di passare in secondo piano. Troppo “costosi”, troppo “complessi”, troppo “ideologici”, si sente dire. Eppure, proprio in contesti di instabilità, questi fattori diventano leve strategiche per leggere il cambiamento e anticiparlo.
La governance non può essere vista soltanto come un adempimento normativo, ma come un vero e proprio asset competitivo. In questo senso, il consiglio di amministrazione non è soltanto un luogo di controllo, ma il motore della visione aziendale. Ma per funzionare, deve essere una squadra. Una squadra vera.
La forza del consiglio sta nella sua composizione
Un board efficace è quello in cui le competenze si integrano e si potenziano. Serve pluralità di esperienze, visioni, sensibilità. E serve che ogni voce sia messa nelle condizioni di esprimersi. In questo, la figura dei non-executive directors (NED) gioca un ruolo sempre più centrale. Professionisti indipendenti, capaci di portare sguardi nuovi, di porre le domande giuste, di evitare l’autoreferenzialità.
Il valore dei NED non si esaurisce nella loro “neutralità”. Al contrario, risiede nella loro capacità di affiancare la direzione aziendale senza farsi inglobare, mantenendo una distanza critica costruttiva. In un contesto in cui le aziende sono chiamate a rispondere non solo agli azionisti ma a una pluralità di stakeholder, la presenza di consiglieri con competenze ESG, geopolitiche, digitali e interculturali è tutt’altro che opzionale: è una necessità.
Competenze, inclusione e visione: il nuovo identikit del board
L’agenda di un cda moderno non può più limitarsi ai bilanci e ai piani industriali. Deve includere la valutazione dei rischi reputazionali, la lettura dei segnali deboli provenienti dai mercati internazionali, la gestione della complessità normativa, l’impatto sociale delle scelte strategiche. Serve, dunque, un’alleanza tra profili complementari: giuristi, economisti, esperti di sostenibilità, innovatori tecnologici, rappresentanti di culture diverse.
Ma attenzione: la diversity non è solo una questione numerica o di genere. È una questione di approccio, di background, di modalità di pensiero. Solo un cda davvero inclusivo può generare valore nel lungo periodo, perché capace di vedere ciò che altri non vedono, di ascoltare ciò che altri non sentono.
Il board del futuro è già necessario oggi
In tempi turbolenti come quelli attuali, il cda non può più permettersi di essere un organismo statico o autoreferenziale. Deve essere dinamico, inclusivo, informato. Deve avere il coraggio di anticipare le sfide, senza aspettare che si trasformino in crisi. La deglobalizzazione non è una parentesi: è una traiettoria. E richiede, oggi più che mai, una guida consapevole, preparata, visonaria.
Il board del futuro? È quello che, già oggi, si prepara al mondo che verrà. Con umiltà, competenza e coraggio.