Dati Cumulativi: come i ned dovrebbero leggere il rapporto Mediobanca
Dietro i numeri, fra le pieghe dei bilanci, si nascondono tante informazioni e numerose domande che un board è chiamato a porsi per essere certo di governare al meglio una fase ricca di incognite e di cambiamenti
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Nel presentare i nuovi Dati Cumulativi sull’andamento di 1.905 società italiane nel periodo 2015-2024, l’Area Studi Mediobanca offre una fotografia ricca, a tratti confortante, ma anche intrisa di contraddizioni. Per un consigliere di amministrazione, il punto non è soltanto comprendere l’andamento del proprio settore ma interpretare questi dati in chiave strategica, interrogarsi su cosa rivelino realmente sul modello aziendale adottato e sul suo potenziale futuro.
Fatturato: stabilità apparente, volatilità reale
Nel 2024 il fatturato complessivo arretra del 2,4%: un dato non drammatico se confrontato con la volatilità del decennio, ma che impone ai board una riflessione sulla reale resilienza del proprio posizionamento. I forti rimbalzi post-pandemia (+22% nel 2021, +28,1% nel 2022) sono stati sostenuti dall’inflazione. Per molti consiglieri la domanda cruciale diventa capire quanto della crescita recente sia “autentica” e quanto invece sia un effetto prezzo.
Il made in Italy continua a sovraperformare la media, sia nel decennio sia nel 2024. È un vantaggio competitivo da considerare un asset strategico, ma non immune da rischi. La sua forza è concentrata in specifiche filiere e vulnerabile a shock commerciali, come la crescita dei dazi statunitensi.
Domanda chiave per i board: “La nostra crescita è trainata da volumi o da prezzi? E quanto è replicabile in uno scenario di normalizzazione inflattiva?”.
Un decennio sostenuto da rendimenti eccezionalmente elevati
La redditività media del campione nel 2023-2024 (circa 6,5%) è superiore a quella del periodo 2015-2022 (5,5%). È un risultato positivo, ma non va letto come garanzia di stabilità futura. Le società pubbliche superano il 9% di Ebit margin grazie alla forte presenza in settori oligopolistici e capital intensive; il privato mostra un rallentamento nel 2024 (dal 6,1% al 5,7%).
L’impatto simulato dei nuovi dazi USA è limitato (-0,2 punti percentuali), ma suggerisce qualcosa di più profondo, la vulnerabilità del manifatturiero agli shock internazionali.
Cosa dovrebbero chiedersi i consiglieri: “Quanto del margine deriva da condizioni di mercato non replicabili? Il nostro settore sta mostrando resilienza strutturale o stiamo beneficiando di cicli eccezionali?”.
Investimenti: un divario che merita attenzione strategica
Nel 2024 gli investimenti materiali netti raggiungono il 4,1% del fatturato, massimo decennale. Ma questo risultato poggia quasi interamente sul settore pubblico (8,7%), mentre il privato resta più cauto (3%).
Questo dato pone due problemi che i board non possono ignorare:
- il Paese cresce grazie agli investimenti pubblici, nonostante quelli privati.
Per molte imprese questo può essere un segnale di prudenza ragionevole o un rischio di sottoinvestimento competitivo; - una quota consistente degli investimenti è destinata a settori a bassa capacità di creare valore.
Tra il 21% e il 27% degli impieghi va in comparti strutturalmente deboli: è un tema che chiama in causa anche la governance.
Una domanda scomoda ma necessaria: “Stiamo investendo dove serve davvero o stiamo solo sostenendo attività legacy per inerzia?”.
Occupazione: crescita solida, ma con dinamiche divergenti
La forza lavoro cresce del 9,5% nel decennio, trainata dal IV Capitalismo (+16,9%) e dal made in Italy (+16,7%). La crescita occupazionale è un segnale di vitalità, ma non deve far trascurare due fattori. La produttività nel terziario cresce meno del costo del lavoro e l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei lavoratori. Sarebbero serviti circa 4.000 euro pro-capite per riportare il costo del lavoro reale ai livelli pre-inflazione.
Molte imprese avrebbero potuto redistribuire parte del valore generato senza compromettere la remunerazione degli azionisti, un punto che chiama in causa la responsabilità sociale dei board.
Creazione di valore: come distinguere vincitori e perdenti
Il dato più eloquente dell’indagine è forse questo: 7.600 euro medi annui di valore creato per addetto, ma con una dispersione estrema. Le imprese pubbliche generano 22,7 mila euro soprattutto grazie all’alta marginalità dei comparti energetici, mentre quelle private si fermano a 4,6 mila euro mentre ilterziario addirittura distrugge valore (-0,8 mila euro).
Nel manifatturiero emergono con nettezza i campioni strutturali: farmaceutico, bevande, gomma-cavi, cartario, legno-mobili, alimentare, meccanica, pelle-cuoio.
Per i consigli di amministrazione questo significa due cose: primo,che non tutti i settori hanno la stessa dignità strategica. Un’impresa può essere “performante” in un settore che distrugge valore, e questo deve entrare nella valutazione dei piani di lungo periodo. Secondo, che la vitalità del IV Capitalismo non è solo un mito narrativo e i dati confermano la sua centralità nella creazione di valore e dell’occupazione.
Come un consigliere dovrebbe valutare il proprio rapporto di gestione in questo contesto
Alla luce di ciò, un board responsabile non può limitarsi a verificare se la propria performance supera quella dei concorrenti diretti. È necessario un approccio più ampio e critico, orientato a domande che spesso nei CDA non trovano spazio.
1. Abbiamo creato valore o solo margine? L’aumento dei margini non sempre coincide con un miglioramento del modello industriale.
2. Stiamo investendo abbastanza rispetto ai campioni del nostro settore? La prudenza eccessiva oggi può tradursi in perdita di competitività domani.
3. Il nostro capitale umano sta beneficiando della crescita aziendale? Il tema della distribuzione del valore non è più solo sociale, è strategico.
4. Il nostro portafoglio attività contiene comparti strutturalmente improduttivi? In alcuni casi può essere necessario riconvertire, in altri disinvestire.
Siamo preparati a shock esterni, tariffari, energetici, tecnologici?
La simulazione dei dazi USA mostra che molti impatti sono “piccoli sulla carta”, ma potenzialmente corrosivi se protratti nel tempo. Il ruolo dei consiglieri non è leggere i numeri, ma interpretarli. Il nuovo decennio si apre con aziende italiane complessivamente solide, ma la lettura dei dati suggerisce che la resilienza non è uguale per tutti e non è garantita. Ai consiglieri spetta il compito – spesso scomodo – di separare ciò che appare stabile da ciò che lo è davvero, di interrogarsi sulle scelte passate e di sfidare le ipotesi sottostanti ai piani industriali. La competitività dei prossimi anni non dipenderà solo dai risultati economici, ma dalla qualità delle decisioni prese oggi. E questa qualità nasce solo da una valutazione critica, profonda e non convenzionale dei dati disponibili.

