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Più attenzione sulla divulgazione dell’executive compensation

Nedcommunity ha proceduto a raccogliere le opinioni di quattro giornalisti specializzati su questo tema molto delicato per le aziende. Ecco i risultati

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C’è un momento dell’anno in cui i giornali, quelli specializzati in particolare, si occupano di remunerazioni ed è la stagione delle assemblee annuali che procedono all’approvazione delle politiche di incentivazione e remunerazione e considerano i rapporti sulle remunerazioni conferite. Al di fuori di questi riti, l’attenzione della stampa sulle remunerazioni viene attratta da episodi di divulgazioni inattese che per il modo in cui sono venute alla luce o per le cifre in gioco offrono aspetti scandalistici che possono attrarre i lettori.

L’occhio della stampa su entrambi questi aspetti, il rito e lo scandalo, evolve nel tempo. Sotto la spinta dei proxy advisors, dei fondi attivisti e di numerosi stakeholders in un mondo reso sempre più complesso dai temi ESG, i giornalisti si interrogano su come le imprese rispondono alle nuove sfide inglobando criteri di governance, di ecologia, di benessere comunitario nelle loro politiche di incentivazione e remunerazione. Allo stesso tempo l’attenzione della stampa nel caso di episodi scandalistici va sempre di più a concentrarsi non tanto sulle cifre assolute, bensì sulle motivazioni, ossia il collegamento tra le cifre e le prestazioni. Su queste ultime, infatti, si cerca di fare luce, ma la ricerca si arricchisce (o si complica) proprio per l’introduzione dei nuovi criteri.

Ma qual’ è il punto di vista dei giornalisti? Nell’ambito di un Reflection Group sulla divulgazione delle remunerazioni coordinato da Sandro Catani e composto oltre che dagli autori da Fabiola Mascardi e Barbara Poggiali, Nedcommunity ha proceduto a raccogliere le opinioni di quattro giornalisti specializzati[1] chiedendo le loro opinioni circa:

– l’evoluzione del contesto

– come le aziende comunicano sulle remunerazioni

– come evolve il pubblico

– le informazioni ai dipendenti

Contesto

C’è un consenso che lo sforzo comunicativo sul tema dell’executive compensation, soprattutto da parte delle aziende quotate, è cresciuto nel tempo e che queste ottemperano con scrupolo a quelli che sono gli obblighi di divulgazione. C’è anche un consenso che è aumentata la sensibilità sul pagamento dei così detti super stipendi anche a causa dell’acuirsi delle disparità sociali (dove la pandemia non ha aiutato) e questo rende delicato il tema della divulgazione: se non viene fatto uno sforzo – che dovrebbe unirsi a un cambiamento culturale – per spiegare come funzionano i piani di incentivazione e remunerazione, si rischia di acuire il disagio sociale.

Come comunicano le aziende

Due sono gli aspetti della comunicazione aziendale che più colpiscono i giornalisti intervistati: la complessità delle politiche e la mancanza di chiarezza sul rapporto tra i compensi e i benefici apportati non solo all’azienda ma all’intera comunità.

Vi è un consenso che le aziende si devono attivare per comunicare meglio e meglio illustrare le strategie perseguite, anche perché più l’azienda saprà contestualizzare la “genesi” delle cifre erogate e la loro variazione temporale, più minimizzerà l’insorgenza di scandali.

Un rilievo interessante riguarda i compensi in azioni o stock options: legare l’interesse del manager con quello dell’azionista si fa per ovviare al problema di agenzia, rischiando, però, di confondere guadagno per merito con guadano per rendita. Le aziende devono curare questo aspetto della divulgazione dei compensi.

Un altro punto comunemente enfatizzato è l’importanza che comincia a rivestire la capacità di collegare retribuzioni alla creazione di valore non solo per l’azienda ma per l’intera società: “Premia l’attenzione al sociale, alla comunità, ai dipendenti e ai rapporti con le ONG. Essere proattivi su questo fronte è segno di modernità e dimostra che l’azienda è al passo con i tempi”, dice un giornalista.

L’evoluzione della audience

Se le aziende sono sempre di più chiamate a tener conto del loro impatto su ambiente e società, è perché si è espanso il pubblico che presta loro attenzione: non più solo azionisti, clienti e fornitori ma anche le numerose rappresentanze di interessi riguardanti qualità ambientale, welfare comunitario, parità di genere. Secondo i giornalisti intervistati, manca ancora la consapevolezza di come sta cambiando l’ecosistema finanziario e i soggetti che lo compongono. “Occorre un cambio culturale nelle aziende che permetta affinare le strategie di comunicazione, tenendo in considerazione pubblici più ampi che vadano oltre a chi tradizionalmente scartabella le relazioni assembleari,” dice un giornalista. Nella pratica, occorre iniziare con una mappatura di tutti gli interlocutori identificandone interessi, sensibilità e orientamento nei confronti dell’azienda.

La comunicazione verso i dipendenti

Non c’è nulla di peggio di quando i dipendenti scoprono quanto stanno guadagnando i loro capi da un quotidiano. L’azienda deve quindi informare al proprio interno, puntualmente e tempestivamente, anche sulle retribuzioni. I dipendenti sono i primi “giornalisti” di un’azienda e con l’avvento dei social hanno efficaci mezzi di diffusione di notizie e di aggregazione di opinioni. In questo ambito la comunicazione deve far sì che non vada a scapito di un buon rapporto tra capi e dipendenti. Il divario che inevitabilmente si manifesterà tra la remunerazione delle posizioni apicali e la media dei dipendenti va spiegata e confrontata con quella di altre realtà. Ancora più delicata può essere la situazione di aziende in dissesto che potrebbero stare premiando ristrutturazioni e licenziamenti, generando tra i dipendenti sentimenti negativi nei confronti dei manager.

Una questione di cultura? La stampa tende ad essere sensazionalista ed è attratta dalle discontinuità, dalle cifre della remunerazione totale che spesso appare esorbitante, dai multipli eclatanti rispetto alla retribuzione media dei dipendenti. I giornalisti tendono a considerare l’andamento dell’azienda a fronte di compensi alti per vedere se vi è coerenza: fanno particolarmente notizia i manager che prendono bonus nonostante le scarse performance dell’azienda. “In Italia prevale ancora la visione che gli stipendi alti non siano giustificabili a priori…. tuttavia, dare un giudizio morale è una cosa, darne uno sull’efficienza e sul business è un’altra…. nel giornalismo italiano spesso prevale ancora il primo approccio incentrato sul moralismo, mentre bisognerebbe entrare un po’ più nel merito dei numeri”, dice un giornalista. Una giusta contestualizzazione del dato ridurrà il rischio di letture critiche, di dietrologie, di “ricami narrativi” da parte della stampa.


[1] Danilo Taino (Corriere della Sera); Fabio Bogo (Repubblica); Luca Gualtieri (Milano Finanza); Lorenzo Brufani (CEO di Competence, agenzia di media relations)

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