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Covid-19 e imprese: non solo un tema di liquidità

Ricapitalizzare le PMI è fondamentale ma bisogna dare priorità alle aziende più innovative

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In risposta allo scoppio della pandemia, nei primi mesi del 2020 i governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno introdotto numerose misure per fornire liquidità alle imprese non finanziarie, per lo più in forma di prestiti tramite il settore bancario. Questi interventi hanno contribuito a garantire la sopravvivenza del tessuto economico nel breve periodo, ma anche ad aumentare il livello di indebitamento delle imprese e quindi il loro rischio di default. Nel medio e lungo periodo è quindi necessario riporre l’attenzione sul livello di capitalizzazione delle imprese, anche per scongiurare un nuovo aumento di crediti deteriorati nei portafogli bancari e un massiccio uso delle garanzie pubbliche di supporto al credito.

Ricapitalizzare le imprese non è semplice, in particolare se si tratta di piccole e medie (PMI) per le quali non si possono usare i tradizionali strumenti utilizzati per le aziende quotate. C’è bisogno di strumenti di quasi equity, cioè di strumenti che consentano loro di ripagare il dovuto una volta tornate alla profittabilità senza al contempo dare ai creditori alcun diritto sulla governance societaria. Inoltre, bisogna riuscire a stimare correttamente il fabbisogno di capitale. E infine bisogna decidere quali ricapitalizzare o, almeno, a quali dare la priorità.

In un recente lavoro con Tommaso Oliviero, Marco Pagano, Loriana Pelizzon e Marti Subrahmanyam abbiamo provato a stimare questo fabbisogno per un campione di oltre 80mila imprese italiane. Data la difficoltà di prevedere l’evoluzione della pandemia, l’esercizio stima l’erosione patrimoniale dovuta alla contrazione dei ricavi indotta dalle misure di lockdown, al netto delle misure di supporto quali la cassa integrazione.

Ne esce un quadro preoccupante: un periodo di lockdown totale come quello della primavera del 2020 della durata di tre mesi comporta nelle nostre stime ad una contrazione di profitti per le imprese del campione pari a 170 miliardi di euro e a un’erosione patrimoniale di circa 117 miliardi di euro. A seguito di tale erosione 13.500 imprese, che impiegano quasi il 9% dei lavoratori nel nostro campione e che sono in larga prevalenza PMI, avrebbero un patrimonio netto negativo e sarebbero quindi a rischio di insolvenza.

L’approccio in Europa

Sono numeri rilevanti che richiamano l’attenzione sull’importanza di ricapitalizzare le PMI. L’argomento è stato affrontato già in varie sedi nazionali ed internazionali, ma ad oggi gli interventi sono ancora limitati. Nella preparazione del piano chiamato Next Generation EU la Commissione europea aveva inizialmente previsto il cosiddetto programma “Solvency Support Instrument” che avrebbe mobilitato ingenti risorse per la ricapitalizzazione di imprese sane in assenza della pandemia, specialmente in paesi con limitato spazio fiscale. Purtroppo lo strumento venne cancellato nella fase di approvazione del programma al Consiglio Europeo per la necessità di trovare un accordo sull’allocazione dei 750 miliardi tra prestiti e sussidi.

Più recentemente l’argomento è tornato alla ribalta nell’ambito dei piani nazionali sull’utilizzo dei fondi del Recovery Fund. In molti hanno discusso anche in Italia la necessità di pensare a un programma di ricapitalizzazione delle PMI come punto cardine per la ripresa.

I criteri da usare

La domanda è con quale criteri approcciare questa ricapitalizzazione, o in altri termini quali imprese o settori dovrebbero essere il target prioritario di un tale programma. La risposta contiene aspetti di politica economica.

Come evidenziato dal nostro studio, le imprese più colpite dalla pandemia sono quelle di piccole e medie dimensioni operanti in settori quali quello manifatturiero, del commercio all’ingrosso o turistico, che spesso sono anche realtà ad alta intensità di manodopera. Aiutare queste imprese significa sostenere l’occupazione, ma non implica necessariamente assicurare un sistema produttivo solido e resistente.

Una alternativa, probabilmente più rischiosa ma al contempo più remunerativa, sarebbe invece quella di dare priorità a imprese innovative ad alto potenziale, che possano garantire una maggiore crescita futura. L’equilibrio tra sostenere l’occupazione oggi e investire in crescita futura contiene chiaramente un difficile trade-off. L’auspicio è che ci sia una visione di medio lungo periodo e che ci si appresti a usare questa crisi come una vera opportunità di cambiamento.

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