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Corporate Sustainability Due Diligence: prevenzione in chiave Esg

La proposta di direttiva europea obbliga le grandi imprese a identificare ed evitare rischi ambientali e violazioni dei diritti umani su tutta la catena di valore. Più responsabilità per ned e cda

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Una rivoluzione normativa che promette di avere un fortissimo impatto su amministratori e aziende. Stiamo parlando della proposta di Direttiva Europea sulla Corporate Sustainability Due Diligence che ha visto la luce il 23 febbraio del 2022 e che mira a dare una concreta risposta a una crescente esigenza di regolamentare le catene del valore a livello globale, con particolare riguardo ai loro impatti negativi sull’ambiente e sulle persone.

Un’iniziativa lodevole che, come ha ribadito il presidente di Nedcommunity, Maria Pierdicchi, nel corso di un webinar tenutosi il 24 maggio dal titolo “Direttiva Europea sulla Corporate Sustainability Due Diligence: quali cambiamenti per i CDA?” “è al centro di un dibattito serrato per le implicazioni che avrà sulla responsabilità dei consiglieri ma anche su tutta una serie di obblighi in carico alle aziende. Dal nostro punto di vista non possiamo non sottolineare come prometta di cambiare le competenze dei ned ma ponga anche un problema di responsabilità in capo ai consiglieri che potrebbe spingere molti a non sedere più in alcuni board”. Il riferimento è gli articoli 25 e 26 sul directors’ duty of care, ovvero l’obbligo, per i membri del consiglio di amministrazione, di tenere in considerazione gli impatti che ogni loro decisione possa avere in termini di diritti umani, cambiamento climatico e ambiente.

Catena del valore sotto i riflettori

Come ha spiegato Michele Siri, Jean Monnet Professor Università di Genova e associato Nedcommunity “il campo di applicazione è al momento configurato attraverso un criterio quantitativo perché riguarda solo le grandi imprese europee con più di 500 dipendenti e un fatturato globale netto di più di 150 milioni di euro e le imprese non europee con fatturato nella Ue di oltre 150 milioni. In realtà la platea è molto più ampia perché il perimetro non riguarda soltanto la società ma anche l’intera catena del valore a monte e a valle coinvolgendo quindi anche imprese piccole e medie”.

Le aziende saranno chiamate a effettuare una due diligence sui rischi di impatti negativi potenziali ma anche concreti sui diritti umani e sull’ambiente con riferimento “alle proprie operazioni, le operazioni delle proprie controllate, e le operazioni all’interno della propria catena del valore svolte da soggetti con cui l’azienda ha una relazione commerciale stabile”. Ma non basta: dovranno stilare un piano per la prevenzione e l’implementazione di un sistema di controlli interni e di un monitoraggio esterno da parte di autorità di vigilanza nazionali. “A fronte di impatti negativi – continua Siri – sarà possibile ripensare le strutture contrattuali con fornitori e terze parti fino ad arrivare all’interruzione dei rapporti con chi provoca impatti negativi”.

Ma il vero nodo che promette di avere un forte impatto sugli amministratori, come ha osservato Guido Ferrarini, presidente del Comitato Scientifico Nedcommunity, “è che la direttiva prevede una responsabilità civile, al fine di risarcire le vittime in caso di danni e una responsabilità degli amministratori rispetto alla corretta attuazione della due diligence e alla sua integrazione nella strategia aziendale. Pur in un quadro generale positivo la norma rischia di ridurre la sostenibilità a un insieme di procedure e di compliance con evidenti rischi di sanzione e di burocratizzazione”.

Il ruolo dei ned e della Vigilanza

È dello stesso parere Margherita Bianchini, direttrice Area Diritto Societario, Assonime: “La direttiva interviene sul profilo di colpa da organizzazione. Il criterio generale di comportamento è quello di agire nell’interesse superiore della società e tenendo conto dell’impatto delle decisioni dell’azienda sugli stakeholder, soprattutto in merito ai principi Esg. Il compito degli amministratori sarà quello di creare un bilanciamento”.

Chiara Mosca, commissario Consob ha parlato di una “proposta rivoluzionaria. Ci troviamo di fronte alla volontà di plasmare il settore privato perché tenda a obiettivi diversi in chiave Esg e di sostenibilità. Il legislatore europeo ha emanato nel tempo una serie di atti normativi molto invasivi che impattano soprattutto sulla trasparenza, aspetto ‘antico’ della corporate governance e oggi con questa direttiva si aggiunge la nozione chiave della catena del valore e una chiara estensione di responsabilità. Chi vigilerà? La direttiva è così rivoluzionaria per cui una riflessione deve essere fatta nel più breve tempo possibile su questo punto cruciale”.

Rischio burocratizzazione

Sui rischi di un’eccessiva burocratizzazione si è soffermato anche Michel De Fabiani, Chair of Policy Committee, ecoDa, Brussels, con un passato di top manager in molte aziende di primo piano che non ha esitato a definire la direttiva “un vero uragano che imporrà un forte aggravio di lavoro sul fronte legislativo. Noi supportiamo il cambiamento della nostra economia nel rispetto dei principi Esg ma consigliamo di lasciare il format finale alle singole nazioni e di abolire gli articoli 25 e 26. L’intenzione della Direttiva è buona ma abbiamo bisogno di un assetto normativo più snello, preciso, efficiente, chiaro”.

Secondo Lucia Silva, responsabile Sustainability and Social Responsibility, Generali “le norme che abbiamo oggi sono quelle che sognavamo ma stanno arrivando tutte insieme. Adesso è necessario che si parlino. Alle grandi istituzioni è richiesto un enorme sforzo di trasparenza ma l’obiettivo che si vuole raggiungere è di certo positivo. Questi provvedimenti ci stanno traghettando verso una stakeholder economy. Noi come Generali siamo pronti, la sostenibilità è stata messa al centro da tempo. Per un player assicurativo applicare alla catena del valore questi principi significa avere delle regole di esclusione: si pensi che non assicuriamo più il settore carbone, delle armi e del nucleare“.

Di sostenibilità come faro dell’azione di business ha parlato anche Francesca Bressani Doldi, Coordination of Processes and Controls, Ambienta SGR S.p.A., fondo di private equity specializzato in tematiche ambientali. “Abbiamo come missione la sostenibilità e tutti i prodotti sono rispettosi dei principi di diversity and inclusion e allineati verso il rispetto dei diritti umani e ambientali”.

Vincenzo Cariello, full professor of Company and Commercial Law, Faculty of Law, Università Cattolica Milano, associato Nedcommunity ha posto due questioni di carattere prettamente giuridico: “La sostenibilità è un paradigma del diritto costituzionale italiano? E del diritto societario? Per me il paradigma ha una funzione conoscitiva e di comprensione: la sostenibilità sta producendo una rivoluzione scientifica del diritto societario globale; ha iniziato a produrre un cambiamento dei problemi da sottoporre al diritto societario e quindi un cambiamento delle soluzioni inerenti vecchi problemi; questo sta avvenendo anche nel diritto europeo. Allora ecco la risposta: credo che la sostenibilità possa rappresentare un paradigma di diritto costituzionale italiano attraverso un percorso interpretativo di emancipazione espansiva che includa anche la sostenibilità societaria”.

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