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Il 12 febbraio scorso si è tenuto a Milano l’incontro su “La Corporate Governance delle società quotate italiane”, occasione di presentazione del rapporto Consob, Comitato per la Corporate Governance e Assonime-Emittenti Titoli, sulle società quotate

La Corporate Governance delle società quotate italiane

Il 12 febbraio scorso si è tenuto a Milano l’incontro su “La Corporate Governance delle società quotate italiane”, occasione di presentazione del rapporto Consob, Comitato per la Corporate Governance e Assonime-Emittenti Titoli, sulle società quotate italiane nel 2017.

SINTESI DEGLI INTERVENTI

Carmine di Noia, Commissario Consob, introduce il Rapporto 2017 come strumento di monitoraggio dell’applicazione del Codice di Autodisciplina con un focus sui temi della sostenibilità.
Gli interventi di Nadia Linciano e Rossella Signoretti di Consob aprono la panoramica dei risultati delle indagini contenute nel rapporto.
Organi sociali – Su 225 società quotate che adottano il modello tradizionale, i Board sono composti mediamente da 10 membri, con una media di 5 amministratori indipendenti. Poco più di due terzi degli emittenti conta almeno un amministratore con incarichi di amministrazione in altre società quotate.
I comitati interni al Board continuano a crescere, in particolare il comitato nomine, presente a fine 2016 nel 57% delle imprese; crescono anche le società che hanno adottato un piano di successione.
In tema di Board diversity, a giugno 2017 la presenza femminile ha raggiunto un terzo del totale degli incarichi di amministratore (33,6%), quota obiettivo della legge 120/2011.
La maggiore presenza femminile nei Board ha determinato una riduzione dell’età media dei consiglieri, un aumento del numero di laureati, una maggiore diversificazione dei profili professionali con diminuzione dei profili manageriali. Oltre i due terzi delle donne sono consiglieri indipendenti, sempre più spesso a capo dell’organo di controllo e nominate attraverso il voto di lista da azionisti di minoranza. Il numero di donne indipendenti nel 2017 è pari a 520.
Si registra, inoltre, una minore presenza di amministratori che sono al contempo azionisti di controllo o legati a questi da rapporti di parentela.
Assetti proprietari – In tema di modelli di controllo, su 230 società quotate sull’Mta a fine 2016, l’analisi fa emergere un’elevata concentrazione del controllo con una quota del principale azionista che dal 2010 rimane intorno al 47%. Nelle società del FtseMib, tuttavia, a fine 2016 si è registrata una diminuzione fino al 30% . Su circa 7 emittenti su 10 è presente nell’azionariato un socio di riferimento (di maggioranza assoluta o relativa del capitale).
Azionisti di riferimento restano le famiglie che continuano a controllare la maggior parte delle imprese (64% sul totale); 146 società, appartenenti principalmente al settore industriale, per una capitalizzazione pari al 33% del mercato e lo Stato insieme agli enti locali (9% sul totale); 21 società, operanti per lo più nel settore dei servizi, per una capitalizzazione pari al 36% del mercato. Per le neo-quotate, invece, nel triennio 2015-2017 è diminuita la quota di controllo solitario (60% vs. 73%) e familiare (28% vs. 64%) e risulta crescente il controllo delle istituzioni finanziarie (32% vs. 4%).
Investitori istituzionali – A fine 2016 gli investitori istituzionali sono azionisti rilevanti in 61 società (26% del listino), in flessione rispetto agli anni precedenti. La loro partecipazione alle assemblee delle prime 100 società a più elevata capitalizzazione è aumentata, raggiungendo in media il 19,4% del capitale (quasi 12% nel 2012) grazie soprattutto ai soggetti esteri (18% a fronte del 10% circa nel 2012).
Nelle società del FtseMib si registra anche un aumento del dissenso sulle politiche di remunerazione – say-on-pay – che passa dal 27% del 2016 al 32% dei voti degli investitori istituzionali.
Board e Codice di Autodisciplina – La composizione dei Board rispetta le raccomandazioni del codice nel 92,3% delle aziende. Sono presenti quasi sempre comitati consiliari in seno ai Board: il Comitato Nomine – autonomo o accorpato al Comitato Remunerazioni – è presente nel 56% delle aziende; il Comitato Remunerazioni è presente nel 91,4% delle aziende, composto da soli indipendenti o da non esecutivi, a maggioranza indipendenti, e presieduto da un indipendente; il Comitato Controllo e Rischi si rileva nel 95% delle aziende, nella maggior parte dei casi composto da soli indipendenti oppure da non esecutivi, a maggioranza indipendenti, e presieduto da un indipendente.
Il 70% delle aziende applica i criteri di indipendenza previsti dal codice con un’alta tenure dei consiglieri indipendenti motivata dalla volontà di privilegiare le competenze acquisite, il costante impegno e la professionalità, l’indipendenza di giudizio e un atteggiamento di stimolo nella dialettica del CdA. 140 amministratori indipendenti, tuttavia, vengono considerati dall’indagine come “a rischio” per tenure, cariche, remunerazioni aggiuntive.
Funzionamento dei Board – È in aumento il numero medio di riunioni del Board, diminuisce l’assenteismo e cresce il livello di trasparenza generale mentre si registra una scarsa trasparenza sulle informazioni pre-consiliari.
Il grado di adesione medio delle aziende al codice di autodisciplina è elevato, con il 75% di adesione alle raccomandazioni. Il grado di compliance è maggiore nelle aziende più grandi, nelle società finanziarie e nelle società a controllo pubblico e rispetto al grado di compliance delle principali raccomandazioni del codice, al livello più alto troviamo ‘la composizione adeguata del CDA’ a quello più basso le ‘informazioni pre-consiliari’.
Le aree più critiche risultano dunque: l’informazione pre-consiliare, alcune componenti della politica di remunerazione, l’adeguatezza del comitato nomine, la board evaluation.
Le aree di miglioramento rispetto all’applicazione del codice, e alle aspettative del mercato, restano l’adozione di piani di successione, l’applicazione dei criteri di indipendenza e la remunerazione degli indipendenti, che spesso risulta insufficiente.
Il rapporto contiene anche una panoramica comparativa, illustrata da Angela Ciavarella di Consob, condotta sulle prime 30 società quotate per capitalizzazione in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna (escluse finanziarie) dalla quale emergono: una tendenza in tutti i paesi (2005-2016) alla riduzione del numero dei componenti dei Board a fronte di un aumento di donne e di stranieri negli organi di amministrazione. Gli amministratori esecutivi, inoltre (nel 2016,) presentano un grado minore di gender diversity e un numero inferiore di stranieri.
In tema di Governance della Sostenibilità, la ricerca in Italia è stata condotta sulle società del FtseMib e ha evidenziato che nel 2017 26 aziende hanno pubblicato un report sulle informazioni non finanziarie e 24 hanno condotto un’analisi di materialità. 21 aziende hanno dichiarato di aver coinvolto il management nella redazione del report di sostenibilità e 19 hanno coinvolto direttamente gli stakeholders mentre la maggior parte delle aziende fa riferimento a temi non finanziari nelle linee guida per la nomina del Board.
Questo tema viene affrontato più in dettaglio da Fulvio Rossi, coordinatore della ricerca Assonime – CSR Manager Network – ALTIS condotta con riferimento ad aziende italiane del FtseMib e segmento STAR e aziende UK, nel periodo 2013-2017.
Nelle aziende italiane risulta in aumento la presenza di Comitati di sostenibilità, in linea con le aziende UK, anche se nella maggior parte dei casi viene attribuita competenza in materia di sostenibilità a comitati già esistenti. I Comitati per la sostenibilità si occupano di rapporti, piani e politiche di sostenibilità. In seno ai Board, il numero di consiglieri con competenze sui temi della sostenibilità non è adeguato, sebbene venga riconosciuto il legame tra sostenibilità e creazione di valore e la sostenibilità incide solo in qualche caso, e scarsamente, sulla remunerazione dei consiglieri esecutivi. Il 79,3% delle società, infine, redige un piano di sostenibilità e ne rende pubblici gli obiettivi.
Piergaetano Marchetti (Università Bocconi), In tema di Informazioni non finanziarie, evidenzia che nel nostro ordinamento non si richiede ai Board un obbligo primario di perseguire gli interessi degli stakeholders. L’obbligo in capo ai Board è quello di trasparenza e di rilevazione dei rischi. Il D.Lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 chiede agli amministratori diligenza e professionalità, criterio, quest’ultimo, che il nostro codice civile prevede solo per i membri del collegio sindacale, evidenziando così la necessità che i consiglieri abbiano perizia sui temi di sostenibilità e siano consapevoli di rischi e opportunità che possono derivarne.
Nel Regno Unito, il Companies Act 2006 – Art 172, chiede agli amministratori, nell’ambito del dovere di perseguire gli interessi della società, di tenere conto degli interessi dei dipendenti e valutare l’impatto delle attività dell’azienda sulla comunità e sull’ambiente. Un dovere dunque, in capo ai membri del Board. Il nostro ordinamento, invece, prevede solo un dovere di trasparenza e informativa su quanto l’azienda fa per i propri dipendenti, la comunità, l’ambiente e da ciò deriva che nel nostro paese non è possibile esercitare azione di responsabilità verso gli amministratori per mancate tutele in ambito sostenibilità.
Infine, per Patrizia Grieco (Presidente del Comitato per la Corporate Governance e Presidente ENEL), finalmente la normativa in materia di relazione non finanziaria aiuta a distinguere la sostenibilità dalla filantropia. Il tema della sostenibilità, infatti, va visto come la capacità dell’azienda di identificare e monitorare, attraverso il Board, i rischi non immediatamente evidenti ma che incidono sulla capacità dell’impresa di produrre risultati economico-finanziari nel medio lungo termine.


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