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La comunicazione in tempo di crisi: istruzioni per l’uso

La “gestione della crisi” è una delle attività di comunicazione alla quale è dedicata più letteratura, con approccio teorico o pratico, grazie all’interesse che la materia catalizza. Con questo breve testo si avvia una serie di articoli che vorrebbero fornire spunti di riflessioni e suggerimenti pratici sia generali sia più focalizzati sul ruolo del Consiglio di Amministrazione

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Le crisi possono essere definite secondo molteplici parametri, quali la natura della causa rispetto all’azienda – crisi “interna” o “esterna” – la sua gravità – crisi “reversibili” o “irreversibili” – o la tipologia di misure da adottare per il suo superamento – crisi “traumatiche” risolte attraverso attività di crisis management o crisi “gestionali”, affrontate da processi di risanamento e ristrutturazione aziendale.
A prescindere dalla definizione, una crisi è sempre caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti: l’eccezionalità dell’evento sottostante, la sua visibile esterna, la possibilità di amplificazione dai media e la capacità di pregiudicare il going concern e/o la reputazione aziendale.

Erika James, psicologa americana esperta di crisi, ha elaborato una definizione che li racchiude ma che allo stesso tempo ne evidenzia un ulteriore, meno intuitivo e quindi più trascurato e dirompente, l’impatto emotivo: “Le crisi, sono situazioni di forte carica emotiva che, una volta divenute pubbliche, prevedono una reazione negativa da parte degli stakeholders. Tutto ciò rappresenta una potenziale minaccia sull’equilibrio finanziario dell’impresa, sulla sua immagine e sulla sopravvivenza di lungo periodo”.

La gestione di una situazione di crisi passa quindi attraverso la gestione di elementi concreti ed emotivi e per questo si evidenziano dei passaggi logici fondamentali che tengono presente entrambe gli aspetti.

1. DETERMINARE I FATTI

I fatti – cosa sia accaduto o cosa stia accadendo – sono le migliori armi a disposizione e comunicare senza una conoscenza il più possibile completa e precisa può essere pericoloso.

La tecnologia semplifica il processo di determinazione e favorisce la quantificazione degli impatti più di quanto si pensi: per esempio, in caso di chiusure forzate di punti vendita, il responsabile informa e aggiorna la sede tramite semplici messaggi e il fatturato e della profittabilità nel corrispondente periodo dell’esercizio precedente possono rappresentare una quantificazione iniziale.

2. IDENTIFICARE GLI STAKEHOLDERS RILEVANTI

Colleghi, clienti, fornitori, investitori di debito o di capitale e istituzioni rappresentano gli stakeholder di un’azienda e la parità di trattamento rappresenta una delle regole fondamentali del “buon governo”.

In momenti di crisi è però necessario comprendere quali siano gli stakeholder cruciali per il superamento della crisi stessa, sia da un punto di vista economico-finanziario sia da quello reputazionale, e su di essi focalizzare la comunicazione perché è la loro reazione la chiave del successo. In caso di prodotti contaminati, i clienti diventano gli stakeholders di riferimento e se ciò accadesse in un contesto di tensione finanziaria già preesistente, ai clienti si affiancherebbero i finanziatori.

3. DEFINIRE I MESSAGGI

La corretta definizione dei messaggi e quindi il loro successo, dipende dall’equilibrio fra il punto di vista dell’azienda e quello degli stakeholder rilevanti perché è la loro percezione da parte di questi ultimi che ne decreta il successo.

Partendo da questo punto la “definizione” si sostanzia nello spiegare i fatti – con informazioni le più chiare e semplici possibili -, nello spiegare cosa si stia facendo e cosa si farà, non mentendo mai. Anche una sola bugia può mettere in difficoltà, minando l’attendibilità dei messaggi precedentemente o successivamente emessi.

In particolare, per il “cosa si stia facendo” è fondamentale il punto di vista degli stakeholders: alcune iniziative possono sembrare internamente semplici quasi banali, viceversa esternamente possono essere molto preziose e utili.

Infine, è molto importante ricordare un aspetto cruciale: in una crisi c’è sempre qualcosa da comunicare! Comunicare qualcosa di sbagliato è un errore ma pensare che non ci sia nulla da comunicare è un errore ancora maggiore: riconoscere il problema, il suo impatto e dimostrarsi empatici nei confronti dei soggetti più direttamente coinvolti dalla crisi sono elementi che possono essere sempre trasformati in messaggi.

4. IDENTIFICARE LO SPEAKER

Due sono i criteri guida: la rilevanza e la complessità della crisi e le capacità comunicative dei soggetti apicali. Più la crisi è rilevante e grave, più è opportuna una piena e diretta assunzione di responsabilità da parte dei vertici, più il business della società è tecnico, più può essere opportuna la scelta di uno specialista, adeguatamente formato.

Per quanto riguarda le capacità comunicative, una figura apicale (Presidente, CEO o prima linea) con personalità rassicurante, chiarezza espositiva ed empatia, rappresenta un dono prezioso. Una volta identificato, lo speaker, dovrebbe essere unico e solo: questo per evitare la diffusione di versione dei fatti contrastanti e ambiguità nelle dichiarazioni rilasciate.

5. DEFINIRE IL TIMING

Si dice come sia fra i primi 60-120 minuti dall’insorgere dell’emergenza che vada definita la strategia attraverso la quale mettere in sicurezza l’azienda e la sua reputazione. Questa affermazione sembra in contraddizione con i precedenti passaggi, in realtà così non è.

Il messaggio “fatto-attività implementate–empatia” può avere una elaborazione molto più veloce di quanto si possa pensare, anche se esistono elementi oggettivi – per esempio differenze di fuso o di lingua – che possono rallentare il processo. Inoltre molte delle precedenti fasi possono essere definite a priori prima che scoppi la crisi, attraverso un processo strutturato di crisis management.

Il momento di scoppio di una crisi può difatti non essere prevedibile ma le cause di una crisi spesso sì perché strettamente legate alle attività aziendale: per una realtà alimentare, la contaminazione dei prodotti è una delle più probabili cause di una crisi. La velocità di reazione può essere quindi tanto maggiore tanto quanto l’azienda abbia implementato un processo di crisis management e quindi sviluppato un “piano di crisi”.

6. IMPARARE DALLA CRISI

Non sempre è possibile intercettare i segnali premonitori di una crisi, più facile è percepire i segnali di risoluzione: ritorno della fiducia degli stakeholders rilevanti, dipendenti sempre più coinvolti nelle attività abituali o KPI economico-finanziari in miglioramento.

La manifestazione di questi segnali fa entrare nella fase di monitoraggio del post crisi con una attenzione comunque alta verso i messaggi espliciti e impliciti degli stakeholders. La crisi potrà infine essere considerata conclusa quando si entrerà nella fase di apprendimento, ovvero di razionalizzazione cosa sia successo, di valutazione oggettiva delle adottate, di quantificazione dei costi e, se possibile, di valutazione finale del danno.

Come anticipato, questi passaggi sono bene noti a specialisti di comunicazione, potrebbero esserlo meno per un membro del Consiglio di Amministrazione. La loro conoscenza è quindi importante per comprendere il sottostante di scelte operative prese in tempi così rapidi che raramente permettono un confronto con e all’interno dell’organo di governo. Questa, però, non è una “abdicazione” del Consiglio davanti alla crisi, il Consiglio svolge un ruolo fondamentale nel prevenire e nel dotare la società degli strumenti per gestire e quindi superare con successo le crisi secondo le 4 regole fondamentali: reputazione, preparazione, velocità e trasparenza.


Bibliografia
  • Comin Gianluca, L’impresa oltre la crisi, Venezia, Marsilio, 2016
  • Comin Gianluca (a cura di), Comunicazione integrata e reputation management, Roma, Luiss University Press, 2019
  • James Erika Hayes, Lynn Perry Wooten, Kelly Dushek, Crisis management: informing a new leadership research agenda, in “Annalis. The Academy of Management”, 2011
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