Chapter Emilia-Romagna: un ponte fra modernità e tradizione
L'associazione dei consiglieri non esecutivi e indipendenti scommette su uno dei motori economici del Paese con una nuova entità territoriale chiamata a consolidare le migliori pratiche di governance al servizio della crescita. La Voce ne ha parlato con la coordinatrice, Anna Masutti
 Anna Masutti
            Anna Masutti
                Motor Valley, Food Valley, industria farmaceutica e biomedicale. Quando si parla di Emilia-Romagna, quarta regione per Pil d’Italia (pesa per circa il 9% sul totale, come il Veneto), l’elenco delle eccellenze risulta sempre piuttosto lungo. Tante realtà differenti fra loro ma tenute insieme da un sottile filo rosso: la commistione fra tecnologia, ricerca, modernità, innovazione e tradizione. Il successo sui mercati internazionali dei prodotti made in Emilia è figlio proprio della duplice anima di questa terra ricca di spirito di iniziativa imprenditoriale, di voglia di osare, di resilienza e di amore per le proprie radici. Per questo motivo Nedcommunity, l’associazione dei consiglieri non esecutivi e indipendenti ha deciso di aprire un suo chapter proprio qui, fra il Po, l’Appennino e l’Adriatico. Una scelta strategica come ci ha spiegato la coordinatrice, la professoressa Anna Masutti che sarà affiancata nel suo lavoro da una squadra di cui fanno parte Rita Rolli, Susanna Zucchelli, Giuseppe Torluccio e Claudia Spisni.
Da cosa nasce la necessità di creare una divisione dell’associazione in quest’area geografica?
La costituzione del Chapter Emilia-Romagna di Nedcommunity nasce dalla volontà di valorizzare una Regione a forte vocazione industriale e innovativa, con un tessuto produttivo estremamente diversificato, nel quale convivono grandi gruppi e numerose PMI, in numero rilevante a conduzione famigliare. I cambiamenti dei mercati, le disposizioni europee che introducono nuove sfide legate alla sostenibilità e all’innovazione tecnologica impongono alle imprese l’adozione di strumenti di governance più evoluti. Il Chapter nasce per supportare le realtà regionali in un percorso di consolidamento della cultura di una governance al passo con i tempi. La scelta di Bologna e dell’Emilia-Romagna si lega a una tradizione imprenditoriale radicata che si combina con una forte propensione all’innovazione, rendendo questo territorio particolarmente adatto a un tale progetto.
Quali progetti avete in programma per promuovere le best practice della corporate governance?
L’attività del Chapter si articolerà su più fronti. In primo luogo, intendiamo promuovere incontri periodici e seminari che possano rappresentare momenti di confronto e di diffusione delle migliori pratiche a beneficio degli amministratori e degli imprenditori locali. In secondo luogo, abbiamo immaginato percorsi di formazione specificamente dedicati a chi ricopre ruoli di responsabilità nelle imprese: corsi sui meccanismi di successione famigliare e sulla predisposizione di strumenti come la family constitution, moduli sull’apertura ai mercati dei capitali e sulle strategie di sostenibilità, approfondimenti su sistemi di controllo interno e gestione dei rischi. Infine, intendiamo sviluppare workshop e webinar focalizzati su aree tematiche che toccano da vicino le imprese emiliano-romagnole: l’innovazione tecnologica, la compliance, la due diligence di filiera, la responsabilità sociale. L’evento del 2 ottobre alla Bologna Business School è stato il primo passo per illustrare questa visione e per avviare un dialogo con il territorio. Sarà importante continuare a costruire, a partire da questo momento, un percorso strutturato e condiviso.
Le PMI dell’Emilia-Romagna hanno più bisogno di un cambio di passo rispetto alle grandi aziende?
Le grandi imprese hanno già maturato una maggiore esperienza nell’adottare strumenti di governance strutturati, spesso in linea con le best practices internazionali. Le piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna, pur rappresentando un motore essenziale della crescita regionale, si trovano invece in una fase diversa: in molti casi restano legate a modelli di gestione famigliare che hanno garantito solidità ma che oggi richiedono un’evoluzione. Non si tratta di snaturare la tradizione imprenditoriale, quanto di introdurre gradualmente strumenti che consentano di affrontare con più efficacia temi come l’accesso ai capitali, la transizione digitale e gli obiettivi di sostenibilità. In questo senso, le PMI hanno certamente margini di miglioramento maggiori rispetto alle grandi imprese, e un investimento nella governance può tradursi in un vantaggio competitivo di lungo periodo.
Quali sono i margini di miglioramento delle imprese locali sul fronte della governance?
I margini sono molto ampi e toccano diverse dimensioni. Innanzitutto, la capacità di integrare la sostenibilità in maniera organica nei business plan: non più un elemento accessorio, ma parte integrante delle strategie aziendali. Poi la strutturazione di sistemi di controllo interno e di gestione dei rischi, indispensabili in questo momento e in continua trasformazione. Un altro ambito importante riguarda l’apertura ai mercati del capitale di rischio, che per molte imprese locali potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita, purché accompagnata da modelli di governance adeguati. Va sottolineato il ruolo degli amministratori indipendenti: figure che possono arricchire il consiglio di amministrazione con competenze e visioni esterne, aiutando le imprese a crescere in trasparenza e credibilità. infine, investire in formazione e rafforzare la consapevolezza sulla governance può contribuire a valorizzare ancora di più queste caratteristiche.
Cosa direbbe a un capo azienda di una PMI per convincerlo ad aprire le porte del cda a un consigliere indipendente?
Introdurre un consigliere indipendente non significa perdere il controllo famigliare, ma rafforzare la governance. È una figura che può portare competenze non ancora presenti in azienda -esperienza in mercati differenti, capacità di porre domande critiche, un punto di vista esterno – utili soprattutto nei momenti di transizione o crescita. Non è una scelta che altera l’identità dell’impresa: al contrario, può rafforzarla, perché integra la solidità della tradizione famigliare con strumenti di governance più strutturati, capaci di favorire il dialogo con partner finanziari, istituzioni e stakeholder. In questa prospettiva, il consigliere indipendente non deve rappresentare un vincolo, ma una risorsa che affianca l’impresa famigliare, contribuendo a rafforzare la credibilità dell’azienda e a sostenerne la continuità nel tempo.

