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BIBLIOTECA NED a cura di Paola Schwizer

Ruozi Roberto (2010),
Intermezzo. Tre anni di crisi bancarie,
Spirali Editore, Milano.

Professore emerito e già Rettore dell’Università Bocconi, consigliere di amministrazione in numerose società e banche, Roberto Ruozi affronta con la consueta lucidità e la tipica ricchezza di aneddoti ed esempi il tema della crisi, vista come esperienza e arricchimento nel percorso evolutivo del sistema bancario. La lettura scorre veloce, tra palcoscenico e realtà. La metafora teatrale è usata per descrivere gli eventi succedutisi a partire dal 2007, quando qualcosa di inatteso è intervenuto di forza e ha comportato un cambio nei comportamenti, nelle politiche e nelle pratiche delle banche. Ma la crisi è – nell’interpretazione di Ruozi – solo una fase di transito in un processo più ampio, paragonabile allo spazio che separa due atti di una commedia, “inserito in una tendenza allo sviluppo durevole e quasi certamente destinata a riprendere il suo cammino non appena essa – che ne farà da intermezzo – sarà terminata, ciò che avverrà in tempi non lontani”. E questo vale anche per il ricorso all’intervento dello Stato nel mercato finanziario, resosi tecnicamente necessario per affrontare la crisi, ma destinato a ricomporsi secondo logiche di capitalismo virtuoso. 
Fuor di metafora e con grande concretezza, il volume di quasi 500 pagine propone un’accurata analisi delle strategie bancarie degli ultimi decenni e delinea un possibile scenario futuro, condizionato in buona parte dalle manifestazioni della crisi e dalle soluzioni adottate dalle Autorità per affrontarla e risolverla. 
Aspetto centrale nella lettura degli eventi è la corporate governance, di cui si discute soprattutto con riferimento alle banche e all’annoso tema delle rimunerazioni. “I registi non hanno saputo dirigere gli attori nei modi più consoni al mantenimento della stabilità aziendale”, sostiene Ruozi. La responsabilità della crisi è diffusa e va ricercata nel comportamento – collusivo? – di tutti i vertici delle banche coinvolte: azionisti (specie se di maggioranza), amministratori, top manager e organi di controllo. Mettendo l’intera governance sul banco degli imputati, la questione delle rimunerazioni quasi si ridimensiona. Eppure Ruozi insiste sulle anomalie rilevabili nel comportamento dei massimi dirigenti bancari: poche decine di essi dominavano da anni il mercato e sono state il punto di riferimento per le strategie di crescita aggressive e le politiche aziendali ad alto rischio condotte dai principali gruppi bancari multinazionali. E dietro tutto ciò vi è stato un sistema organizzativo incapace di orientare, di incentivare nella corretta direzione, di prevenire i conflitti di interesse. Anzi, sarebbero stati proprio i conflitti di interesse indotti da una certa strutturazione delle rimunerazioni, impostate con il consenso e la “complicità” degli azionisti, a rappresentare il principale elemento di fragilità dell’intero sistema di governance. Nuove regole e nuovi controlli basteranno per eliminare il problema alla radice? Probabilmente no, sostiene Ruozi, perché occorre innanzitutto una nuova classe di amministratori e manager che sappia adottare comportamenti diversi da quelli dei predecessori, ispirando le proprie azioni a principi etici condivisi, lasciando da parte obiettivi opportunistici ed egoistici per perseguire l’interesse di tutti gli stakeholder delle banche e quindi il bene comune. 
La crisi ha messo in evidenza i limiti strutturali della corporate governance. Traendo spunto da una vasta esperienza in qualità di presidente e consigliere di amministrazione di varie società quotate, Ruozi rileva come l’evoluzione dei modelli e dei sistemi sul piano formale non abbia ancora portato a cambiamenti sostanziali. I problemi principali? La concentrazione dell’azionariato che determina non di rado una confusione di ruoli e di competenze fra organi, compromette il confronto e il dialogo aziendale, enfatizza i conflitti di interesse; l’eccessiva concentrazione di potere in mano a presidenti esecutivi e amministratori delegati; le attese poste sugli amministratori indipendenti, ancora troppo poco numerosi per contare e non equiparabili ad un “buon professionista indipendente”, poiché non sempre preparati rispetto ai temi da affrontare; le difficoltà di organizzazione delle rappresentanze delle minoranze azionarie; la numerosità delle funzioni di controllo – tra cui il comitato di audit – e le conseguenti difficoltà di coordinamento che determinano costi elevati, bassa efficacia, limitata credibilità. La sua proposta? Non nuove regole, ma una semplificazione di quelle esistenti. 
L’intermezzo si conclude: e poi?” Nel gran finale Ruozi si dichiara ottimista, convinto che le banche, i mercati, le Autorità di controllo e la politica troveranno le soluzioni giuste per stabilire nuovi equilibri di medio periodo. Un cambiamento di fondo è già avviato nelle strategie e negli assetti organizzativi, nella maggiore focalizzazione dei grandi gruppi sul proprio core business, nel consolidamento del ruolo e dell’immagine delle banche del territorio. “Troveremo qualche cambio di regia, la sostituzione di un certo numero di attori, …ma il copione nella sua essenza non cambierà.” Forse nuove rivoluzioni sono all’orizzonte, come è probabile che si riparta con tempi più lunghi del previsto. Ma richiamando Carlo Azeglio Ciampi, Ruozi ritiene che lo snodo fondamentale sia quello di una magica inversione nella gerarchia dei valori su cui si collocano finanza ed economia e nell’evoluzione virtuosa di condotte e atteggiamenti: “auspichiamo che cambi il modo di recitazione degli attori …che cambi anche il comportamento dei registi. Solo allora la commedia bancaria potrà riprendere e svilupparsi tranquillamente e senza grandi intoppi”. E se la crisi riuscirà a far capire alle banche e alle imprese qual è il senso del proprio futuro, sarà stata una grande opportunità per l’economia e le società contemporanee. Ma lo spettacolo continua. 


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