Altri articoli

Aziende familiari: ognuno ha la sua ricetta di Governance

Il 19 gennaio a Torino, presso la Sala Assemblee di Intesa Sanpaolo, si è svolto un incontro organizzato da Nedcommunity con la collaborazione dell’AidAF – Associazione delle Aziende Familiari, sul tema “Gli amministratori indipendenti nella governance delle aziende familiari”, cui hanno partecipato circa 80 persone. 
L’incontro è stato moderato da Severino Salvemini e centrato su due testimonianze: quella del Gruppo De Agostini, per la quale è intervenuto il vice presidente Roberto Drago e quella del Gruppo Miroglio, dove sono intervenuti l’amministratore delegato Giuseppe Miroglio e l’amministratore indipendente Carlo Callieri. Si è poi aperta una tavola rotonda con la partecipazione di Guido Corbetta e Paolo Montalenti, nonché con gli interventi di Gioacchino Attanzio, Ferruccio Carminati e Guido Giubergia. 
Abbiamo pensato di rivolgere qualche domanda a tre persone che, a vario titolo, hanno partecipato all’organizzazione dell’incontro: Ferruccio Carminati, Franco Morganti e Severino Salvemini.


Le interviste


Domanda – A Carminati chiediamo se le due testimonianze hanno confermato le sue tesi sullo sviluppo della governance nelle aziende familiari.


Risposta – Certo che la presenza di consiglieri indipendenti nei CdA di Gruppi qualificati e rilevanti, comunque caratterizzati dalla complessità connessa all’azionariato familiare, testimonia la volontà di ricerca di nuovi equilibri nella governance e rappresenta un valido esempio. 
Ma il Consigliere Indipendente riguarda solo una parte del problema e della sua soluzione. Infatti le regole di governo dell’impresa, le regole di controllo del capitale familiare e quelle di gestione delle risorse manageriali e imprenditoriali provenienti dalla famiglia, sono certamente aspetti ben più rilevanti nella vasta complessità della corporate governance delle aziende familiari.  
Il mio pensiero corre quindi a quante altre aziende familiari vivano la complessità dell’azionariato e a volte della gestione dell’impresa familiare con un basso grado di consapevolezza, una scarsa attenzione ai primi sintomi di sofferenza e contrasto, quando anche solo lo scorrere del tempo, potrà accentuare la problematicità portandola ad una crescente conflittualità in grado di compromettere il pur valido progetto aziendale. Occorre quindi accentuare la conoscenza, l’esame del quadro di impresa e del contesto familiare attuale e prospettico, oltre che la capacità di individuare nuovi modelli di governance (mai generalizzabili), per dare risposte adeguate ad ogni singolo contesto di azienda familiare.  
Pertanto, ritengo importante che siano in molti a sensibilizzarsi su questo tema e sono anche convinto che Nedcommunity possa svolgere un ruolo rilevante di stimolo, riflessione e messa a punto di concetti e modelli .


D. – A Morganti chiediamo invece se nel trapasso dalla gestione familiare a quella più strutturata ha notato un percorso lineare e ordinato, o piuttosto controverso e accidentato.


R. – Più che di un percorso accidentato, direi che il trapasso non è mai indolore, perché si tratta di rinunciare ad abitudini che si sono consolidate spesso in molti anni di gestione, anche felice, dell’azienda. Ad esempio potremmo obiettare a De Agostini che annoverare fra gli indipendenti un consulente della società non è proprio una scelta delle più ortodosse e così a Miroglio potremmo fare la stessa osservazione per la presenza fra gli indipendenti di chi è stato direttore generale per molti anni della società stessa. 
Ma credo che la mutazione sia così importante da poter sorvolare su alcuni particolari. Ricordo sempre una poesia di Bertold Brecht che diceva press’a poco: “Noi che volevamo instaurare la gentilezza non potemmo essere gentili.” 
In tutte le fasi di trasformazione o turnaround non si può pretendere di esser guidati pedissequamente da un codice etico severo, che tuttavia va instaurato non appena completato il trapasso, quando la situazione si possa considerare normalizzata.


D. – La domanda a Salvemini è più articolata, dato anche il ruolo da lui svolto nel progettare e organizzare l’incontro. 
Visto l’esito del dibattito, pensa che ci sia spazio per un’estensione della proposta di Nedcommunity ad altri contesti imprenditoriali? E da questi incontri potrebbe scaturire anche una proposta di formazione?


R. – Ciò che abbiamo percepito nelle esperienze che sono state presentate all’incontro di Torino è che l’ingresso degli amministratori indipendenti nei gruppi d’impresa familiare ha scandito il passaggio ad uno stadio di sviluppo della società più matura e più diversificata. Il consigliere indipendente in un certo senso suggella la transizione da un periodo di sviluppo dell’impresa focalizzato sul business originario ad una fase di ridefinizione strategica e di più formalizzata managerialità. In questa seconda fase anche il Consiglio di Amministrazione deve diventare più professionale e più distaccato rispetto alle dinamiche della famiglia e degli affetti. È quindi così che si sviluppa una maggiore oggettività della professione del gestire e del governare. 
Queste caratteristiche sono necessarie in molte imprese che lasciano la minore dimensione per diventare aziende medie operanti nel mercato globale; imprese che, pur non essendo quotate, hanno bisogno di un metodo più formalizzato di decisione. 
Penso quindi che illustrare i percorsi più antesignani che sono stati fatti dai gruppi di impresa familiare sia molto utile ai restanti imprenditori, i quali ancora si interrogano se la governance delle loro imprese debba essere un po’ più sofisticata oppure se il tradizionale sistema autocratico rimanga quello più conveniente. 
Pensiamo che Nedcommunity possa organizzare altri incontri nei distretti geografici dove le piccole e medie imprese sono più frequenti, al fine di diffondere le buone pratiche e di approfondire i casi più significativi di esperienze efficaci come quelle presentate a Torino. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA


  • Condividi articolo:
button up site