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Alleanze net-zero: non è una vera ritirata

Per quanto l’instabilità del quadro politico e l’ondata di protezionismo costituiscano un deterrente per un’efficace lotta al cambiamento climatico, essa costituisce ancora un tema rilevante per le aziende, soprattutto europee

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Punto di partenza per la riflessione è il riorientamento del sistema finanziario americano. Da dicembre 2024, alcune delle maggiori banche statunitensi e canadesi hanno infatti abbandonato la Net-Zero Banking Alliance (con una riduzione del 22% delle masse investite). Queste defezioni hanno indotto il mese scorso l’Alleanza a eliminare l’obbligo per i propri membri di allinearsi all’obiettivo di 1,5°C, sostituendolo con un impegno non vincolante e comunque riferito al target di 2°C.

Al contempo, nel novembre 2024 undici Stati americani repubblicani hanno intentato una causa legale contro BlackRock, State Street e Vanguard, accusando le società di investimento di perseguire obiettivi ideologici a scapito dei rendimenti finanziari mediante l’adozione di politiche ESG, violando in tal modo i doveri fiduciari nei confronti degli investitori. Inoltre, a febbraio 2025 alcuni Stati e società del settore oil & gas hanno citato in giudizio la SEC in relazione alla norma approvata lo scorso anno sulla rendicontazione delle emissioni di gas serra da parte delle società quotate americane, poiché rappresenterebbe una violazione del Primo Emendamento sulla libertà di pensiero.   

Due dati ulteriori: secondo Morningstar, nel primo trimestre del 2025 i fondi d’investimento ESG hanno registrato, dopo anni di raccolta netta positiva (fino a 40 miliardi di dollari a trimestre), deflussi netti globali record (pari a 8,6 miliardi di dollari), specie negli Stati Uniti; secondo Bloomberg oggi le aziende parlano di ambiente il 76% in meno rispetto a tre anni fa.

Ciò senza dimenticare che l’amministrazione Trump, appena insediata, ha annunciato il (secondo) ritiro dall’Accordo di Parigi e ha altresì avviato una profonda “riforma” delle agenzie e degli enti federali per la tutela dell’ambiente, limitandone l’autonomia.

Sostenibilità ancora al centro

Sul fronte finanziario, il fondo People’s Pension, uno dei più grandi del Regno Unito, a febbraio di quest’anno ha ritirato un mandato di investimento da 28 miliardi di sterline a State Street a seguito della revisione della politica di investimento sostenibile da parte del gestore, per affidarla, in maggior parte, ad Amundi, che ha invece confermato la sua attenzione alla sostenibilità.

Sul fronte politico, si può invece registrare, da un lato, l’annuncio da parte del leader Xi Jinping che gli obiettivi climatici cinesi per il 2035 copriranno tutti i settori economici e includeranno tutti i gas serra: è la prima volta che ciò avviene; dall’altro, che l’India ha deciso di sviluppare una tassonomia per la finanza climatica con lo scopo di aumentare la disponibilità di capitali per l’adattamento e per conseguire le zero emissioni nette entro il 2070.

Anche l’Unione Europea non ha abbandonato gli obiettivi di mitigazione, anzi, ha introdotto un nuovo target intermedio di riduzione delle emissioni pari al 90% entro il 2040. Al contempo, come noto, ha operato per ridurre gli obblighi di disclosure (pacchetto Omnibus) e per rilanciare la competitività delle imprese (Competitiveness Compass, Clean Industrial Deal e misure ad essi collegate). Si assiste cioè a un cambio di paradigma in materia di decarbonizzazione e, più in generale, di sostenibilità, con il passaggio da un approccio di natura regolamentare, fondato su obblighi per le imprese in termini di prestazioni ambientali e di rendicontazione esterna, a una visione maggiormente orientata su crescita, innovazione e competitività, sulla scia dei Rapporti Draghi e Letta.

Secondo una stima della BCE del gennaio 2025, per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione Europea al 2030 sono necessari investimenti totali di circa 1.200 miliardi di euro all’anno, pari all’8,3% del PIL europeo nel 2023, di cui 477 miliardi di euro annui rappresentano una somma aggiuntiva rispetto a quanto investito ogni anno dall’Europa tra il 2011 e il 2020 per ridurre le emissioni di gas serra. La maggioranza di tali investimenti non potrà che provenire da risorse private. Secondo il Rapporto Letta in Europa ci sono circa 33.000 miliardi di euro di risparmi privati sotto forma di liquidità e depositi, e circa 300 miliardi di questi vengono investiti ogni anno fuori dall’Europa, in particolare negli Stati Uniti. È quindi di tutta evidenza la necessità di completare l’Unione bancaria, di garantire un ambiente fiscale più uniforme, e soprattutto di realizzare un’Unione dei risparmi e degli investimenti fondata su un’effettiva Unione del mercato dei capitali.

In quest’ottica, per le imprese europee la dimensione della sostenibilità cessa di essere un “obbligo burocratico” per configurarsi come obiettivo strategico da porre a fondamento dell’evoluzione del modello di business nel medio e lungo termine e, come tale, atto a creare valore sotto diversi – va detto: ben noti – profili: riduzione di rischio associato agli investimenti e alla catena di fornitura, mantenimento di valore degli asset, crescita dei ricavi (e/o riduzione dei costi), attrazione di capitale umano, accesso più agevolato al mercato dei capitali, vantaggio competitivo nei rapporti con i clienti, miglioramento della reputazione e maggiore fiducia da parte degli stakeholder.  

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