Governance: ecco cosa racconta l’Osservatorio imprese 2025
Dal report realizzato dal Corporate Governance Lab di SDA Bocconi emerge un Paese più maturo dal punto di vista imprenditoriale in cui gli aspetti legati al governo aziendale sono sempre più centrali. Non mancano, però, gli aspetti da migliorare
Italy Map 3D on gray background. Vector illustration
L’ultima edizione dell’Osservatorio Imprese del Corporate Governance Lab di SDA Bocconi offre un quadro nitido – e per certi versi sorprendente – sullo stato della governance nelle medie e grandi imprese italiane (fatturato >50 milioni). Dai dati emerge un Paese imprenditoriale più maturo, più articolato nelle strutture di governo e più consapevole dell’impatto diretto che buoni assetti di governance esercitano su performance, crescita e resilienza. In un contesto economico attraversato da crisi multiple, ciò che distingue le imprese più solide non è più solo la dimensione o l’internazionalizzazione, ma la capacità di dotarsi di meccanismi decisionali credibili, trasparenti e professionalizzati.
Un tessuto imprenditoriale che si allarga e invecchia
L’Osservatorio evidenzia un progressivo aumento delle imprese sopra i 50 milioni, favorito da dinamiche come l’inflazione e la crescita delle medie imprese familiari. Al tempo stesso, cresce l’età media delle aziende: dai 20,9 anni del 2018 ai 25,9 del 2024. È un invecchiamento che invita a riflettere. Molte imprese sono oggi in una fase della loro vita in cui le scelte di governance non possono più essere rinviate. Il passaggio generazionale, il ricambio manageriale e la strutturazione dei processi di controllo diventano fattori decisivi.
La consigliarizzazione avanza
Nel 2024 oltre l’82% delle imprese possiede un consiglio di amministrazione. Il dato, seppur in crescita lenta, segna un passaggio culturale. L’amministratore unico – tradizionalmente associato alle PMI – lascia spazio a organi collegiali più attrezzati per affrontare complessità regolatorie, strategiche e di rischio. La trasformazione in atto nei consigli di amministrazione non è affatto secondaria e prende forma attraverso cambiamenti visibili nella loro composizione. L’analisi mostra innanzitutto come l’età degli amministratori tenda a concentrarsi nella fascia tra i cinquanta e i cinquantanove anni. Un profilo medio che, tuttavia, varia a seconda dell’assetto proprietario, con board più maturi nelle imprese familiari e più giovani nelle realtà pubbliche o a controllo finanziario. Anche la diversity sta facendo passi avanti, seppur con gradualità. Nel 2024 quasi la metà delle imprese presenta almeno una donna in CdA, mentre nelle società statali – spinte da obblighi normativi più stringenti – la presenza femminile supera ampiamente l’80%. Parallelamente, cresce la quota di consiglieri indipendenti, oggi presente in circa il 48% delle imprese. Si tratta di un incremento contenuto, ancora poco marcato nelle aziende familiari, ma fondamentale per rafforzare l’indipendenza e la qualità delle dinamiche decisionali all’interno dei consigli. È interessante notare che durante e dopo la pandemia, molte imprese con difficoltà economiche hanno scelto di passare da un AU a un CdA con una forte correlazione tra Ebitda negativo e adozione di un organo collegiale. Una sorta di “reazione organizzativa” al rischio.
Leadership: il modello conta (molto) e impatta sulle performance
Il report mette in luce, in modo finalmente misurabile, come la scelta del modello di leadership influenzi in maniera concreta l’andamento delle imprese. Non tutte le configurazioni di vertice, infatti, producono gli stessi esiti. Dalle analisi emerge che le aziende guidate da un amministratore delegato tendono a ottenere risultati migliori con una crescita media a tre anni superiore rispetto ad altri assetti direzionali. Al contrario, quando la guida è affidata a un presidente esecutivo, le performance appaiono più deboli, con un effetto negativo particolarmente accentuato nelle realtà di dimensioni ridotte. Il quadro della leadership si arricchisce inoltre di un elemento di genere. Sebbene le donne ai vertici rappresentino ancora una minoranza, la loro presenza è in crescita, con le imprese familiari che mostrano i livelli più elevati. Infine, l’età della persona al comando si rivela un fattore tutt’altro che neutrale. L’analisi indica che a ogni decade di età aggiuntiva del leader corrisponde una riduzione della crescita attesa, mentre il profilo più performante risulta essere quello del leader intorno ai cinquant’anni. Un dato particolarmente indicativo riguarda la successione poiché cambiare leader aumenta del 7,6 p.p. la crescita dei ricavi nei due anni successivi. D’altro canto, il debt-to-equity ratio aumenta del 13,8%, segnale di maggiore propensione a investire e assumere rischio nella fase iniziale del nuovo mandato.
Governance: cinque dimensioni che fanno la differenza
Basandosi su un indice costruito su cinque pilastri, presenza del CdA, leadership individuale, separazione presidente/ad, quota di indipendenti e diversity il Corporate Governance Lab propone una lettura strutturata della qualità della governance attraverso un indice costruito su cinque elementi chiave. L’esistenza di un Consiglio di Amministrazione, la presenza di una leadership individuale definita, la separazione tra le cariche di presidente e amministratore delegato, l’inserimento di consiglieri indipendenti e, infine, il livello di diversity all’interno del board. Osservando i risultati più recenti, emerge che nel 2024 circa la metà delle imprese ha scelto di distinguere i ruoli di presidente e ad, una pratica in crescita significativa negli ultimi anni. Parallelamente, il grado di diversity nei CdA è in aumento e il 22% delle imprese presenta oggi una composizione particolarmente eterogenea. Rimane invece più problematica, soprattutto nelle aziende familiari, la diffusione degli indipendenti, ancora contenuta rispetto agli altri indicatori. Ciò che rende questo indice particolarmente interessante è però la sua capacità predittiva. Le imprese che ottengono punteggi più alti – quindi dotate di assetti di governance più robusti – mostrano risultati migliori sotto molteplici profili: performance economiche più solide, tassi di crescita più elevati nel medio periodo, maggiore capacità di innovare e di depositare brevetti, oltre a una più forte propensione ad aprirsi ai mercati internazionali e a partecipare ad operazioni straordinarie. Il messaggio che ne deriva è chiaro: investire nella qualità della governance non è un esercizio formale, ma una leva concreta di sviluppo.
Un messaggio per gli amministratori indipendenti
La ricerca lancia almeno tre messaggi chiave:
- l’indipendenza è una variabile sistemica, non decorativa. La debole presenza di indipendenti nelle imprese familiari resta un nodo critico: e senza indipendenza reale, la collegialità rischia di essere apparente;
- il ricambio è strategico. Board e leadership stanno invecchiando: portare nuove competenze e nuove generazioni nei CdA non è un tema generazionale, ma di performance;
- la separazione dei ruoli è un elemento di equilibrio. La tendenza a separare Presidente e AD cresce, ma resta insufficiente: la concentrazione dei poteri può compromettere il controllo e la visione strategica.
Governance: non un costo, ma un moltiplicatore di crescita
L’Osservatorio Imprese 2025 ci restituisce un’Italia imprenditoriale che cambia: più grande, più strutturata, più consapevole. Ma anche ancora troppo lenta nell’adottare pratiche di governance che si dimostrano – dati alla mano – decisive per la crescita.
Per gli amministratori indipendenti, questa fotografia rappresenta una sfida e un’opportunità: promuovere, dentro le imprese, una cultura del governo societario che non sia adempimento formale ma leva competitiva. Non si tratta di “importare” modelli, ma di adattarli alla realtà imprenditoriale italiana, valorizzando collegialità, apertura, competenze e pluralità di prospettive.

